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LA RISPOSTA
Una recezione definitiva e totale
Ringrazio
Michael Lang per l’attenzione riservata al mio articolo "L’altare
verso il popolo è scelta conciliare" (Vita Pastorale,
10/2006, pp. 54-55), non altrettanto per la sua disponibilità «a
riaprire un dibattito sulla posizione dell’altare e l’orientamento
nella preghiera liturgica», prescindendo dalla "scelta
conciliare" anzi rifiutandola pregiudizialmente. Scrivevo infatti che
«riconosciuta la piena legittimità conciliare della scelta, si può
aprire un nuovo dibattito che prenda sul serio l’esperienza della
riforma liturgica compiuta in questi quarant’anni e al tempo stesso le
critiche mosse alla medesima per trovare una soluzione concordata».
Dovrei quindi interrompere il dialogo che Lang ha
iniziato ripetendo il contenuto del volume Rivolti al Signore, che
non interessa direttamente i lettori. Tuttavia non voglio rifiutarmi al
confronto, premettendo però due principi fuori discussione che possono
guidare con serenità il nostro dialogo.
1. La celebrazione
verso il popolo è una posizione prevista e proposta dal Concilio come ho
"documentato" nel mio intervento;
2. la recezione della proposta come modalità più adeguata da
parte della Chiesa cattolica è stata immediata e "universale"
come testimoniano i quarant’anni della riforma liturgica.
Tutto il resto può essere oggetto di discussione, ma
restando entro questo ambito.

Basilica di San Pietro: solenne
messa concelebrata dai Padri del concilio Vaticano II
(foto Giuliani).
La volontà del Concilio
Michael Lang ripete quanto scritto dal cardinale Joseph
Ratzinger, che la Sacrosanctum concilium cioè non parla di
celebrazione «verso il popolo». La costituzione per sua natura non entra
nei dettagli, ma il mio intervento, in riferimento al titolo, è la
documentazione oggettiva, e non un’interpretazione un po’ forzata,
tanto meno una "tesi", che il problema della celebrazione verso
il popolo ha coinvolto i padri conciliari nella discussione sia in aula e
sia nella commissione liturgica, quindi nella votazione dell’articolo
128 del cap. VII sull’"Arte sacra e la sacra suppellettile",
al quale era allegata una Declaratio predisposta già nella
commissione preparatoria, dalla quale è stata tratta la frase che dispone
«la separazione dell’altare dalla parete per occupare un posto centrale
fra presbiterio e fedeli, con la possibilità di celebrare rivolti ai
fedeli». Su questo fatto indiscutibile, che ho avuto la fortuna di poter
raccontare utilizzando il materiale della commissione conciliare di
liturgia in quanto addetto alla segreteria, e che ha incontrato vivo
apprezzamento in molti studiosi in Italia e oltre le Alpi, Michael Lang
tace, sorvola, dopo aver detto che «non può essere d’accordo». Così,
ignorandone l’origine conciliare, prosegue il suo sguardo sul testo dell’Inter
oecumenici nelle varie vicende per giungere al suo vero obiettivo, l’orientamento
nella preghiera liturgica.
Ritornando al Concilio, all’inizio di ogni
congregazione generale veniva celebrata nell’aula la santa messa rivolti
verso l’assemblea, mentre, commenta Jounel, al concilio Vaticano I, il
celebrante voltava le spalle ai Padri. La stessa istruzione fu composta
dal Consilium della riforma, utilizzando il materiale della
preparatoria, e pubblicata il 26 settembre 1964, in pieno svolgimento del
Concilio, per entrare in vigore il 7 marzo 1965, a Concilio ancora aperto.
Quindi la celebrazione rivolti al popolo appartiene a pieno titolo al
Concilio, dalla discussione all’attuazione, e ha contribuito
indubbiamente alla sua convinta e totale adesione.

Messa celebrata da Benedetto XVI
nella cattedrale di Istanbul, il 1° dicembre scorso
(foto Osservatore
Romano).
