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Escono
in volume le opere dello scrittore emiliano, che non è mai stato un
cantore della leggerezza. Il giovanilismo e lo spirito libertino delle
prime prove sono radicalmente messi in discussione su quella via di
Damasco che è l’"abbandono", quasi figura del deserto
biblico. È
dell’estate 2000 la pubblicazione, da parte dell’editore Bompiani
e a cura di Fulvio Panzeri, del primo volume della raccolta completa delle
Opere dello scrittore Pier Vittorio Tondelli (1955-1991), uscite
separatamente in prima edizione nell’arco di quattordici anni tra il
1980 e il 1994. Occuparsi di Tondelli significa confrontarsi con una
produzione letteraria intensa, anche se breve per la prematura morte nel
’91 dell’autore, a trentasei anni. Il giovane scrittore emiliano ha
suscitato scandalo sin dall’inizio a causa della censura e del sequestro
dell’opera prima, Altri libertini, considerata «opera
luridamente blasfema» che «stimola violentemente i lettori alla
depravazione e al disprezzo della religione» e questo, oltre che per il
linguaggio, anche per la tematica autobiografica dell’omosessualità,
presente in essa come in molta parte della restante produzione.
Occuparsi dunque di un’opera letteraria con queste
premesse richiede un’attenzione particolare per andare al di là di
aspetti che a un approccio frettoloso potrebbero apparire inaccettabili.

Lo scrittore Pier Vittorio
Tondelli.
Nato nel 1955, è morto a soli 36 anni.
Un "tormento
esistenziale di natura teologica". Nelle
sei storie della raccolta Altri libertini (1980) la cifra per
comprendere il libertinaggio e le avventure on the road, per
sentieri che hanno sempre la loro interruzione negli Scoramenti, è
in modo esplicito la "salvezza", che si fonde con il tema del
ritorno a un Eden perduto espresso in termini pascaliani. In Pao Pao (1982),
romanzo sulla vita militare, domina il «vagare per sentieri che non
conosciamo» alla ricerca disperata di una «misteriosa e armonica
frequenza che schiude il senso e fa capire». La contraddizione degli
stili di una società illuminata da fari al neon – quale emerge nello
spazio pubblico della raccolta di saggi dal titolo Un weekend
postmoderno (1990) e in quello privato della commedia teatrale Dinner
Party (pubblicato postumo nel 1994) – è un grido contro l’inautenticità
e contro la dannazione generazionale intrisa di una cultura della
trasgressione che rende impossibile qualsiasi parola di salvezza. Ma la
tematica religiosa emerge in termini sempre più espliciti con Pier a
Gennaio, un racconto della raccolta L’Abbandono (pubblicata
postuma nel 1993) e poi nei romanzi Rimini (1987) e Camere
separate (1989), oltre che nella raccolta di frammenti dal titolo Biglietti
agli amici (1986) e nelle note rimaste per l’incompiuto Sante
Messe.
Vari sono, ad esempio, i libri religiosi che
costituiscono un punto di riferimento così per l’autore come per Leo,
protagonista di Camere separate. Innanzitutto la Bibbia in
traduzioni diverse: «La sua mano cerca nella libreria, automaticamente la
Bibbia». E poi Le grandi correnti della mistica ebraica, l’Imitazione
di Cristo, i mistici medievali, Teresa di Lisieux, il Libro
tibetano dei morti, con il desiderio di possedere in casa tutti i
volumi della Bibliotheca Sanctorum: «Mi affascina», ha affermato
lo scrittore, «il poterli sfogliare, cercare, leggere storie, l’idea
della santità. È un modo come un altro per rimanere, pur nell’inevitabile
e anche contraddittorio divenire, attaccati al senso di una ricerca lunga
quanto la nostra vita». Nell’89 è lo stesso Tondelli a rivelare: «Credo
che ognuno allevato o cresciuto in una religione abbia una propria
religiosità. Io ho sempre cercato non tanto di fare un discorso sulla
fede cattolica, ma di esprimere quello che è la mia religiosità,
indubbiamente all’interno del cristianesimo che deve trovare o che cerca
o che mette in discussione, soprattutto nel confronto con altri autori, le
sue posizioni».
