|
Nato a Vezza d'Alba (Cn) nel 1923, morì a Roma nel 1991. Teologo, biblista,
uomo di cultura cosmopolita, attenta al dialogo tra i popoli e le religioni.
La sua grandezza è indiscutibile e rara la capacità di capire il prossimo.
«L'anima di Piero Rossano vive
nella visione del Paradiso
e nella comunione dei
santi, mentre il suo corpo
riposa a Vezza d'Alba (Cn), suo paese
natale, e il suo pensiero rimane
nei suoi scritti e nel ricordo di numerose
persone in Italia e nel mondo».
Così don Paolo Tablino, prete albese
e missionario in Kenya, introduceva
il suo libro Piero Rossano, come
Paolo, uomo del dialogo e della missione
(Editrice Esperienze 2008): un ritratto da lui composto attraverso
testi e lettere, ma soprattutto frutto
di una profonda amicizia.
Don Tablino è morto poco dopo
questa sua preziosa fatica, e riposa
nella terra di Marsabit, anche lui
nella visione del Paradiso. Un motivo
in più per associarlo in questa ricorrenza
di don Rossano che certamente
lui avrebbe contribuito a rendere
più viva e vera, avendo la sensibilità
di cogliere nell'amico la particolare
vocazione missionaria.
«Ritengo
infatti», così ha scritto, «che
sia necessario ben conoscere questa
dimensione della sua personalità
per avere un'immagine che colga
non solo l'indiscutibile grandezza
dell'uomo del dialogo, ma anche la
sua radice profonda che, partendo
da Vezza, lo portò, attraverso Alba
e Torino, a Roma, e poi lo condusse,
lui che amava e studiava Paolo,
l'apostolo di Cristo alle genti, ai
più lontani confini della terra».
Nato nel 1923, Piero
Rossano, dopo gli studi
seminaristici, conseguì
una formazione accademica
letteraria, biblica e
teologica. Docente di Sacra
Scrittura nel seminario
di Alba, venne chiamato
a Roma ove ha insegnato
nelle Università
gregoriana, lateranense
e urbaniana. È stato segretario
della Pontificia
commissione per la Neovulgata dal
1965 al 1971 e del Segretariato vaticano
per le religioni non cristiane
dal 1973 al 1983. Giovanni Paolo
II, visitando un giorno il suo ufficio
e ringraziandolo per il suo servizio,
gli disse che lui «amava la Chiesa attraverso
i non cristiani».
Ha effettuato frequenti viaggi in
Asia, Africa e Americhe, i quali lo
hanno messo a contatto con le principali
religioni e culture. Ha collaborato
a molte imprese editoriali italiane
e straniere. Nel 1983
papa Wojtyla lo ha ordinato
vescovo e nominato
ausiliare di Roma per
la pastorale della cultura
e rettore della Pontificia
università lateranense.
Morì a Roma il 15
giugno 1991.
Per conservare la memoria
e far rivivere l'eredità
spirituale e culturale
di mons. Rossano, nel
1997 si è costituito il Centro studi
Piero Rossano, voluto da un gruppo
di amici, con la collaborazione della
diocesi e del seminario di Alba, parrocchia
e comune di Vezza, famiglia
Rossano, Pontificio consiglio per il
dialogo interreligioso, Pontificia università
lateranense, diocesi di Roma,
Pontificia accademia delle scienze,
altre realtà culturali ed ecclesiali.
Al presidente del Centro studi Piero
Rossano, mons. Cesare Battaglino,
abbiamo rivolto alcune domande
nella ricorrenza del ventennio della
morte di mons. Rossano.

Roma, 12 gennaio
1987: mons. Rossano
presenta il volume
Maria alle radici della
fede con Franca Zambonini e Oscar
Luigi Scalfaro (foto CENSI / SAIE).
Come compaesano, quasi compagno
di corso nel cammino seminaristico
e per una continua frequenza
e amicizia, sicuramente
rimani una delle fonti più autentiche
per farci meglio conoscere
mons. Piero Rossano.
- Com'è nata
in lui, fin da giovane, la passione
per lo studio, le lingue, la Bibbia
e la cultura in generale?
«L'albero si conosce dai frutti, ma
per capirlo a fondo è necessario
esplorarne le radici, e le radici di don
Piero sono nel nativo paese di Vezza
d'Alba. Una dignitosa povertà era di
casa, nella sua come in tante altre famiglie, quasi tutte inserite nelle iniziative
di tipo cooperativistico. Erano
forme di collaborazione economica
nello spirito della Rerum novarum di fine Ottocento, una presenza
di Chiesa in grado di aiutare la gente
a crescere in dignità e solidarietà.
