Nato a Macerata, il giovane entra
nel noviziato dei gesuiti a Roma. Inviato in Oriente come missionario,
viene ordinato sacerdote a Goa (India). Nel 1582 giunge in Cina, dove
annuncia il Vangelo a milioni di cinesi. Muore all’età di appena 58
anni.
La vita di
Matteo Ricci, il gesuita che non ha portato in Europa i tesori dell’Oriente,
ma ha regalato alla Cina la cultura dell’Occidente, ha dello
straordinario: astronomo e teologo, studente di diritto e matematico,
missionario e diplomatico, scienziato e sinologo.
Nasce il 6 ottobre 1552 a Macerata in una nobile
famiglia, primo di 13 figli. Nel 1561 inizia gli studi nella scuola dei
gesuiti, mentre aiuta il padre farmacista che lo vuole avvocato. Nel
1571 entra nel noviziato a Sant’Andrea al Quirinale a Roma,
interrompendo gli studi di giurisprudenza. Poi, grazie alla sua
intelligenza e tenacia, si dedica a filosofia e teologia, oltre ad
applicarsi a studi scientifici, di astronomia, geografia, cosmologia e
in particolare di matematica. Dal 1572 al 1577 studia prima a Roma al
Collegio Romano – l’attuale Università gregoriana –, poi al
Collegio di Firenze per gli studi di umanità.

Nel giugno 1577 padre Mercuriano, generale dei
gesuiti, lo invia in Oriente come missionario. Insieme a tredici
compagni il 24 marzo 1578 salpa da Lisbona per l’India, arrivando dopo
sei mesi di navigazione a Goa, il 13 settembre 1578. In quella città,
crocevia di commercio e di cultura, studia teologia mentre insegna
latino, poi si ammala gravemente. È portato a Cochin nel sud dell’India
per curarsi; ristabilitosi, torna a Goa, dove viene ordinato sacerdote
il 26 luglio 1580.
Inculturazione e missione
Ricci non è stato il primo europeo a entrare in Cina,
fu preceduto da Marco Polo, e da mercanti e personaggi politici
portoghesi. Non è stato nemmeno il primo a introdurre il cristianesimo.
Fu preceduto dai nestoriani, che penetrarono in Cina tra il 635 e il 980
d.C. fondando comunità cristiane, anche se lasciarono scarse tracce
della loro presenza. Seguirono i francescani, dal 1245 al 1368, al tempo
in cui la Cina era caduta sotto il dominio dei tartari; ma sparirono
anch’essi dopo che la dinastia tartara fu eliminata da una cinese. Il
Ricci non fu neppure il primo religioso a entrare in Cina; domenicani e
francescani avevano già tentato anche se tutti erano stati espulsi in
quanto stranieri.
La sua missione apostolica va inquadrata in quella
della Compagnia di Gesù nell’Estremo Oriente, iniziata da Francesco
Saverio che morì a Sanciano nel 1552 alle soglie della Cina, e che fu
il fondatore e organizzatore di tutte le missioni dell’Est asiatico,
Cina compresa. A spingere il Saverio verso la Cina, fu la scoperta che i
giapponesi erano culturalmente dipendenti dalla cultura cinese. I
giapponesi al suo annuncio del Vangelo gli avevano obiettato: come mai
dite che la vostra religione è vera se i cinesi non la conoscono e non
sono affatto cristiani?
La missione cinese fu proseguita con tenacia dal
Valignano, superiore dei gesuiti in Asia, che era animato da un
desiderio: introdurre il cristianesimo in Cina, cercando di ottenere non
il solo ingresso a scopo missionario, ma la residenza stabile dei
gesuiti. Ricci fa sua la motivazione già del Saverio: se non si
affronta il problema della cultura cinese, non si può risiedere
stabilmente e introdurre il cristianesimo in Cina.
Le direttive del Valignano dettate al Ricci non
lasciano però spazio a equivoci: imparare a parlare, leggere, scrivere
in cinese; studiare usi, costumi, ordinamenti sociali e politici, cioè
tutto l’insieme della cultura cinese, a partire dalla geografia;
produrre opere a stampa in cinese e diffonderle. Questo era «quanto
necessario per tentare l’impresa quando Dio vorrà».