Accoglienza immediata
La recezione ecclesiale del documento Inter
oecumenici, ordinato «a rendere la liturgia rispondente allo spirito
del Concilio per promuovere la partecipazione attiva dei fedeli» (n. 4),
fu pronta e impegnata, in particolare il capitolo relativo ai luoghi della
celebrazione, partendo dall’altare. A questo proposito dobbiamo
insistere che la celebrazione rivolti al popolo non è un atteggiamento
isolato né tanto meno primario e nemmeno indispensabile, bensì un
aspetto della centralità dell’altare rispetto a tutta l’assemblea con
il sacerdote.
Lo conferma il n. 91: «È bene che l’altare maggiore
sia staccato dalla parete per potervi facilmente girare intorno e
celebrare rivolti verso il popolo. Nell’edificio sacro sia posto in
luogo tale da risultare come il centro ideale a cui spontaneamente
converga l’attenzione di tutta l’assemblea».
Michael Lang annota tutto questo, ma dopo avere
sottolineato due inviti alla misura e alla prudenza, rispettivamente di A.
Jungmann e del cardinale Lercaro, contro interpretazioni ed eccessi per l’euforia
del momento. Non ho difficoltà a riconoscerlo e a ricordare.
Nel 1970 usciva la prima edizione del Messale romano (ed.
italiana 1973) dotata dell’Institutio generalis che al n. 262
riportava letteralmente il testo sopra citato con nuove parole iniziali «L’altare
maggiore sia costruito [...]». Nella seconda edizione italiana del 1983
la Cei introdusse alcune precisazioni, di cui il n. 14 riguardava l’altare,
con tono più deciso: «L’altare fisso della celebrazione sia unico e
rivolto al popolo. Nel caso di difficili soluzioni artistiche per l’adattamento
di particolari chiese e prebiteri, si studi, sempre d’intesa con le
competenti commissioni diocesane, l’opportunità di un altare mobile
opportunamente progettato e definitivo. Se l’altare retrostante non può
essere rimosso o adattato, non si copra la sua mensa con la tovaglia».
Ormai la recezione, in Italia, era definitiva e totale,
non lasciata alla libera scelta come Lang asserisce, confrontando le
rubriche dell’Ordinario del messale italiano con l’Institutio
generalis.

Celebrazione della Passione nella
chiesa della SS. Trinità a Milano
(foto Belluschi).
Ma il testo autorevole per il nostro problema è
rappresentato dall’editoriale "Pregare ‘ad Orientem versus’"
della rivista della Congregazione per il culto divino, Notitiae
n. 322, 1993, pp. 245-249, che Lang cita
scegliendo soltanto qualche frase "innocua" alla sua tesi sulla
semplice possibilità.
«La riforma liturgica del Vaticano II», si legge a p.
247, «non ha inventato la disposizione dell’altare verso il popolo. Si
pensi in questo alla testimonianza delle Basiliche romane, almeno come
fatto preesistente. L’opzione per la celebrazione versus populum è
coerente con l’idea teologica di fondo, riscoperta e provata dal
movimento liturgico [...]. La teologia del sacerdozio comune e del
sacerdozio ministeriale, distinti essentia, non gradu,
ordinati l’uno all’altro (LG 10) si esprime certamente meglio con la
disposizione dell’altare versus populum. "Non pregavano gli
antichi monaci fin dall’antichità gli uni uniti agli altri per cercare
la presenza del Signore in mezzo a loro?"».
Convito e sacrificio
Vorrei riportare, sempre dalla stessa pagina, un’osservazione
che ritengo risolutiva dell’idea serpeggiante che il sacerdote rivolto
al popolo metta meglio in risalto il significato della messa come convito,
mentre il sacerdote con il popolo rivolto all’altare metta in rilievo la
dimensione sacrificale considerata prevalente. Ecco il testo: «Un motivo
figurativo merita ancora di essere sottolineato. La forma simbolica dell’eucaristia
è quella di un convito, ripetizione della cena del Signore. Non si dubita
che questo convito sia sacrificale, memoriale della morte e risurrezione
di Cristo, però dal punto di vista figurativo il suo punto di riferimento
è la cena» (pp. 247-248).
