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DIBATTITO SU UN INTERVENTO DI PADRE FALSINI

L’altare verso il popolo

di RINALDI FALSINI
   

   Vita Pastorale n. 1 gennaio 2007 - Home Page LA RISPOSTA
Una recezione definitiva e totale

Ringrazio Michael Lang per l’attenzione riservata al mio articolo "L’altare verso il popolo è scelta conciliare" (Vita Pastorale, 10/2006, pp. 54-55), non altrettanto per la sua disponibilità «a riaprire un dibattito sulla posizione dell’altare e l’orientamento nella preghiera liturgica», prescindendo dalla "scelta conciliare" anzi rifiutandola pregiudizialmente. Scrivevo infatti che «riconosciuta la piena legittimità conciliare della scelta, si può aprire un nuovo dibattito che prenda sul serio l’esperienza della riforma liturgica compiuta in questi quarant’anni e al tempo stesso le critiche mosse alla medesima per trovare una soluzione concordata».

Dovrei quindi interrompere il dialogo che Lang ha iniziato ripetendo il contenuto del volume Rivolti al Signore, che non interessa direttamente i lettori. Tuttavia non voglio rifiutarmi al confronto, premettendo però due principi fuori discussione che possono guidare con serenità il nostro dialogo.

1. La celebrazione verso il popolo è una posizione prevista e proposta dal Concilio come ho "documentato" nel mio intervento; 
2.
la recezione della proposta come modalità più adeguata da parte della Chiesa cattolica è stata immediata e "universale" come testimoniano i quarant’anni della riforma liturgica.

Tutto il resto può essere oggetto di discussione, ma restando entro questo ambito.

Basilica di San Pietro: solenne messa concelebrata dai Padri del concilio Vaticano II.
Basilica di San Pietro: solenne messa concelebrata dai Padri del concilio Vaticano II
(foto Giuliani).

La volontà del Concilio

Michael Lang ripete quanto scritto dal cardinale Joseph Ratzinger, che la Sacrosanctum concilium cioè non parla di celebrazione «verso il popolo». La costituzione per sua natura non entra nei dettagli, ma il mio intervento, in riferimento al titolo, è la documentazione oggettiva, e non un’interpretazione un po’ forzata, tanto meno una "tesi", che il problema della celebrazione verso il popolo ha coinvolto i padri conciliari nella discussione sia in aula e sia nella commissione liturgica, quindi nella votazione dell’articolo 128 del cap. VII sull’"Arte sacra e la sacra suppellettile", al quale era allegata una Declaratio predisposta già nella commissione preparatoria, dalla quale è stata tratta la frase che dispone «la separazione dell’altare dalla parete per occupare un posto centrale fra presbiterio e fedeli, con la possibilità di celebrare rivolti ai fedeli». Su questo fatto indiscutibile, che ho avuto la fortuna di poter raccontare utilizzando il materiale della commissione conciliare di liturgia in quanto addetto alla segreteria, e che ha incontrato vivo apprezzamento in molti studiosi in Italia e oltre le Alpi, Michael Lang tace, sorvola, dopo aver detto che «non può essere d’accordo». Così, ignorandone l’origine conciliare, prosegue il suo sguardo sul testo dell’Inter oecumenici nelle varie vicende per giungere al suo vero obiettivo, l’orientamento nella preghiera liturgica.

Ritornando al Concilio, all’inizio di ogni congregazione generale veniva celebrata nell’aula la santa messa rivolti verso l’assemblea, mentre, commenta Jounel, al concilio Vaticano I, il celebrante voltava le spalle ai Padri. La stessa istruzione fu composta dal Consilium della riforma, utilizzando il materiale della preparatoria, e pubblicata il 26 settembre 1964, in pieno svolgimento del Concilio, per entrare in vigore il 7 marzo 1965, a Concilio ancora aperto. Quindi la celebrazione rivolti al popolo appartiene a pieno titolo al Concilio, dalla discussione all’attuazione, e ha contribuito indubbiamente alla sua convinta e totale adesione.

