La carriera diplomatica |
Nel 2012 festeggeremo il 50°
anniversario del concilio
Vaticano II, voluto in modo
inaspettato da un grande
profeta dei tempi moderni:
Angelo Giuseppe Roncalli,
25.11.1881-3.6.1963, che
per fortuna si è smesso
di chiamare il "Papa buono".
Oggi la storiografia lo rivaluta
nel contesto internazionale
e tutti i fedeli lo vogliono santo,
dopo che papa Wojtyla lo ha
proclamato beato il 3.9.2000.
«Quando, con sentimento di
viva gratitudine a Dio, mi
ripiego a considerare le varie
tappe della mia esistenza, amo rilevare
come, degli ottanta già vissuti,
quaranta li ho offerti, secondo
l'obbedienza, alla mia diocesi nativa
e gli altri quaranta, ancora e sempre
sotto il segno dell'obbedienza,
al servizio della santa Chiesa universale
», così Giovanni XXIII il 17
maggio 1962, dividendo in due parti
la sua vita e attribuendo alla chiamata
all'Opera per la Propagazione
della fede – nel '21 – il significato di
un "momento spartiacque". Ripercorrendo
qui l'itinerario roncalliano
sino al papato, anche noi seguiremo
questi due archi cronologici, costellati
di periodi di stallo e di cambiamenti
sempre decisi da altri.

Loreto, monumento a papa
Giovanni per il suo pellegrinaggio del
4 ottobre 1962; la statua di bronzo e il bassorilievo di travertino sono di
Alessandro Monteleone, 1966.
Gli studi
«Ho avuto la grazia di nascere in
una famiglia cristiana, modesta e povera,
ma timorata di Dio e di venir
chiamato al sacerdozio. Fin da bambino
non ho pensato ad altro», così
Angelo Giuseppe Roncalli, in alcuni
appunti vergati da Pontefice sulla
sua vita sbocciata a Sotto il Monte
(Bg) il 25 novembre 1881, quartogenito
dei tredici figli di Giovanni Battista
Roncalli e Marianna Mazzola.
Lasciando perdere l'aneddotica
fiorita sulla sua infanzia, durante la
quale i fatti certi sono quelli legati
alla povertà contadina e all'educazione
religiosa guidata dal prozio
Zaverio e dal parroco don Rebuzzini
(all'origine della sua vocazione),
nonché al tirocinio scolastico in paese,
poi come studente esterno nel vicino
Collegio di Celana, si arriva al
1892, data dell'ingresso nel seminario
di Bergamo – per certi versi la
sua "seconda famiglia" – dove rimane
otto anni, qui iniziando quel suo
zibaldone spirituale che diventerà
Il Giornale dell'anima.

I fatti certi dell'infanzia di Roncalli sono legati alla povertà contadina
e all'educazione religiosa del paese; il seminario di Bergamo, poi Roma...
E una carriera diplomatica svolta in un contesto politico internazionale
di guerra. Infine patriarca a Venezia, «fedele in tutto al Vangelo».
di Marco Roncalli.
A Roma e in guerra
Grazie a una borsa di studio prosegue
poi gli studi al Seminario romano,
dove – preceduto da informative
diocesane che lo presentano come
«un giovane studioso... che potrà
fare molto bene» – approda proprio
al cambio del secolo. Subito avverte
il fascino della "città eterna",
ma è ben consapevole di volersi fare
prete – come scrive ai genitori –
«non... per far quattrini, trovar comodità,
onori..., ma piuttosto e solo
per far del bene alla povera gente».
Rientrato a Bergamo per gli obblighi
di leva, li assolve in fanteria
(1902), riprendendo subito dopo gli
studi nella capitale. Qui scrive di voler
vivere nell'unione con Dio, in sintonia
con i suoi superiori, instaurando
relazioni di fiducia e obbedienza,
soprattutto con il rettore Vincenzo
Bugarini, o il padre spirituale Francesco
Pitocchi. I due sacerdoti aiutano
la sua maturazione spirituale facendolo
riflettere su frasi come:
«Dio è tutto: io sono nulla», mentre
da solo già ha scoperto di dover cercare
nelle virtù dei santi «la sostanza
e non gli accidenti» e – come dimostrano
alcuni quaderni – di saper
guardare a quanto accade nella Chiesa
e nella società del suo tempo: persino
oltralpe e oltreoceano.