«In famiglia si respirava un forte
senso religioso associato a una grande
laboriosità. La fede permeava la
vita quotidiana e la parrocchia era
in grado di offrire esperienze religiose,
catechistiche, sacramentali. Rossano
stesso ricorda: "Eravamo un
gruppo vivace di seminaristi ai quali
si univano altri studenti del paese
durante le vacanze negli anni di
guerra, e dopo la preghiera del pomeriggio,
si faceva cerchio e non
mancava il dibattito di letteratura,
di filosofia o sui fatti del giorno".
«Lo stimolo grande per don Piero
e per tutti noi aveva la sua fonte
nel seminario di Alba, a contatto
con guide di ampie vedute, in un
ambiente dove, per la lungimiranza
di un maestro come don Natale Bussi,
il confronto con le culture era un
cantiere sempre aperto. Lì don Piero
trovò il posto ideale per la sua
maturazione intellettuale e sacerdotale,
mettendo a frutto anche gli intervalli
tra le ore di scuola, per noi
occasione per dare sfogo alla voglia
di correre e giocare, per Piero invece
era un di più per continuare nel "grande studio", gomiti sulla scrivania
a leggere e studiare, perché ogni
minuto era per lui prezioso».

La copertina del libro di Paolo Tablino, "Piero
Rossano come Paolo,
uomo del dialogo e della
missione" (2008).
- È facile che mons. Rossano sia conosciuto
per il grande lavoro svolto
nell'ambito del Segretariato vaticano
per le religioni non cristiane;
ma sicuramente occorre porre
alla base la sua formazione biblica
e il suo amore
per l'apostolo Paolo:
che cosa hai da
dire al riguardo?
«È sufficiente una
breve scorsa ai volumi
di Pio Gaia, Una vita
per il dialogo (2003), e
di Paolo Tablino, Piero
Rossano come Paolo,
uomo del dialogo e della
missione (2008), e
al catalogo delle pubblicazioni
che accompagnarono
il suo lavoro
per rendersi conto della
missione affidata a
don Piero.
Toccò a lui curare la nascita
e poi diventare responsabile del Segretariato
per i non cristiani: un compito
"fuori le mura della città e fuori
dell'accampamento" (Eb 13,13),
"un cammino che non ha ancora una
strada, ma se la apre camminando",
commentava don Piero citando A.
Machado. Le armi in dotazione erano
quelle indicate da Paolo: la verità,
la giustizia, l'annuncio del Vangelo,
la spada dello Spirito che è la parola
di Dio (cf Ef 6,13-17).
«Don Piero ha contribuito in modo
eccezionale a chiarire il senso
autentico del "dialogo interreligioso",
perché era preparato non solo
per la sua cultura ma anche per indole
personale, dotato com'era di
una grande capacità di ascolto. La
sua vasta cultura biblico-filosoficoteologica,
oltreché linguistica, gli
permetteva di guidare con raffinato
discernimento le innumerevoli
occasioni di dialogo-confronto tra
le religioni e le culture.
«Innamorato di san Paolo, lo ha
studiato anche come punto d'incontro
e di sintesi delle tre culture,
ebraica, greca e latina. Era così affascinato
dalle lettere dell'Apostolo
da dire che, se per qualche impedimento
avesse potuto ricevere un solo
scritto, desiderava i capitoli 4, 5,
6, 7 della seconda lettera ai Corinzi
e – aggiungeva – in greco! Poteva
anche non parlare di "scritto", perché
conosceva tutta la lettera a memoria,
e in greco!
«Don Rossano ha dato un grande
contributo agli studi biblici, incaricato
da Paolo VI a guidare la revisione
della Vulgata di san Girolamo e in
particolare commentando da maestro
le lettere ai Tessalonicesi, ai Corinzi,
ecc., tutto teso a far sì che
"Paolo venga letto con
entusiasmo". Aveva dovuto,
con rammarico,
abbandonare gli studi
biblici per diventare come
Paolo "missionario
errante" della Chiesa
del Vaticano II presso
le "genti", "occasione
per manifestare agli uomini
l'amore di Cristo",
come gli aveva
detto Paolo VI, cosa
che don Piero ricordava
sovente come qualifica
della sua missione.
«Con felice intuizione,
nella bara tra le mani gli hanno
posto il testo greco-latino aperto al
cap. 13 della 1Cor là dove è detto: "Nunc per speculum in aenigmate,
tunc autem facie ad faciem" ("qui
come enigma in uno specchio, là faccia
a faccia"); era questo il suo stemma
di vescovo e l'enigma era Cristo!