Messa celebrata da Benedetto XVI nella cattedrale di Istanbul, il 1° dicembre scorso.
Messa celebrata da Benedetto XVI nella cattedrale di Istanbul, il 1° dicembre scorso
(foto Osservatore Romano).

Accoglienza immediata

La recezione ecclesiale del documento Inter oecumenici, ordinato «a rendere la liturgia rispondente allo spirito del Concilio per promuovere la partecipazione attiva dei fedeli» (n. 4), fu pronta e impegnata, in particolare il capitolo relativo ai luoghi della celebrazione, partendo dall’altare. A questo proposito dobbiamo insistere che la celebrazione rivolti al popolo non è un atteggiamento isolato né tanto meno primario e nemmeno indispensabile, bensì un aspetto della centralità dell’altare rispetto a tutta l’assemblea con il sacerdote.

Lo conferma il n. 91: «È bene che l’altare maggiore sia staccato dalla parete per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo. Nell’edificio sacro sia posto in luogo tale da risultare come il centro ideale a cui spontaneamente converga l’attenzione di tutta l’assemblea».

Michael Lang annota tutto questo, ma dopo avere sottolineato due inviti alla misura e alla prudenza, rispettivamente di A. Jungmann e del cardinale Lercaro, contro interpretazioni ed eccessi per l’euforia del momento. Non ho difficoltà a riconoscerlo e a ricordare.

Nel 1970 usciva la prima edizione del Messale romano (ed. italiana 1973) dotata dell’Institutio generalis che al n. 262 riportava letteralmente il testo sopra citato con nuove parole iniziali «L’altare maggiore sia costruito [...]». Nella seconda edizione italiana del 1983 la Cei introdusse alcune precisazioni, di cui il n. 14 riguardava l’altare, con tono più deciso: «L’altare fisso della celebrazione sia unico e rivolto al popolo. Nel caso di difficili soluzioni artistiche per l’adattamento di particolari chiese e prebiteri, si studi, sempre d’intesa con le competenti commissioni diocesane, l’opportunità di un altare mobile opportunamente progettato e definitivo. Se l’altare retrostante non può essere rimosso o adattato, non si copra la sua mensa con la tovaglia».

Ormai la recezione, in Italia, era definitiva e totale, non lasciata alla libera scelta come Lang asserisce, confrontando le rubriche dell’Ordinario del messale italiano con l’Institutio generalis.

Celebrazione della Passione nella chiesa della SS. Trinità a Milano.
Celebrazione della Passione nella chiesa della SS. Trinità a Milano
(foto Belluschi).

Ma il testo autorevole per il nostro problema è rappresentato dall’editoriale "Pregare ‘ad Orientem versus’" della rivista della Congregazione per il culto divino, Notitiae n. 322, 1993, pp. 245-249, che Lang cita scegliendo soltanto qualche frase "innocua" alla sua tesi sulla semplice possibilità. 

«La riforma liturgica del Vaticano II», si legge a p. 247, «non ha inventato la disposizione dell’altare verso il popolo. Si pensi in questo alla testimonianza delle Basiliche romane, almeno come fatto preesistente. L’opzione per la celebrazione versus populum è coerente con l’idea teologica di fondo, riscoperta e provata dal movimento liturgico [...]. La teologia del sacerdozio comune e del sacerdozio ministeriale, distinti essentia, non gradu, ordinati l’uno all’altro (LG 10) si esprime certamente meglio con la disposizione dell’altare versus populum. "Non pregavano gli antichi monaci fin dall’antichità gli uni uniti agli altri per cercare la presenza del Signore in mezzo a loro?"».

