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Ricalibrare i rapporti tra Chiesa e Stato in maniera coerente con lo spirito
e la lettera del Concilio, che ha voluto rendere la Chiesa libera da ogni legame
con il potere, è un compito non perfettamente attuato, almeno in Italia.

«Fare il sindaco è un mestieraccio difficile
ma affascinante»: scrive Matteo Renzi l'11
giugno (qui ad Alba, 22.10.12, per le primarie (foto CENSI)
Accingendomi a studiare dal
punto di vista teologico il problema
dei rapporti della Chiesa
con la società civile in un regime
di laicità dello Stato, e scorrendo
i documenti conciliari, ho osservato,
con un certo stupore, che il
termine "democrazia" non vi compare
mai. Molte cose vi si dicono
sul necessario rispetto della dignità
e della libertà della persona umana,
ma – mi sono chiesto – come mai
non si parla direttamente di democrazia?
Bisognerebbe fare un'indagine
sugli Acta synodalia per appurare
i percorsi della redazione dei testi.
Non potendolo fare, però, è facile
immaginare le ragioni, a partire
dal contesto storico sia esterno che
interno alla Chiesa, che hanno dissuaso
i Padri conciliari dall'esprimersi
con questo termine.
Al tempo del Concilio, infatti, sovrabbondavano
nel mondo nazioni
governate da crudeli dittature, che
si ammantavano del nobile nome
di repubblica popolare o repubblica
democratica. Basti ricordare la
Ddr, la repubblica democratica tedesca,
che nel 1961, quando il Concilio
stava per iniziare, a Berlino costruiva
il muro e dichiarava delitto
contro lo Stato, punibile con la
morte, l'attraversamento del confine,
mentre l'ateismo di Stato veniva
imposto come la piattaforma di
tutto il sistema educativo. Ce n'era
abbastanza per diffidare
del termine.
Il problema nasceva
anche dall'interno della
Chiesa stessa, se appena
ricordiamo la ripetuta
condanna della democrazia,
assimilata all'indifferentismo
morale e
religioso, da parte del
magistero dei papi.
Basti citare la Mirari
vos (1832) di Gregorio
XVI, che definisce il sistema delle libertà
moderne come «perversa opinione
[...] delirio [...] errore velenosissimo
[...] inquinatissima sorgente di
quella piena e smodata libertà d'opinare
che va sempre alimentandosi a
danno della Chiesa e dello Stato».
Dal fatto che il sistema democratico
di governo dà ad ogni cittadino,
indipendentemente dalla sua religione
e dalla sua visione della vita, il diritto
di manifestare e diffondere le
sue idee e così contribuire a determinare,
con il suo voto, l'ordinamento
della società, la morale cattolica deduceva,
e non senza un
qualche fondamento,
che un tale sistema di
governo avrebbe abbandonato
la società e la coscienza
civile dei cittadini
all'arbitrio morale.
Ricavandosi il giudizio
morale non solo dalla rivelazione,
ma anche dalla
legge naturale, della
cui interpretazione il solo
magistero della Chiesa
è investito da Dio, se ne deduceva
che la legislazione degli Stati, indipendentemente
dalla fede, deve
sottomettere al giudizio morale del
magistero la sua legislazione.
Leone XIII, nell'Immortale Dei
del 1885, dichiarava esplicitamente
la sua nostalgia per l'epoca nella quale
«la filosofia dell'Evangelo governava
gli Stati», quando «la religione
di Gesù Cristo, posta solidamente in
quell'onorevole grado che le spettava,
andava fiorendo all'ombra del favore
dei príncipi e della dovuta protezione
dei magistrati». Separazione
della Chiesa dallo Stato, laicità delle
istituzioni civili, libertà e parità di diritti
delle religioni, sistema democratico
di governo erano, quindi, inesorabilmente
da condannare.
Sarà solo Pio XII, nel famoso Radiomessaggio
del Natale 1944, a dire
le prime parole di apprezzamento
della democrazia, considerando
che essa avrebbe potuto evitare alle
nazioni la tragedia della guerra. Ma
la si pensa sempre nel quadro di
uno Stato confessionale, che in
ogni modo dovrà privilegiare la religione
cattolica e l'autoritàmorale
del magistero della Chiesa.

Alba, 25.2.13: spoglio delle schede per le elezioni politiche e regionali (foto MARCATO)
La buona politica è servizio
Il Concilio ha compiuto su questo
tema una svolta decisiva. Dal punto di vista della dialettica conciliare,
il giudizio positivo sulla democrazia
è dovuto principalmente
all'influenza dei vescovi degli Stati
Uniti, che vi apportarono la loro
esperienza felice di una libera Chiesa
in libero Stato. Dal punto di vista
interno ai contenuti dottrinali, il
motivo fu l'aver collocato in primo
piano, nei rapporti dell'uomo con
Dio, la persona con la sua libertà e
la sua dignità.
La Dei Verbum nel numero 2 definì
l'evento della rivelazione e della
fede come un rapporto personale
con Dio, il quale «nel suo grande
amore parla agli uomini come ad
amici e s'intrattiene con essi, per invitarli
e ammetterli alla comunione
con sé» e ne derivò l'alto senso della
dignità di ogni persona umana,
che accompagnerà tutto il
restante discorso conciliare.