Un luogo particolarmente significativo in cui emerge l’interesse
religioso è una intervista che Tondelli ha realizzato con lo scrittore
Carlo Coccioli un anno dopo la pubblicazione di Camere separate. In
Coccioli – forse l’unico narratore italiano contemporaneo in cui il
discorso religioso appaia decisivo elemento ispiratore – egli forse
cercava un modello di ordine spirituale e di ricerca religiosa. Il «tormento
esistenziale di natura teologica» rende Coccioli «un uomo in fuga,
poiché gli è chiaro che la dimensione dello spazio e del tempo in cui
vive è solamente una parodia, un vago riflesso del paradiso terrestre,
per cui, nel fondo, l’uomo religioso è colui che cerca di sfuggire alle
costrizioni del presente, che vuole tornare a una dimensione sacrale, di
cui avverte la nostalgia». Tondelli riflette, «per gran parte della
notte, solo, al computer, con un po’ di musica in sottofondo» sulle
parole e sulla religiosità di Coccioli, per il quale la vera distinzione
è tra gli uomini religiosi e quelli che invece non lo sono.
Bruno, uno dei personaggi principali di Rimini,
in una lettera scriverà: «Ho sempre cercato "tutto" nella
vita: la verità e l’assoluto. Ho sempre detestato la gente soddisfatta».
Una cosa accomuna Bruno e il suo confidente e confessore padre Anselmo: è
lo stesso religioso a costatarlo in una delle pagine più belle dello
scrittore: «Sei uno sradicato come me. Non abbiamo casa, ma ne abbiamo
tantissime. (...) Quello che fa di noi degli apolidi è l’inquietudine
di amare Dio. Ma c’è un fatto (...) che cerchi Dio e non ti accontenti
di averlo trovato. Vorresti una vita diversa, vorresti fermarti a riposare
in Dio, ma non lo farai perché niente ti basterebbe mai. Molti vedono
solo una piccola fessura dove tu trovi invece crepe e abissi. Cercherai
Dio per tutta la vita e questo basterà a salvarti. Non smettere mai di
cercare, ma sappi che, ovunque tu vada, ti guiderà sempre la sua Grazia».
Anche Leo di Camere separate ricorda, sorridendo, ciò che gli
disse un suo amico sacerdote: «You have been bitten by the metaphysical
bug» (Sei stato punto dalla cimice metafisica), frase ripresa nelle
ultime righe del romanzo.

Il linguaggio
innamorato di Dio e le cifre del sacro. Molto
dell’animo di Tondelli nei suoi desideri e nelle sue paure confluisce in
Camere separate. Queste pagine sono il frutto di una ricerca
letteraria a cui lo scrittore si dedicò a partire dal 1986, tesa a
costruire esplicitamente una "fenomenologia dell’abbandono": «Abbandono
d’amore, abbandono della persona amata, abbandono delle cose o forse
anche della realtà». Al centro della narrazione è la relazione tra Leo
e Thomas vissuta nella "separazione", vero tema del libro:
Thomas è morto e Leo vive in una mai esaurita e definitiva elaborazione
di questo lutto, nella continua memoria del passato, tesa alla ricerca del
tempo perduto. È da condividere ciò che una volta lo scrittore amico e
coetaneo di Tondelli, Claudio Piersanti, ha affermato a proposito di Camere
separate e cioè che questo romanzo non fa pensare alla specificità
dell’amore omosessuale. Il romanzo tocca corde universali: esprime una
verità emozionale valida per ciascun essere umano in quanto tale. È
anche condivisibile l’affermazione riportata in un volume su Tondelli
e la musica (Baldini & Castoldi, 1998), secondo la quale in
realtà nei romanzi di Tondelli non esiste omosessualità considerata come
"problema", ma una più universale espressione dell’uomo e
della donna come esigenza d’amore in senso assoluto, senza categorie e
ruoli di differenziazione.