All'Apollinare, compagno di studi
di Buonaiuti per un breve periodo,
comincia anche ad attraversare la
tempesta del modernismo, via via
elaborando una sua risposta personale
di fedeltà alla Chiesa, senza deroghe
però all'applicazione del metodo
storico-critico che, dopo l'ordinazione
a Roma – il 10 agosto 1904 – valorizzerà
negli studi personali, continuati
accanto al nuovo vescovo di
Bergamo Giacomo Maria Radini Tedeschi,
lieto di trovare in don Angelo
più di un fedele segretario. Durante
il loro decennale sodalizio l'influsso
di Radini su Roncalli si farà sentire
nella sua fecondità, pur senza scalfire
la semplicità del giovane prete.
Dal "suo" vescovo, già protagonista
dell'Opera dei congressi (appena
sciolta da Pio X), presule fra i
più impegnati e uomo di grandi relazioni
(si ricorda il suo rapporto con
il cardinale Mercier), apprenderà
soprattutto la cultura del "progetto"
(beninteso non per sé). Con Radini
don Roncalli compie il suo primo
viaggio all'estero (nel 1905, altri
seguiranno anche in Terrasanta),
insegna in seminario, prepara
la Vita diocesana, organizza i gruppi
di Azione cattolica, è solidale con
gli operai tessili in sciopero vicino a
Bergamo (1909), apprende cosa significa
governare una diocesi, una
visita pastorale, un Sinodo...
Nello stesso tempo non si spegne
in lui la passione per la storia e, di
questo periodo, è soprattutto lo studio
del cardinale Cesare Baronio, e
l'inizio dell'edizione degli Atti della
visita apostolica di San Carlo a Bergamo
(motivo d'incontri all'Ambrosiana
con Achille Ratti, il futuro Pio
XI), che l'accompagnerà sino al pontificato.
La "stella polare" di Radini
si spegne al crepitare della grande
guerra. Roncalli rimane in città, prima
come sergente nel servizio sanitario,
poi tenente cappellano nell'assistenza
spirituale a vari ospedali. Alcuni
giovani feriti – anche protestanti –
gli muoiono fra le braccia. A un fratello
al fronte scrive: «Gli uomini che
ci hanno governato e ci governano
non meritano i nostri sacrifici, ma la
patria oggi in pericolo li merita tutti:
gli uomini passano, la patria resta».
Nel dopoguerra il nuovo vescovo
di Bergamo Luigi Marelli gli affida
"l'apostolato per la gioventù studiosa".
Fonda e dirige – a pochi passi
dal Seminario – una Casa dello studente.
Conosce nuovi problemi: da
quelli pedagogici a quelli amministrativi.
Sopraggiunge per lui nel dicembre
1920, su iniziativa di ex
compagni di scuola "romanizzati" e
con la chiamata del cardinale Van
Rossum, l'affidamento della presidenza
per l'Italia del Consiglio centrale
dell'Opera della propagazione
della fede, detta l'"Opera del soldino".
Roncalli deve promuovere le
missioni, un incarico (1921-1925)
che gli fa conoscere ambienti della
curia romana e molti vescovi italiani
specie nei viaggi attraverso l'Italia
ormai nelle mani di Mussolini (a
proposito del quale scrive ai familiari
nel '24: «I suoi fini sono forse buoni
e retti, ma i mezzi sono iniqui e
contrarii alla legge del Vangelo»).

Qui era direttore della Casa degli studenti, Bergamo 1918-20.
La carriera diplomatica
Ed eccoci alla cesura nell'orizzonte
del suo servizio. Pio XI lo eleva
all'episcopato e lo invia come visitatore
apostolico in Bulgaria, dove
poi lo promuove delegato apostolico.
Sceglie come motto episcopale
Oboedientia et pax. Arriva a Sofia il 25 aprile 1925. In Vaticano si crede
di poter allargare la presenza cattolico-
romana nel Paese di tradizione
ortodossa, ma il comportamento
del neovescovo sfocia presto in un
apprendistato "ecumenico" ante litteram
(benché ancor praticato nella
prospettiva unionista).
Quello bulgaro si rivela però un
decennio di solitudine e di tribolazioni
che – ammette – «non vengono
dai bulgari... bensì dagli
organi centrali della amministrazione
ecclesiastica». Ma è
ben convinto del suo operare.
È lì per portare solidarietà,
senza le distinzioni care a tante
congregazioni; è lì per evangelizzare,
ma non con il proselitismo.
E poi – scrive a un sacerdote
il 5 maggio '28 – «una
volta che si ha rinunziato a tutto,
proprio a tutto, ogni audacia
diventa la cosa più semplice
e più naturale del mondo».
