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Da questo numero parte
una serie di articoli su quanti hanno dato il loro contributo all’unità
del Paese. Tra questi il gesuita napoletano Carlo Maria Curci. Neoguelfo
giobertiano prima, antirisorgimentale e sostenitore del potere temporale
poi, infine sostenitore di un liberalismo aperto ai problemi sociali,
visse il travaglio di molti cattolici divisi tra la fedeltà alla Chiesa e
il forte richiamo dell’ideale nazionale.
Nato
a Napoli nel 1809, Carlo Maria Curci entrò nel
settembre 1826 nella Compagnia di Gesù, dopo aver abbandonato gli studi
giuridici appena iniziati. Dieci anni dopo fu ordinato sacerdote. Nel
1843, pubblicò a Benevento un’edizione del Primato morale e civile
degli italiani di Vincenzo Gioberti, ma le simpatie per il filosofo
piemontese si spensero in seguito alla pubblicazione nel 1845 de I
prolegomeni nel quale Gioberti attaccava apertamente i Gesuiti. Curci
replicò, innescando una vivace polemica, in cui la difesa delle proprie
posizioni si accompagnava a veementi accuse nei confronti dell’avversario.
Il gesuita napoletano in uno scritto del 1849 censurò
nuovamente il progetto giobertiano di confederazione italiana, accusato di
confondersi nell’ancor più nefasto disegno di unità nazionale che «nelle
presenti condizioni è impossibile, non si potria tentare senza fellonia e
sacrilegi, non ha, né può avere il suffragio della maggioranza; e in
somma non servirà che per distruggere, lasciando ai venturi la lunga e
faticosa opera di riedificare sulle nostre ruine»; per Curci, «alla
unità nazionale i nostri popoli non son maturi e non attaccano verun
positivo interesse, appunto perché vi veggono compromessa la giustizia,
la religione, e fino le tradizioni patrie».
Le posizioni di Curci si fondavano non soltanto su
considerazioni di tipo politico, ma anche su perentori richiami a obblighi
religiosi. L’opposizione al liberalismo e la difesa del potere temporale
del Papa (messo in discussione dai diversi progetti nazionali) facevano
parte dei doveri di ogni cristiano ed esprimevano l’aderenza all’unico
e autentico deposito della fede cattolica. Forte di queste convinzioni,
nel 1850, Curci collaborò attivamente alla fondazione della Civiltà
Cattolica: il periodico ebbe un immediato successo e un’ampia
diffusione in tutta la Penisola (Cf Giandomenico Mucci, Carlo Maria
Curci. Il fondatore della «Civiltà Cattolica», Edizioni Studium,
Roma).

Padre Curci al centro (dal libro
di G. Mucci).
Negli anni successivi, maturò il progressivo distacco
del padre Curci dalle linee sostenute dal periodico dei Gesuiti italiani e
divenne evidente la sua incompatibilità non soltanto con il gruppo
redazionale, ma con la stessa Compagnia di Gesù, per le diverse
valutazioni espresse intorno all’unificazione italiana e alla presa di
Roma. La pubblicazione in cinque volumi delle sue Lezioni esegetiche e
morali sopra i quattro evangeli (1874-1876), in cui le "austere e
sante dottrine del Vangelo" erano lette in chiave anti-temporalistica,
provocò la rottura definitiva e la sua uscita dall’ordine.
Curci sosteneva, infatti, la necessità per il Papa di
prendere atto della nuova situazione venutasi a creare con la presa di
Porta Pia e di trovare un accordo con il Regno sabaudo che era stato causa
inconsapevole della nuova provvidenziale situazione della Chiesa
cattolica: l’abbattimento del potere temporale del Papa. Questo evento,
benché avvenuto attraverso la violazione dei diritti del Papato sui
territori pontifici, poteva essere l’inizio di una riforma ecclesiastica
e di una nuova fase di cristianizzazione a favore di coloro che a causa
del conflitto tra Stato e Chiesa si erano allontanati dalla religione.

La breccia di Porta Pia in una
stampa dell’epoca (foto Soncini).
L’uscita di Curci dalla Compagnia di Gesù non
significò l’abbandono del suo ministero sacerdotale, ma permise la
pubblicazione, in tempi successivi, di numerose opere in cui si auspicava
un’ampia conciliazione con il pensiero liberale e il mondo moderno. Il
Sant’Uffizio pose all’Indice i suoi volumi La nuova Italia ed i
vecchi zelanti (1881), Il Vaticano regio, tarlo superstite della
Chiesa cattolica (1883) e Lo scandalo del "Vaticano
regio" (1884) e l’autore, ormai trasferitosi definitivamente a
Firenze, fu sospeso a divinis. Le accuse più sferzanti di Curci
erano lanciate contro «il Vaticano, il quale ha non poco contribuito a
far perdere alla società quella Fede, quel sentimento e quella fiducia»
in Dio, attenendosi rigidamente agli articoli del Sillabo che, «nella
maniera equivoca e dura, onde sono espressi, contengono la negazione e la
condanna di ciò, che la civiltà moderna ha oggi di più caro, per cui
ottenere ha tanto fatto e patito, e di cui più di tutto è orgogliosa».
Dopo un penoso travaglio interiore, Curci si sottomise
alle decisioni vaticane e, nel settembre 1884, ritrattò pubblicamente le
sue precedenti affermazioni. L’anno successivo comparì Di un
socialismo cristiano: fu l’ultima opera dell’anziano sacerdote che
rivelava un’inedita apertura ai temi sociali non rintracciabile negli
ambienti conciliatoristi, generalmente più conservatori di lui intorno a
tali questioni.

I bersaglieri alla breccia di
Porta Pia nel settembre 1870.
Come conciliare laicismo e fede?
L’idea di fondo che rimase costante nella produzione
curciana fu la convinzione che solo attraverso il rinnovamento cristiano
della civiltà si potesse giungere al rinnovamento politico degli Stati.
La cristianizzazione della società poteva avvenire attraverso la radicale
riforma della vita religiosa e l’accettazione di alcuni ideali espressi
dalla società moderna (primo tra tutti, la libertà); Curci non si
nascondeva, però, la difficoltà di conciliare il laicismo, diffuso in
gran parte della cultura europea, con la fede cristiana. Dai suoi studi di
esegesi biblica, continuati per tutta la vita, Curci traeva la speranza di
un accordo tra religione e ragione e intravedeva una Chiesa non più
contrapposta alla società moderna, ma una comunità evangelica, forse
ridotta a "piccolo gregge", in grado di offrire la necessaria
sintesi tra il Vangelo e i valori della cultura.
Neoguelfo sulla scia di Gioberti, prima;
antirisorgimentale e difensore acceso del potere temporale del Papa, poi;
infine, sostenitore del liberalismo e della necessaria conciliazione tra
Chiesa cattolica e Regno sabaudo. Carlo Maria Curci abbracciò con uguale
convinzione, in momenti diversi della sua lunga vita, idee tra loro
opposte e aspramente in conflitto, testimoniando la lacerazione vissuta da
molti cattolici italiani nel corso dell’Ottocento, divisi tra la
fedeltà alla Chiesa di Roma e il richiamo sempre più forte dell’ideale
nazionale.
Marta Margotti
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