Ne conseguì la ripresa
di «un elemento fondamentale
della dottrina cattolica,
contenuto nella parola
di Dio e costantemente
predicato dai Padri»,
cioè che «gli esseri umani
sono tenuti a rispondere a
Dio credendo volontariamente
[...] giacché non
possono aderire a Dio che
ad essi si rivela, se il Padre
non li trae e se non prestano
a Dio un ossequio di fede
ragionevole e libero».
Ne seguì non solo la legittimazione,
ma l'alto apprezzamento
di quel sistema
di governo della società
che, garantendo a ciascuno la libertà
di religione e di perseguire la
sua visione della vita, «contribuisce
non poco a creare quell'ambiente
sociale nel quale gli esseri umani
possono essere invitati senza alcuna
difficoltà alla fede cristiana, e
possono abbracciarla liberamente e
professarla con vigore in tutte le manifestazioni
della vita» (DH 10). In
termini più diretti è come aver detto
che la fede trova nell'ordinamento
democratico della società l'ambiente
migliore per la sua testimonianza
e la sua diffusione.
Così il Concilio può fare sua l'aspirazione,
che i Padri scorgono molto
diffusa nel mondo, a «instaurare un
ordine politico, sociale ed economico
che sempre più e meglio serva l'uomo
e aiuti i singoli e i gruppi ad affermare
e sviluppare la propria dignità
», giacché «l'uomo può volgersi al
bene soltanto nella libertà» (GS 9).
A lungo la Chiesa aveva osteggiato
le cosiddette "libertà moderne",
pensando che si dovesse garantire
prima di tutto all'uomo il perseguimento
del bene oggettivo in forza di
un sistema giuridico e politico, le cui
decisioni attingessero la loro legittimazione
dalla morale cattolica, enunciata
dal magistero della Chiesa.
La svolta operata dai Padri conciliari
del Vaticano II appare chiara,
quando essi sostengono che
«l'ordine sociale pertanto e il suo
progresso debbono sempre lasciar
prevalere il bene delle persone, poiché
l'ordine delle cose deve essere
subordinato all'ordine delle persone
e non l'inverso», trovando un
suo «equilibrio sempre più umano
nella libertà». Non si manca di ricordare
«quanto suggerisce il Signore
stesso quando dice che il sabato
è fatto per l'uomo e non l'uomo
per il sabato» (GS 26).
La preoccupazione di partenza
del Concilio, infatti, era proprio
quella di superare il plurisecolare
conflitto con il mondo moderno: il
primo passo doveva essere la manifestazione
del rispetto e dell'amore
della Chiesa anche per «coloro che
pensano od operano diversamente
da noi nelle cose sociali, politiche e
persino religiose, poiché con quanta
maggiore umanità e amore penetreremo
nei loro modi di vedere,
tanto più facilmente potremo con
loro iniziare un dialogo». Non si
tratta di abbandonare l'amore per
la verità, la certezza della fede, il
compito di operare perché tutti possano
condividerla. Si dice, infatti
che «certamente tale amore e amabilità
non devono in alcun modo renderci
indifferenti verso la verità e il
bene». Ma si aggiunge che «occorre
distinguere tra errore, sempre da rifiutarsi,
ed errante, che conserva
sempre la dignità di persona, anche
quando è macchiato da false o insufficienti
nozioni religiose» (GS 28).
Democrazia a difesa dei diritti
È noto il detto di Churchill, secondo
il quale la democrazia è un
pessimo sistema di governo, ma fino
ad ora non se n'è inventato uno
migliore. Oggi, in particolar modo
negli ambienti cattolici, la democrazia
non di rado è guardata con diffidenza:
è vero, infatti, che
essa non offre garanzie
che la decisione della maggioranza
dei cittadini sia
sempre buona e giusta.
Vedi la sorte dei poveri
nelle nazioni ricche. Il
Concilio era anche preoccupato
di non dogmatizzare
alcun sistema di governo
della società, perché
«le modalità concrete con
le quali la comunità politica
organizza le proprie
strutture e l'equilibrio dei
pubblici poteri possono
variare, secondo l'indole
dei diversi popoli e il cammino
della storia».
Ma per il Concilio non
c'è dubbio che «è in ogni
caso inumano che l'autorità politica
assuma forme totalitarie, oppure forme
dittatoriali che ledano i diritti della
persona o dei gruppi sociali» (GS
74). L'antidoto è la protezione di
quei diritti che la cultura laica moderna
aveva elaborato, come «ad
esempio, il diritto di liberamente riunirsi,
associarsi, esprimere le proprie
opinioni e professare la religione
in privato e in pubblico» (GS 73).
Un compito ancora non perfettamente
attuato, almeno in Italia, è
quello di ricalibrare i rapporti fra la
Chiesa e lo Stato in maniera coerente
con lo spirito e la lettera di quel
Concilio che ha voluto rendere la
Chiesa libera da ogni legame con il
potere, perché possa avere aperte
davanti a sé le vie di una rinnovata
testimonianza della fede.
Severino Dianich
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