L’editoriale propone infine alcuni orientamenti
pratici, come: 1) «La celebrazione dell’eucaristia versus populum domanda
al sacerdote una maggiore e sincera espressività della sua coscienza
ministeriale»; 2) «L’orientamento dell’altare versus populum esige
con maggiore rigore un uso più corretto dei diversi luoghi del
presbiterio [...]»; 3) «La collocazione dell’altare versus populum è
certo qualcosa di desiderato dall’attuale legislazione liturgica». Ma
non vanno dimenticate altre osservazioni come: «L’espressione rivolti
al popolo non ha un senso teologico, ma topografico–presidenziale.
Teologicamente pertanto la Messa è sempre rivolta a Dio e rivolta al
popolo ecc.».

Un sacerdote celebra l’eucaristia
in una chiesa maronita libanese
(foto Nino Leto).
Non vorrei esagerare, ma questa valutazione autorevole
è la riprova che l’altare verso il popolo è da considerarsi ormai
"recepito" a pieno titolo dalla Chiesa cattolica. Gli interventi
successivi confermano il fatto. La terza edizione del Messale romano del
2000 aggiunge al n. 299, dopo le parole «celebrare rivolti verso il
popolo», l’inciso «la qual cosa è conveniente realizzare ovunque sia
possibile», che va attribuito all’intero periodo. In particolare
introduce il nuovo n. 303 relativo alle nuove chiese per l’unicità dell’altare
e a quelle con il vecchio altare suggerendone uno nuovo, senza
danneggiarne il valore artistico.
Un altro episodo degno di menzione è il volume L’altare,
mistero di presenza, opera dell’arte, a cura di Goffredo Boselli del
monastero di Bose, che raccoglie gli Atti del secondo convegno
internazionale (31 ottobre-2 novembre 2004), di cui il secondo ambito di
ricerca è dedicato alla presentazione e valutazione di alcune
realizzazioni di altare dal Vaticano II ad oggi in Europa, una panoramica
iconografica altamente significativa. Sempre in tema di pubblicazioni in
rapporto alla recezione molto positiva sul piano pastorale è l’articolo
del teologo e parroco Severino Dianich su "La posizione del prete all’altare"
in Vita Pastorale, 7/2006, pp. 66-67.
Vengo all’ultimo paragrafo. All’accusa della nostra
rilettura del testo conciliare, «lasciando in disparte la riflessione
sulla storia e sulla teologia dell’orientamento liturgico», mi limito a
rispondere che nei precedenti interventi su queste stesse pagine ho
scritto che non esiste una tradizione comune d’Oriente e d’Occidente
circa l’orientamento della preghiera liturgica: alla citazione iniziale
dell’articolo posso aggiungere Vita Pastorale 6/1993, pp. 8-9;
10/1993, pp. 60-61; 4/2001, pp. 50-51.
Sulla stessa mia posizione si collocano l’editoriale
citato di Notitiae pp. 246-247 e in particolare P. Gy, che proprio
sul piano storico documenta contro L. Bouyer e J. Ratzinger che la
celebrazione verso il popolo è attestata a Roma e in Africa e la
questione verso oriente risale alla liturgia papale di Avignone (cf. La
Maison-Dieu, 229, 2002/1, p. 174). Infine, come suggerito, spostando l’interpretazione
conciliare alla luce del discorso di Benedetto XVI, seguendo come proposta
il volume Rivolti al Signore, che io ritengo
"unilaterale", il problema viene ad assumere aspetti che per ora
esulano dal nostro dibattito. Mi auguro di intervenire sull’orientamento
nella liturgia eucaristica.
Rinaldo Falsini
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