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Riconosciuta la
piena legittimità della decisione conciliare, è possibile ora riaprire
un dibattito.
Assieme
al passaggio dal latino alla lingua parlata, l’altare
verso il popolo è stato uno dei primi frutti del Concilio che ha riscosso
un’accoglienza rapida e favorevole in tutte le chiese cattoliche. La sua
modalità applicativa non è stata contestata da alcun gruppo, come quella
sulla lingua, ma ha conosciuto ugualmente lentezza e sofferenza per una
soddisfacente sistemazione dell’altare sul piano artistico e
celebrativo. Basti pensare che la Nota pastorale dell’episcopato
italiano su L’adeguamento delle Chiese alla riforma liturgica risale
al 1996.
Invece il generale consenso è stato infranto a partire
dal 1993 con una pubblicazione dal titolo provocatorio Tournés vers le
Seigneur (edizione francese di K. Gamber, prefazione di J. Ratzinger)
con riflessi immediati in Italia. La critica si è protratta –
puntualmente seguita su queste pagine (nel 1996 e soprattutto nel 2001: VP
5/2001, pp. 50-51, "L’orientamento di chiese, altare e
preghiera") – fino alla scorsa primavera che ci ha offerto in
lingua italiana il piccolo saggio di U.M. Lang Rivolti al Signore (Cantagalli
2006, Siena, edito in inglese nel 2004 con la prefazione del cardinale J.
Ratzinger). Attorno a questo libro si è sviluppata una discussione molto
vivace con riferimenti critici alla celebrazione verso il popolo fino a
chiedere una "riforma della riforma". La Sacrosanctum
concilium non accenna alla celebrazione verso il popolo né all’erezione
di nuovi altari, così si esprime l’autore. La decisione è frutto delle
istruzioni post-conciliari. Occorre ritornare almeno all’orientamento
della preghiera eucaristica verso l’Oriente, verso il Signore che dall’Oriente
è venuto e all’Oriente riapparirà.
Lasciamo in
disparte ogni dibattito sulla storia e sulla
natura, compresa la terminologia, dell’altare verso il popolo e
affrontiamo direttamente l’origine conciliare della proposta. Proprio
durante il Concilio è maturata l’idea ed è stata presa la decisione.
Ritengo doverosa questa precisazione (di cui ho anticipato la notizia in Settimana
28-29/2006, p. 2). Intendo avvalermi della documentazione in mio
possesso, avendo partecipato ai lavori conciliari come addetto alla
segreteria (verbalista) della Commissione conciliare di liturgia, dall’inizio
del dibattito sulla Sacrosanctum Concilium fino alla sua
approvazione finale (22.10.1962-4.12.1963).
L’intera ricerca si muove intorno all’art. 128 del
cap. VIII sull’"Arte sacra e la sacra suppellettile" relativo
alla revisione della legislazione circa gli edifici sacri, che è sfuggito
all’attenzione dei nostri studiosi. L’articolo, già presentato come
n. 106 nello schema di costituzione della Commissione preparatoria del
1962 – corredato da una Declaratio che è alle origini di tutta
la problematica, diventato 104 nel capitolo sull’arte sacra durante la
discussione conciliare, nella quale subì alcuni ritocchi – è risultato
articolo 128 nel testo definitivo del cap. VII. Dalla citata Declaratio
è ripresa direttamente la normativa, anzi la stessa formula
riassuntiva dall’istruzione Inter oecumenici, del 1964, all’Ordinamento
generale del Messale Romano.

Doppio altare a Gressoney Saint Jean
(Ao), come in tante chiese italiane (foto Censi).
Seguiamo direttamente il cammino dell’art. 106. Esso
mette esplicitamente in evidenza tra i luoghi sacri "la forma e l’erezione
degli altari"; il testo è rimasto quasi intatto fino a oggi,
seguìto dalla Declaratio che ne precisa ampiamente le modalità
applicative, su cui ritorneremo. Nello schema di costituzione distribuito
ai padri l’articolo diventa 104 del cap. VIII sull’arte sacra e,
sottoposto alle osservazioni dei padri, viene ritoccato su proposta della
rispettiva sottocommissione con l’inserimento della frase «si rivedano
quanto prima, insieme ai libri liturgici a norma dell’art. 25, i canoni
e le disposizioni», ecc. In pari tempo la Commissione conciliare prende
la decisione di unificare i due capitoli VI e VIII, cioè quello sulla
suppellettile e quello sull’arte sacra che diventa cap. VII sull’"Arte
sacra e la sacra suppellettile", e il nostro articolo il 128 del cap.
VII della costituzione.
La
sottocommissione presieduta da monsignor Carlo
Rossi, vescovo di Biella, prende in esame l’intero capitolo e a
proposito del nostro articolo fa rilevare le difficoltà della sua
attuazione, sollevate da molti padri, suggerendo la ristampa e la
distribuzione della Declaratio come del resto «molti padri hanno
richiesto». Così a nome dell’intera Commissione monsignor Rossi nella
relazione sui due capitoli tenuta ai padri conciliari il 31.10.1963
dichiarava: «Infine non pochi padri, per una più retta interpretazione
di quanto disposto in alcuni articoli, specialmente sui canoni e statuti
da rivedere in riferimento all’arte sacra, hanno chiesto che fossero
aggiunte pratiche determinazioni. Anche se non spetta al sacrosanto
Concilio ecumenico il compito di stabilire i particolari, è sembrato
sufficiente dare sommariamente alcune indicazioni, sulle quali spetta alle
commissioni postconciliari il compito di dare disposizioni» (si veda: Emendationes
XI, cap. VI e VIII, 1963, p. 9).