La cifra dell’abbandono è quella con cui Leo di Camere
separate legge i vangeli, che gli appaiono come «tableaux di una
fiaba che non comprende». Ama invece il linguaggio innamorato e adirato
di Dio nel profeta Osea, riflette «sulla metafora per cui Dio sceglie di
concepire il suo popolo dal ventre di una prostituta» e «considera il
fatto che Dio si rivolge al figlio con il linguaggio dell’innamorato,
quando lo vede chinarsi sul piccolo Israele per insegnargli a camminare,
tenendolo per mano» o anche percepisce l’ira di Dio per il tradimento e
la sordità con cui il suo amore viene ricambiato. In questi momenti Leo «avverte
in sé la propria vocazione religiosa come qualcosa di irrinunciabile». E
affiorano alla memoria «la sua giovinezza, le ore di meditazione, le
discussioni con i sacerdoti, la recita della Parola». Leo «celebra come
liturgia la vita stessa» e la sua devozione consiste in un atteggiamento
di osservazione, contemplazione e ascolto delle cose e degli uomini, «un
osservare e contemplare, che ha a che fare con il suo stesso modo di
essere». Questo è preghiera: egli avverte «la presenza del sacro come
qualcosa di tangibile nella realtà, qualcosa su cui il suo sguardo si
posa con devozione».
Leo dice della propria religiosità: «Se ha abbandonato
la pratica della religione in cui è cresciuto e attraverso la quale ha
imparato a segnare il mondo, il suo ambiente, i suoi sentimenti, l’ha
fatto per l’inconciliabilità di fondo fra la sua vita e il suo
misticismo. L’ha fatto perché portava non solo la propria emotività,
ma anche la sua sensualità, nella ricerca di Dio. Nello stesso tempo
vedeva la religione vissuta in modo sdilinquito, atrocemente svirilizzato
senza la passione feconda, la recettività violenta della femminilità o l’esuberanza
della virilità. Una religione senza sesso per uomini che hanno paura
delle passioni e della forza dell’amore. Una religione accomodante,
borghese, il più delle volte ipocrita. Mentre invece, anche nella sua
silenziosa preghiera, lui era consapevole di mettere in gioco tutta la
propria sessualità. Per questo leggeva Osea. Perché in quelle pagine non
c’era una visione esclusivamente mentale del rapporto fra Dio e il suo
popolo, ma una rappresentazione di corpi, di prostituzione, di abbandono,
di delirio della separazione, di rabbia, di paterna protezione». È su
questa linea che per Tondelli assume valore la castità: «La castità è
una virtù mistica, per quanti l’hanno scelta, e forse l’uso sovrumano
della sessualità». La castità come valore non è qui astrazione dalla
sessualità, svilimento e rinuncia. Quest’ultima uccide, confinando l’uomo
«in una zona incattivita e sterile dalla quale è sempre più difficile
uscire», rendendolo «un grumo irrisolto di rancore e di odio». La
castità vera è invece l’uso sovrumano e soprannaturale della
sessualità: «La mistica ha il cuore caldo dell’eros» e ciò significa
«imparare a ascoltare la divina attrazione».

Fulvio Panzeri, il critico che ha
curato il primo volume delle opere di Tondelli.
La croce è un
seme di risurrezione. L’immagine di salvezza e
di redenzione dalla «voragine dell’abbandono» (Rimini) non è
presente in modo chiaro: «Ancora lui non sente la redenzione arrivata
nella sua vita» (Camere), tuttavia si delinea un orizzonte, che è
quello della croce. In Camere separate il corpo crocifisso e «avvolto
nel sudario» di Thomas, è incollato misticamente alla pelle di Leo, come
delle stimmate che invocano tacitamente il grido di Cristo in croce: «Dio
mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». È, quello di Leo, un grido,
strettamente unito a quello di Thomas, un grido di dolore e di abbandono.
Il linguaggio religioso più alto esprime la sofferenza di Thomas nei
termini della croce di Cristo. La processione del Venerdì santo,
rivissuta nella memoria di ciò che accadeva al proprio paese al tempo
dell’infanzia, porta Leo a riconoscere nella statua di Cristo morto il
corpo di Thomas e «ha la certezza che in quel giorno lontano lui stava
già assistendo al funerale del suo compagno». La pietà per il Cristo,
pietà contadina, cruda e senza fiori, fa tutt’uno con la pietà
straziante per Thomas.