Commentando una finissima poesia
di Hopkins, da lui tradotta e dal titolo
Nondum, don Piero aveva sottolineato
la pazienza e la speranza
dell'attesa espresse nel verso: "Conducimi
come un bimbo per mano /
pur se ancora nel buio, non però nel
timore / attenderò fino a che erompa
l'eterno mattino"».
- Uomo del dialogo e della missione:
è il sottotitolo del libro scritto
da don Paolo Tablino: come
sapeva mons. Rossano valorizzare
e coniugare queste due dimensioni
essenziali della Chiesa?
«Va reso un grande grazie a padre
Paolo Tablino per aver raccolto
e commentato l'amplissima corrispondenza
intercorsa per anni tra
lui e don Piero. Pressoché coetanei
e fior fiore del presbiterio albese,
ambedue hanno servito la Chiesa,
prima nella diocesi di Alba come insegnanti
nel seminario, e in seguito
don Paolo come missionario Fidei
donum in Kenya e don Piero a Roma
come voce della Chiesa nel campo
del dialogo interreligioso. Le numerosissime
lettere intercorse tra i
due amici nell'arco di oltre cinquant'anni
erano nate dal bisogno
di mettere a confronto due esperienze
pastorali, l'una sul campo concreto
della missione ad gentes, l'altra a
raggio universale in varie mansioni.
Il libro diventa una preziosa testimonianza
per le diversità e le consonanze
di due esperienze con sullo
sfondo lo snodo della vita della
Chiesa del dopo Concilio.
«"Il volto e lo stile della 'missione'
dopo il Vaticano II è quello del 'dialogo',
fraterno, rispettoso, attento a
ciò che lo Spirito di Dio fa comprendere
al cristiano attraverso l'altro":
così Rossano commemorava a Roma
nel 1990 il 25° della dichiarazione
conciliare Nostra aetate, riflettendo
sul cammino del dialogo interreligioso.
Per l'occasione, citò una frase
dell'autore spagnolo Josè Ortega y
Gasset: "Inseriti profondamente nel
luogo in cui ci troviamo, con assoluta
fedeltà al nostro organismo, a ciò
che vitabilmente siamo, aprire bene
gli occhi su ciò che ci circonda, e accettare
il compito che il destino ci
propone: il tema del nostro tempo".
«Una citazione che descrive il volto
di Piero Rossano: "profondamente
radicato" nel suo territorio geografico,
umano, spirituale, quantomai
ricco di stimoli culturali e spirituali,
in "assoluta fedeltà" alla vocazione
che gli era stata consegnata e
che onorava come servitore del Vangelo,
"con gli occhi aperti" sul mondo
che ci circonda dove si costruisce
con la forza dello Spirito la nuova
umanità modellata sull'icona di Cristo,"
accettare il compito al quale si
è chiamati: il tema del nostro tempo".
Servendosi del suo limpido ragionare
e mettendo in campo il suo
disarmante sorriso in grado di abbattere
barriere e pregiudizi, fece dire a
un suo interlocutore con amichevole
ironia ma al tempo stesso con convinzione: "Vous avais le don de rendre
agreable aussi le Vatican"».
- Cosa può significare, oggi, celebrare
il ventennio della morte di
mons. Rossano e quali sono gli
impegni che il Centro studi deve
portare avanti con più urgenza?
«A vent'anni di distanza c'è da
compiacersi per le molte iniziative
promosse e realizzate: da ricordare
in particolare i convegni fatti a Roma
e ad Alba, mentre altri sono in
progetto. S'intende proseguire nel
suo nome e con il suo stile su questi
tre sentieri da lui percorsi:
1) consapevoli
che la Chiesa ha il compito di
offrire al mondo la verità, che non è
un enigma avvolto in un mistero ma
è il volto di Cristo, verità liberante
(Gv 8,32) e fatta persona, ricordando
però che "la verità non si impone
», si propone (Giovanni Paolo II,
Tertio millennio adveniente);
2)
consapevoli che il "patrimonio di fede",
affidato da Cristo alla Chiesa,
oltre a dare risposta di senso alla vita
umana, ha una ricaduta di civiltà
e di dignità per ogni creatura;
3)
consapevoli che è doveroso per
ogni cristiano uscire senza paura come
lui ha fatto "fuori delle mura e
fuori dell'accampamento" (Eb
13,13), per "dire" la propria identità
ricordando che le frontiere per la
Chiesa non sono quelle artificiali degli
Stati, ma quelle del cuore dell'uomo,
dotato di una componente religiosa
ineludibile sulla quale don Piero
ha scritto tanto e che può aprirsi
con il dialogo al Vangelo».
Giovanni Ciravegna
|