In appendice del fascicolo, pp. 20-21, è pubblicata la Declaratio
all’art. 104, ora 128. I titoli dei singoli numeri si riferiscono
alle chiese, alle sedi presidenziali, all’altare maggiore, agli altari
minori, alla custodia dell’eucaristia, all’ambone, ecc. Due frasi
meritano di essere segnalate perché riassuntive e programmatiche della
nostra questione (riprese dall’istruzione post conciliare Inter
oecumenici 91 e dalla Institutio, ovvero OGMR 262 ora 299)
relativa al distacco dell’altare dalla parete e alla celebrazione verso
il popolo: «Altare maius, quod iam ea ratione a pariete seiunctum sit,
ut facile circumiri queat, congruenter erigatur loco intermedio inter
presbiterium et plebem» (dal n. 4); e «Liceat sacrificium Missae
celebrare versus populum in altari apto» (dal n. 6).
L’assemblea dei padri conciliari su 1.941 votanti
espresse: placet 1.838, non placet 9, iuxta modum 94
(tutti sull’art. 130, nemmeno uno sull’art. 128; si veda: Modi V., Arte
sacra deque sacra suppellectile, 1963, p. 15). All’approvazione
della costituzione Sacrosanctum concilium seguiva la fase di
applicazione a opera del nuovo organismo detto Consilium ad exsequendam
presieduto dai cardinali G. Lercaro e A. Larraona che, in data
26.9.1964, controfirmavano l’istruzione Inter oecumenici. Sotto
il titolo "L’altare maggiore", questa dichiarava: «È bene
che l’altare maggiore sia staccato dalla parete per potervi facilmente
girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo. Nell’edificio sacro
sia posto in luogo tale da risultare come il centro ideale a cui
spontaneamente converga l’interesse di tutta l’assemblea» (91).

Altare verso il popolo nella
basilica di Sant’ Angelo in Formis (Ce),
consacrata nel 1073 (foto Censi).
Era il passo
definitivo del cammino che non si limitava alla
semplice proposta "di celebrare rivolti al popolo", ma disponeva
tanto l’autonomia dell’altare che la sua centralità ideale. Tre
aspetti indivisibili che cambiano totalmente la posizione tradizionale
degli ultimi secoli, finché nel Messale del 1970, promulgato da
Paolo VI, la frase sopra citata veniva inserita nell’Ordinamento
generale 262, diventato oggi 299, con questa formulazione: «L’altare
sia costruito staccato dalla parete, per potervi facilmente girare intorno
e celebrare rivolti verso il popolo: la qual cosa è conveniente
realizzare ovunque sia possibile. L’altare sia poi collocato in modo da
costituire realmente il centro verso il quale spontaneamente converga l’attenzione
dei fedeli».
Ritornando alla citata istruzione, entrata in vigore per
l’Italia il 7.3.1965, quindi in pieno svolgimento del Concilio, non si
può non sottolineare con il teologo-liturgista Pierre-Marie Gy che «la
celebrazione rivolta al popolo nella riforma del Vaticano II è stata la
conseguenza immediata della messa dialogata e della lingua volgare
riconosciuta e legittimata dall’autorità romana a meno di un anno dopo
la Costituzione liturgica e mentre il Concilio era ancora in corso» (La
Maison-Dieu, 229, 2002/1, p. 175).
Di particolare interesse appare la riflessione del
liturgista francese P. Jounel nel 1965: «Il Concilio si è inserito in
questo rinnovamento. Ogni mattina si celebrava la messa rivolti verso l’aula
conciliare, mentre al concilio Vaticano I il celebrante voltava le spalle
ai padri» (cf Commento all’Istruzione del 26 settembre 1964 per l’applicazione
della Costituzione liturgica, Desclée 1966, Roma, pp. 141-142).
Cadono così tutte le accuse e le illazioni sulla celebrazione verso il
popolo come estranea al Concilio e come semplice frutto delle istruzioni
post-conciliari.
Riconosciuta la piena legittimità conciliare della
scelta, si può aprire ora un nuovo dibattito che prenda sul serio l’esperienza
della riforma liturgica compiuta in questi quarant’anni – come è
emerso nel IV Convegno internazionale su "Lo spazio liturgico e il
suo orientamento", svoltosi al monastero di Bose nei giorni
1-3.6.2006 – e al tempo stesso le critiche mosse alla riforma liturgica.
Confrontando le esperienze positive e negative, sarà certamente possibile
trovare una soluzione concordata.
Non si tratta di un semplice passaggio dalla «celebrazione
rivolti al popolo», ecco l’espressione propria del linguaggio liturgico
ufficiale fin dal 1964, all’"orientamento nella preghiera rivolti
al Signore", il primo per la liturgia della Parola e il secondo per
la preghiera eucaristica. Non si deve infatti dimenticare che la preghiera
liturgica, "rivolti al Signore", è diretta non a Gesù Cristo
ma al Padre per Cristo nello Spirito e che il canone romano alla luce del
linguaggio e della storia è orientato verso l’alto: Sursum corda,
«In alto i cuori», cui il popolo risponde: «Sono rivolti al Signore».
Non essendo possibile rivolgersi tutti insieme in
preghiera verso Oriente, si potrebbe pensare a una croce gloriosa,
collocata in alto sopra l’altare, come punto di convergenza dello
sguardo orante di tutta l’assemblea. È un suggerimento conciliante e
conclusivo del citato convegno di Bose, che merita rispetto ma non
convince.
Rinaldo Falsini
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