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«Ekke (mio marito) e io ci
siamo incontrati su una nave mentre come giovani studenti eravamo in
viaggio per l’Europa. La nave si chiamava "Enrico C" ed
era italiana... Io avevo sedici anni, lui venti. Ekke, di origine
tedesca e di religione luterana, si stava convertendo al
cattolicesimo. Abbiamo capito subito che quell’amicizia, nata in
circostanze così singolari, aveva in sé qualcosa di più. Il suo
viaggio era organizzato dalla sua università; il mio dalla mia
scuola. I nostri percorsi si sono incrociati a Lisbona, a Parigi e a
Roma. Poi, siamo ritornati in America sulla stessa nave, lui diretto
a Buenos Aires e io a Rio de Janeiro. Ci siamo detti addio commossi
ed emozionati giungendo alla baia di Rio, poi ciascuno è andato
verso la sua vita e verso il suo Paese. Per due anni ci siamo
scritti solo una volta per augurarci buon Natale. Due anni dopo,
però, mi ha chiamata. Voleva trascorrere il capodanno a Rio con un
amico e mi chiedeva di prenotargli un albergo. Fu quello il momento
del grande nostro incontro e della presa d’atto
"ufficiale" di un amore che non voleva morire. Mi confidò
che durante quei due anni, malgrado la distanza, non mi aveva mai
dimenticata e che voleva sposarmi. Ho detto sì immediatamente ed è
cominciato così per noi un periodo assai duro. Ekke è dovuto
tornare a Buenos Aires per concludere i suoi studi alla facoltà di
diritto ed espletare il servizio militare. Io, nel frattempo, mi
preparavo a iniziare i corsi di comunicazioni sociali all’Università
Cattolica di Rio. Ci scrivevamo tutti i giorni: 250 lettere da una
parte e dall’altra. Un anno e mezzo dopo ci siamo sposati e siamo
andati a vivere in Francia per consentire a lui di specializzarsi in
amministrazione. La nostra prima figlia, Maria Laura, è nata a
Fontainebleau. Avevo appena 20 anni».
-
Su che cosa si basa il vostro
matrimonio?
«Direi a tutt’oggi su una
grande fiducia e in essa la fede gioca un ruolo fondamentale. Ekke
è una persona davvero in avanti sui tempi in quel che tocca il
compito della donna nella famiglia e rispetta la sua domanda di un
lavoro extrafamiliare. Non si è per niente infastidito quando ho
ripreso i miei studi e ho cominciato a lavorare. Piuttosto mi ha
proprio sostenuta. Posso dire che è la persona che mi ha spronato
di più, condividendo generosamente i compiti domestici e
consentendomi così di dedicarmi al lavoro e, poi, di portare a
termine gli studi in teologia sino al dottorato. Siamo sposati ormai
da 33 anni. Lui, poi, già da tre anni lavora per una fondazione che
supporta progetti di Chiesa. Siamo vicini più che mai, felici, ora
che i nostri figli sono cresciuti, di poter lavorare tutti e due a
tempo pieno per la Chiesa che amiamo».
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Che rapporto hai con i tuoi
figli? Ha influito sull’educazione che hai dato loro il tuo
essere teologa?
«Con i miei figli ho un bel
rapporto, ma mi sono sempre imposta di lasciarli liberi per quel che
riguarda la fede e la pratica religiosa. Tutti e tre sono molto
indipendenti e soprattutto i primi due, che hanno 31 e 29 anni,
esercitano delle buone professioni (uno è economista, l’altra è
avvocato) con gran successo nel lavoro e nella vita personale. Devo
dire però che hanno idee tutte loro relativamente a Dio, alla fede,
alla Chiesa... Il che vale soprattutto per la mia figlia più
grande. Direi che è un esempio eclatante di gioventù post-moderna,
con una pluralità, una maniera di vedere le cose alquanto
individualista. Mio figlio è più religioso, malgrado nella sua
vita la pratica ecclesiale resti alquanto irregolare. Penso tuttavia
che i valori che contano siano ben radicati nel profondo del cuore
di questi due giovani. Mi riferisco al senso della giustizia, all’attenzione
per i più poveri, all’onestà nel lavoro e nelle relazioni
personali. Probabilmente è per queste ragioni che nessuno di loro
si è ancora sposato. Sono troppo esigenti nei confronti dei loro
partner che vogliono tali per sempre».
-
E la tua figlia più giovane?
«È diversa. Fa la
giornalista televisiva. È molto sensibile e un poco artista, ma
anche molto spirituale. Pratica la preghiera quotidianamente,
malgrado le aspre critiche all’istituzione ecclesiale. Tenendo
conto dei suoi 25 anni, direi che ciò appartiene alla sua età.
Questa mia ultima è una figlia assai tenera, con una grande
capacità di donarsi, il che spesso la fa molto soffrire».
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Dialoghi con le tue figlie?
«Sì, c’è un buon
dialogo. Tra noi, poi, la solidarietà tra le donne è proprio una
realtà. Lo avverto bene e, del resto, è stato così anche tra me e
mia madre».
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Ma non è ingombrante una madre
teologa?
«Vedi è una cosa che
rispettano e di cui sono fiere, anche se spesso il mio eccessivo
impegno le ha fatte soffrire. Penso comunque che il mio essere
teologa ha di sicuro contribuito a offrire loro una visione positiva
della vita e convinzioni assai salde circa quei valori su cui non è
possibile fare concessioni».
c.m.
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