Al suo paese, da adolescente, portava in processione la
statua della Madonna, ma non ha mai portato in processione Cristo morto,
perché «la vita lo ha spinto ad abbandonare poco prima di accedere alla
parte della processione da sempre riservata agli uomini e all’età
adulta». Leo non porta la croce sulle spalle, ma alla figura di Cristo «con
le ferite sanguinanti, la corona di spine, i buchi dei chiodi, il costato
lacerato» si sovrappone non solo l’immagine di Thomas, ma anche la
propria, associato totalmente nel mistero del dolore e dell’abbandono, «insozzato
di dolore e di angoscia», fino a non percepire alcuna speranza di
risurrezione. Tuttavia non siamo affatto alla soglia della dannazione.
Infatti in modo sottile ma certo, proprio l’angoscia è il filo che
tiene uniti Leo, Thomas e il Cristo stesso, il filo dell’eredità dell’affetto
e di una fratellanza di compassione. Ma già in Camere separate Thomas
morto non è solo un cadavere che si sente incollato addosso, ma «un seme
di vita sepolto nella propria mortalità».
La speranza è viva e di questa grazia Leo è custode
cooperante: «Lui culla, nel profondo, questo seme, lo scalda, assiste
alla sua crescita cercando di crescere con lui», celebrando «come
liturgia la vita stessa». È ancora il Sabato santo di chi attende che
domani germogli la messe, anche se al presente il chicco di grano caduto
in terra, sepolto nella terra, non vede nulla delle messi. Nell’ottobre
del ’91, appena due mesi e mezzo prima della sua morte, all’ospedale
di Reggio Emilia in cui era ricoverato, aveva messo giù delle note su un
volume che avrebbe voluto un po’ underground. Si tratta di Sante
Messe da pubblicare con le Edizioni L’Obliquo di Brescia. Il
desiderio è quello di raccontare in "prosa poematica" alcune
messe: quella solenne e patriottica di Budapest, la messa ad Amsterdam con
il caffè e i toast, la messa beat, la messa solenne in San Pietro, quella
gregoriana, ambrosiana e piccole messe di campagna, volendo chiudere con «quella
in cui voi accompagnerete le mie spoglie». Nei pochi appunti si parla di
santità e di illuminazione, di «Via della Croce» e di carità e
testimonianza. In particolare di un interesse per i rapporti tra
cristianesimo ed ebraismo, ma soprattutto l’ultima frase: «La preghiera
continua, le suore che alle 3 dicono le lodi, c’è qualcuno che prega
per te...». L’ultima tremante lettera all’amico Fulvio Panzeri si
conclude con «Tuo fratello in Cristo, Pier».
Nell’itinerario di lettura non possiamo non sentire,
come ha notato Geno Pampaloni, una ossessione di assoluto, continua,
urgente o nostalgica. Tondelli non è mai stato un cantore della
leggerezza, ma l’interprete di una dialettica tra la libertà
individuale fino alle pastoie dell’arbitrio e un destino soprannaturale
dal sapore sempre più intenso della fede. In ogni caso il giovanilismo e
l’arbitrio libertino delle prime opere è radicalmente messo in
discussione su quella via di Damasco che è l’"abbandono",
quasi figura del deserto biblico. È la ricerca nell’attraversamento di
ogni separazione, che afferma la "qualità" dell’uomo
tondelliano, al di là di ogni vano nomadismo. L’ultimo libro letto da
Tondelli in ospedale fu la traduzione della Prima lettera ai Corinti fatta
da Giovanni Testori. In questo testo sono presenti delle annotazioni
preziose (le riporto nel mio Pier Vittorio Tondelli. Attraversare l’attesa,
Reggio Emilia, Diabasis, 1999). Tra queste leggiamo un appunto scritto con
grafia tremante: «La letteratura non salva, mai (...). L’unica cosa che
salva è l’Amore, la fede e la ricaduta della Grazia». Sono state le
sue ultime parole.
Antonio Spadaro
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