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La crescente diffusione della cremazione non è la
sola ragione, ma certamente quella determinante
che ha condotto con una certa urgenza alla seconda
edizione italiana del Rito delle esequie. Questa è la
parte veramente nuova del rituale e costituisce un appendice
di ben 42 pagine con un'introduzione che sintetizza
le ragioni dottrinali e pastorali riguardanti le
esequie in caso di cremazione.
L'appendice è giustificata
dal fatto che questa
parte è propria alla
Chiesa italiana in aggiunta
all'edizione tipica latina

Gerusalemme, 15.12.12: le ceneri
di Santina Zucchinelli vengono poggiate
nel Santo Sepolcro dopo la cremazione. (foto WWW.ROCCIADELMIOCUORE.IT).
Fin dal 1963 l'allora
Congregazione del
Sant'Uffizio ha permesso
per i cattolici la cremazione
purché tale «scelta non
risulti dettata da motivazioni
contrarie alla dottrina
cristiana» (RE 15). Infatti,
la cremazione, sebbene
non abituale nella prassi
cristiana, fu esplicitamente
proibita soltanto
nel 1887 da Leone XIII,
non in quanto tale, ma per
la ragione che essa era diventata
una chiara manifestazione
di ateismo e di
odio verso la Chiesa da
parte della massoneria. La
comunità cristiana fin dalle
origini, seguendo la tradizione
ebraica, ha privilegiato
l'inumazione, cioè la
sepoltura nella terra. Prassi
che fin dai tempi più remoti
caratterizza la presenza dell'uomo religioso su
questo pianeta. Per il cristiano l'inumazione evoca l'immagine
del chicco di grano che, caduto in terra, produce
molto frutto; immagine cui Gesù assimila la sua
morte e risurrezione (cf Gv 12,24). Soprattutto questo
modo di sepoltura evoca il tempo trascorso da Gesù
nel ventre della terra prima della sua risurrezione.
Pur manifestando chiaramente la preferenza per
l'inumazione, nell'attuale contesto culturale non è
più la cremazione che suscita perplessità nella comunità
cristiana, ma due prassi susseguenti: la dispersione
delle ceneri o la loro conservazione «in luoghi diversi
dal cimitero, come ad esempio nelle abitazioni
private» (RE 165). Infatti, la dispersione delle ceneri
«rende più difficile il ricordo dei morti, estinguendolo
anzitempo»; mentre la conservazione delle ceneri
in abitazioni private costituisce una "eredità" che
può diventare imbarazzante per la generazione successiva
(se non prima!) della stessa famiglia. Sia
nell'uno che nell'altro caso, emerge una dimensione
individualista e privatistica della morte che non appartiene
alla comunità cristiana. Per questo entrambe
le scelte sono chiaramente e fortemente disapprovate
senza per questo arrivare a un'esplicita proibizione
che creerebbe più problemi di quanti non ne risolva.
Convincere è sempre
meglio che proibire. Comunque
per chi ha scelto
la cremazione nulla cambia
nella struttura celebrativa
delle esequie; si tratta
solo di evitare di scegliere
testi che facciano esplicito
riferimento all'inumazione
o non adatti alla particolare
situazione.
È rarissimo, ma può
succedere che il feretro
debba essere «portato direttamente
nel luogo della
cremazione, senza una celebrazione
in chiesa» (RE
p. 211; cf anche n. 15). In
tal caso il corpo del battezzato
defunto ha diritto alle
esequie cristiane. Nel
luogo della cremazione
non è prevista la messa.
Non è, e non deve neppure
apparire come una norma
"punitiva". A prescindere
dalle difficoltà
dell'ambiente che, in genere,
non è provvisto di un
luogo adeguato, la celebrazione
eucaristica trova la
sua corretta e più significativa collocazione nel contesto
della comunità parrocchiale; in quella chiesa (anche
se non è proprio quella in cui si è nati e cresciuti)
che in qualche modo evoca tutte le tappe sacramentali
dell'esistenza cristiana.
Proprio per questa ragione, contrariamente all'edizione
precedente (cf RE/1974 91), il nuovo rituale
non prevede più la possibilità della messa esequiale
nella cappella del cimitero e tanto meno nella casa privata.
«La messa sarà celebrata a tempo opportuno,
prima o dopo le esequie, ma senza la presenza del corpo
del defunto» (RE 99). Un rinvio che, forse, sarebbe
opportuno anche in altri casi; quando, ad esempio,
si prevede un'assemblea composta in maggioranza da
non praticanti e persino da non credenti. Un rinvio
che rispetterebbe in primo luogo il sacramento eucaristico
e anche le persone che, in maggioranza, sono
presenti per lodevoli sentimenti di umana condoglianza,
ma non per fede.
Silvano Sirboni
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