Nel 1582 è proprio Valignano a chiedergli di partire
per la Cina. Il 7 agosto approda a Macao. Qui inizia a studiare la
lingua cinese, favorito da una memoria straordinaria. L’anno
successivo fonda la prima residenza missionaria a Sciaochin con padre
Michele Ruggieri. Così il Ricci narra l’accoglienza del governatore
Wang Pan: «[I padri] furono ricevuti con molta benignità... domandò
loro il governatore chi erano, di dove venivano e che cosa volevano;
risposero... che erano religiosi... attratti dalla fama del buon Governo
in Cina, e solo desideravano un luogo dove potessero fare una casetta e
una chiesuola... servendo fino alla morte il loro Dio».
Magistrati e mandarini gli mostrano la loro stima e lo
stesso governatore della città emette due editti lodandone la santità
e la scienza. Tutto inizia con un orologio a ruote, «che sonava per sé
stesso ad ogni hora, cosa molto bella, mai vista e mai udita in Cina».
Ma scienza e tecnica sono solamente dei mezzi, l’assoluto è «cercare
e trovare Dio in tutte le cose». Nella sua prima città cinese Ricci
amministra il primo battesimo nel gennaio 1584 a un infermo abbandonato;
in seguito battezza un letterato, un giovane mercante, alcune donne e
molti ragazzi di strada.
Dopo sei anni dal suo arrivo a Sciaochin (1583-1589)
cambia il governatore e il successore lo scaccia. Ricci non si arrende
e, nell’agosto 1589, si trasferisce a Sciaoceu. Qui fonda la seconda
residenza e, in seguito a un’aggressione da parte di un ladro, rimane
per sempre lesionato a un piede.

Matteo Ricci in abiti da letterato
cinese (foto Velar).
Si veste da cinese
Nel 1594 fa qualcosa di inimmaginabile per un europeo
del suo tempo: inizia a vestire alla maniera dei letterati cinesi, con
abiti di seta, e lascia gli abiti dei bonzi poco stimati dal popolo.
Esce di casa in portantina, come usavano fare i personaggi più colti
della città, e si fa crescere la barba e i capelli, ma non le unghie,
come avrebbe dovuto. La Cina è un altro mondo. Ricci lo capisce ed
entra nel suo cuore attraverso quattro vie: la conoscenza della lingua;
la comprensione della cultura e del suo complesso sistema sociale che
tiene unito l’impero; l’influenza sull’imperatore e sui suoi
mandarini (la testa) per poter parlare a tutto il popolo (il corpo); la
conquista della classe dirigente con ciò che non ha: il sapere della
scienza occidentale.
Quando il Ricci offre ai mandarini orologi, prismi
veneziani, cartografia e mappamondi, libri (la Bibbia poliglotta di
Aversa, rilegata in oro), stampe di città europee, dipinti con
prospettiva, non faceva doni per propiziarsi amicizie, ma offriva esempi
della cultura europea, fino alla geometria di Euclide e all’astronomia.
Non mancarono grosse difficoltà: l’immagine del crocifisso suscitava
la reazione negativa dei cinesi, perché non era compatibile per loro
con la nozione di divinità (il Signore del Cielo e dell’armonia del
mondo). Così in quello stesso anno, per inculturare la fede, pubblica
il catechismo in cinese col titolo: Vera dottrina del Signore del
Cielo, per indicare Dio in lingua cinese. L’intento è chiaro:
conciliare il confucianesimo con il cristianesimo, prendendo posizione
contro il buddismo.
Il 29 giugno 1596 apre la terza residenza missionaria
a Nancian, capitale del sud della Cina. Nel 1597 è nominato superiore
della missione cinese e due anni dopo fonda la quarta residenza
missionaria a Nanchino. Nel suo epistolario lascia scritto che «i
missionari non devono avere mire di conquista politica, né legarsi ai
mercanti e che, con l’esclusione dell’intangibilità dei dogmi e
della morale evangelica, devono farsi indiani in India, nipponici in
Giappone e cinesi in Cina».
Nel cuore della Cina
Mancava Pechino, luogo della Città proibita,
in cui viveva l’imperatore. Prova a entrarvi per la prima volta con
padre Cattaneo e due novizi cinesi, al seguito del ministro dei riti
Wang Chung Ming, il 7 settembre 1598; ma è costretto a ripartire il 5
novembre per il Sud, perché considerato "straniero sospetto"
a causa della guerra tra Cina e Corea. Riprova il 19 maggio 1600 con
Diego Pantoja e altri due novizi cinesi, ma a Lintsing è fermato dal
governatore di Tientsin, Mat Han che, geloso dei doni per l’imperatore,
lo imprigiona per sei mesi.