Conclusa l'esperienza nella
terra delle rose (spine comprese)
che lo trova, suo malgrado,
vittima di incidenti fra
la Santa Sede e la casa reale,
in occasione del matrimonio
di re Boris con Giovanna di
Savoia e del battesimo della primogenita
Maria Luisa secondo il rito ortodosso,
Roncalli passa poi a Istanbul,
come delegato apostolico di
Turchia e Grecia, dove trascorre un
altro decennio (1935-1944).
Nel
Paese della Mezzaluna si adegua
agli ordini della rivoluzione kemalista
all'insegna del laicismo di Stato
in un contesto islamico. Non si sente
offeso nel dover passeggiare in
clergyman, consapevole di cosa è essenziale
e cosa è accessorio. Decide
di leggere l'epistola e il vangelo anche
in turco. Più tardi, in turco canta
il "Dio sia benedetto".
E poi c'è la Grecia ortodossa e la
seconda guerra mondiale che complica
tutto. Il corridoio neutrale turco
funge anche come via di fuga per
gli ebrei dal nazismo. In questo contesto
basti ricordare la candidatura
di Roncalli a "Giusto delle genti";
lui a rapportarsi con rappresentanti
diplomatici di diversi Paesi belligeranti
(si pensi al barone Von Papen)
a vantaggio di tanti perseguitati.
«Fedele
in tutto al Vangelo» piuttosto
che agli «artifizi della politica», conscio
di «tempi nuovi» che «domandano
uno stile nuovo», per cui «bisogna
lasciar da parte ciò che ci divide
», raggiunge risultati concreti.
Memorabile la sua ultima omelia
per la Pentecoste '44: «Ecco, noi cattolici
[...] siamo qui una modesta minoranza
[...]. Noi amiamo distinguerci
da chi non professa la nostra fede: fratelli
ortodossi, protestanti, israeliti,
musulmani, credenti o non credenti di
altre religioni. [...] Pare logico che ciascuno
si occupi di sé [...], cari fratelli e
figliuoli: io debbo dirvi che nella luce
del Vangelo e del principio cattolico,
questa è una logica falsa. Gesù è venuto
per abbattere queste barriere».
A Parigi, Venezia e... Roma
Alla fine del 1944 papa Pacelli lo
nomina nunzio a Parigi. Un'altra
missione delicata che lo vede subito
paziente mediatore nella Francia del
dopoguerra, sino a salvare dall'epurazione
– anche convincendoli a dimettersi
– alcuni vescovi accusati di
collaborazionismo col governo di Vichy.
Ma il nunzio fa anche dell'altro:
favorisce il rimpatrio di prigionieri
di guerra, apre gli occhi sulle
tensioni fra integristi e aperturisti,
sui preti operai e la nouvelle théologie,
compie inoltre quella che
è stata definita una specie di
ininterrotta visita pastorale
attraverso tutta la Francia
(persino nelle Colonie).
Il 12 gennaio '53 Pio XII
annuncia in concistoro segreto
la promozione di Roncalli
al patriarcato di Venezia. Il
15 marzo entra nella laguna
ricondotto dalla Provvidenza
– dice – «là dove la mia vocazione
sacerdotale prese le prime
mosse, cioè al servizio pastorale
». Sarà pater et pastor,
convinto che la «bontà
[...] arriva ben più in là [...]
che (non) il rigore e il frustino
».
Momenti salienti del lustro
veneziano la visita pastorale,
il sinodo diocesano, le
celebrazioni per san Lorenzo
Giustiniani trasformate in occasione
per un rilancio della Bibbia, la
missione cittadina, gli interventi a
favore del mondo del lavoro.
Ci sono poi la politica e l'impatto
della secolarizzazione. Roncalli rifiuta
compromessi fra cattolicesimo
e marxismo, senza urlare allo
scontro. E si deve aggiungere più di
un episodio – come la decisione di
rimuovere i plutei in San Marco oppure
un cenno di saluto al Congresso
del Partito socialista a Venezia
del '56 (il primo dove non risuonano
accenti anticlericali) – che lo porta
sotto i riflettori.
Respinta al mittente la proposta
di guidare la Concistoriale (primo
rifiuto in tutta la sua vita), alla morte
di Pio XII entra nel conclave che
cerca il "Papa di transizione". E il
28 ottobre ne esce caricandosi sulle
spalle «l'onore e il peso del pontificato,
con la gioia di poter dire di nulla
aver fatto per provocarlo».
Marco Roncalli,
saggista e presidente della Fondazione papa Giovanni XXIII, Bergamo
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