Convito e sacrificio

Vorrei riportare, sempre dalla stessa pagina, un’osservazione che ritengo risolutiva dell’idea serpeggiante che il sacerdote rivolto al popolo metta meglio in risalto il significato della messa come convito, mentre il sacerdote con il popolo rivolto all’altare metta in rilievo la dimensione sacrificale considerata prevalente. Ecco il testo: «Un motivo figurativo merita ancora di essere sottolineato. La forma simbolica dell’eucaristia è quella di un convito, ripetizione della cena del Signore. Non si dubita che questo convito sia sacrificale, memoriale della morte e risurrezione di Cristo, però dal punto di vista figurativo il suo punto di riferimento è la cena» (pp. 247-248).

L’editoriale propone infine alcuni orientamenti pratici, come: 1) «La celebrazione dell’eucaristia versus populum domanda al sacerdote una maggiore e sincera espressività della sua coscienza ministeriale»; 2) «L’orientamento dell’altare versus populum esige con maggiore rigore un uso più corretto dei diversi luoghi del presbiterio [...]»; 3) «La collocazione dell’altare versus populum è certo qualcosa di desiderato dall’attuale legislazione liturgica». Ma non vanno dimenticate altre osservazioni come: «L’espressione rivolti al popolo non ha un senso teologico, ma topografico–presidenziale. Teologicamente pertanto la Messa è sempre rivolta a Dio e rivolta al popolo ecc.».

Un sacerdote celebra l'eucaristia in una chiesa maronita libanese.
Un sacerdote celebra l’eucaristia in una chiesa maronita libanese
(foto Nino Leto).

Non vorrei esagerare, ma questa valutazione autorevole è la riprova che l’altare verso il popolo è da considerarsi ormai "recepito" a pieno titolo dalla Chiesa cattolica. Gli interventi successivi confermano il fatto. La terza edizione del Messale romano del 2000 aggiunge al n. 299, dopo le parole «celebrare rivolti verso il popolo», l’inciso «la qual cosa è conveniente realizzare ovunque sia possibile», che va attribuito all’intero periodo. In particolare introduce il nuovo n. 303 relativo alle nuove chiese per l’unicità dell’altare e a quelle con il vecchio altare suggerendone uno nuovo, senza danneggiarne il valore artistico.

Un altro episodo degno di menzione è il volume L’altare, mistero di presenza, opera dell’arte, a cura di Goffredo Boselli del monastero di Bose, che raccoglie gli Atti del secondo convegno internazionale (31 ottobre-2 novembre 2004), di cui il secondo ambito di ricerca è dedicato alla presentazione e valutazione di alcune realizzazioni di altare dal Vaticano II ad oggi in Europa, una panoramica iconografica altamente significativa. Sempre in tema di pubblicazioni in rapporto alla recezione molto positiva sul piano pastorale è l’articolo del teologo e parroco Severino Dianich su "La posizione del prete all’altare" in Vita Pastorale, 7/2006, pp. 66-67.

Vengo all’ultimo paragrafo. All’accusa della nostra rilettura del testo conciliare, «lasciando in disparte la riflessione sulla storia e sulla teologia dell’orientamento liturgico», mi limito a rispondere che nei precedenti interventi su queste stesse pagine ho scritto che non esiste una tradizione comune d’Oriente e d’Occidente circa l’orientamento della preghiera liturgica: alla citazione iniziale dell’articolo posso aggiungere Vita Pastorale 6/1993, pp. 8-9; 10/1993, pp. 60-61; 4/2001, pp. 50-51.

Sulla stessa mia posizione si collocano l’editoriale citato di Notitiae pp. 246-247 e in particolare P. Gy, che proprio sul piano storico documenta contro L. Bouyer e J. Ratzinger che la celebrazione verso il popolo è attestata a Roma e in Africa e la questione verso oriente risale alla liturgia papale di Avignone (cf. La Maison-Dieu, 229, 2002/1, p. 174). Infine, come suggerito, spostando l’interpretazione conciliare alla luce del discorso di Benedetto XVI, seguendo come proposta il volume Rivolti al Signore, che io ritengo "unilaterale", il problema viene ad assumere aspetti che per ora esulano dal nostro dibattito. Mi auguro di intervenire sull’orientamento nella liturgia eucaristica.

Rinaldo Falsini

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