Il ritratto originale di padre
Ricci conservato nella Chiesa del Gesù a Roma.
Così Ricci decide di inviare un memoriale all’imperatore,
nel quale si presenta come uno straniero religioso e celibe che «non
chiedeva nessun privilegio alla corte», e domanda di poter mettere a
servizio del sovrano la propria persona e quanto aveva potuto imparare
sulle scienze del "Grande Occidente" da cui veniva. La lettera
è accompagnata da doni europei di ogni tipo: dipinti sacri, un grande
atlante, prismi di vetro che riflettono la luce, clessidre a sabbia,
monete d’argento europee, la riproduzione della Madonna di Santa Maria
Maggiore, un clavicembalo con otto composizioni e due orologi meccanici.
Il 27 gennaio 1601 entra nel palazzo reale; l’imperatore
è meravigliato dei regali ricevuti e in particolare della carta del
globo disegnata dal Ricci: nel 1608 ne ordina una ristampa e ne chiede
dodici copie per sé. Per la prima volta l’imperatore della Cina,
grazie al gesuita, scopre l’esistenza di nuovi Paesi, Europa compresa.
Come premio viene permesso al Ricci sia di risiedere a Pechino, sia di
entrare periodicamente nel palazzo imperiale per assicurare la
manutenzione degli orologi, in più l’imperatore gli assegna una
rendita fissa.
Il 1610 è il suo ultimo anno di vita. Dopo aver
ottenuto la licenza per celebrare messa in pubblico, inizia la
costruzione della prima chiesa cristiana in stile occidentale nota come
Nantung "la chiesa del sud". Il 3 maggio 1610 il padre Ricci
si ammala gravemente e annunzia con molta pace che non sarebbe più
guarito. Muore per le troppe fatiche nella residenza missionaria di
Pechino l’11 maggio. Nella più antica biografia, scritta dopo soli
cinque anni dalla morte, si legge: «Chiudendo egli stesso gli occhi
come per conciliarsi il sonno, s’addormentò dolcissimamente nel
Signore».
Passa alla storia per essere stato il primo non cinese
a essere sepolto nella Città proibita dall’imperatore Wan-Li.
Quando muore, Ricci, conosciuto dai cinesi col nome di Li Matou o Li
Madou (il Saggio d’Occidente), non ha ancora compiuto 58 anni.
La sua eredità
In 25 anni di missione Ricci converte e battezza circa
2.000 cinesi, per lo più buddisti, mentre al suo padre generale
Acquaviva scrive: «Ho annunciato il Vangelo in Cina a milioni di cinesi».
Ricci ha pensato alla sua missione e ai suoi esiti sul lungo periodo in
base alle direttive avute e praticate. Una proposta del Vangelo per la
libertà dei cinesi, previo il libero e rispettoso scambio culturale che
lasciava tempo a entrambi di mettersi in discussione, o di aprire
discussioni con l’altro, prendere decisioni libere e mature.
Come ha recentemente sottolineato il gesuita padre
Giuseppe Pirola, «indipendentemente da quanto pensava il Ricci, egli
aprì la via conseguente al metodo dello scambio culturale libero e
pacifico, rispettoso delle differenze culturali, e della libertà dei
cinesi, che avrebbe indotto quella mutua trasformazione che alla lunga
avrebbe portato a un cristianesimo nuovo per entrambi».
Già, un cristianesimo pieno di vita perché
arricchito di un ossigeno lontano. Ricci ci suggerisce di centrarsi su
uno scambio culturale che rispetti libertà e autonomia di conversione a
lunga scadenza. Solamente la mutua trasformazione indotta da uno scambio
culturale pacifico e libero apre la pista a un cristianesimo nuovo,
veramente cattolico, che non è un prodotto di esportazione né è
chiamato a omogeneizzarsi.
Non va nella linea di sviluppo del progetto
missionario del Ricci, o nella linea della fondazione di una Chiesa
cattolica cinese, chi intende che lo scopo dell’azione missionaria sia
la diffusione della religione cattolica e non l’annuncio del regno di
Dio, che non coincide con l’espandersi della Chiesa romana.
Nel passato della missione di Ricci c’è un futuro
per la Chiesa di oggi.
Francesco Occhetta sj
(autore di Matteo Ricci. Il gesuita amato dalla Cina,
Velar 2009)