.
Interpretazione forzata
«Malgrado la loro grande reputazione», questi teologi «in
principio non riuscirono a far sentire la loro voce: era troppo forte la
tendenza a sottolineare il fattore comunitario della celebrazione
liturgica, quindi a considerare assolutamente necessario il fatto che
sacerdote e fedeli fossero rivolti l’uno verso gli altri»: sono le
parole del cardinale Ratzinger, ora papa Benedetto XVI, nella sua
prefazione al mio libro Rivolti al Signore. L’orientamento nella
preghiera liturgica (ed. Cantagalli 2006, Siena, p. 9). Oggi, il clima
intellettuale e spirituale è meno polarizzato ed è stato possibile
riprendere la discussione sulla posizione dell’altare e l’orientamento
della preghiera; lo dimostrano le recenti opere al riguardo che sono state
accolte con notevole attenzione fra gli studiosi di liturgia. Come dice
Ratzinger, «la ricerca storica ha reso la controversia meno faziosa, e
fra i fedeli cresce sempre più la sensazione dei problemi che riguardano
una disposizione che difficilmente mostra come la liturgia sia aperta a
ciò che sta sopra di noi e al mondo che verrà» (ibid.).
Purtroppo, non posso essere d’accordo con la tesi di
padre Falsini che «l’altare verso il popolo è scelta conciliare». È
ben conosciuto che i decreti del Concilio non prevedono nulla di tutto
questo. La Sacrosanctum concilium non parla di celebrazione «verso
il popolo». Padre Falsini rimanda all’articolo 128 del cap. VII della
costituzione: «Si rivedano [...] i canoni e le disposizioni
ecclesiastiche che riguardano il complesso delle cose esterne attinenti al
culto sacro, specialmente per la costruzione degna e appropriata degli
edifici sacri, la forma e la erezione degli altari». Ma la sua
interpretazione di questo articolo mi sembra forzata.
L’istruzione Inter oecumenici, preparata dal Consilium
per l’applicazione della costituzione sulla sacra liturgia ed
emanata il 26 settembre 1964, contiene un capitolo sulla progettazione di
nuove (!) chiese e altari che comprende il paragrafo che segue: «Praestat
ut altare maius extruatur a parete seiunctum, ut facile circumiri et in eo
celebratio versus populum peragi possit [Nella chiesa vi sia di norma
l’altare fisso e dedicato, costruito ad una certa distanza dalla parete,
per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo]»
(Inter oecumenici, n. 91: AAS 56, 1964, p. 898).
Vi si afferma che sarebbe desiderabile erigere l’altare
separato dalla parete di fondo in modo che il sacerdote possa girarvi
intorno facilmente e sia così possibile celebrare rivolti verso il
popolo. Jungmann ci chiede di considerare quanto segue: «Viene
sottolineata solamente la possibilità. E questa [separazione dell’altare
dalla parete] non è neppure prescritta, ma solo consigliata, come si può
notare osservando il testo latino della direttiva [...]. Nella nuova
istruzione la premessa generale di una simile disposizione dell’altare
viene sottolineata soltanto in funzione di possibili ostacoli o
restrizioni locali» (J. A. Jungmann, "Der neue Altar" in Der
Seelsorger, 37, 1967, p. 375).
In una lettera indirizzata ai capi delle Conferenze
episcopali, datata 25 gennaio 1966, il cardinale Giacomo Lercaro,
presidente del Consilium, dichiara che, riguardo al rinnovamento
degli altari, «la prudenza deve essere la nostra guida». E prosegue
spiegando: «Soprattutto perché, per una liturgia vera e partecipe, non
è indispensabile che l’altare sia rivolto versus populum: nella
messa, l’intera liturgia della parola viene celebrata dal seggio, dall’ambone
o dal leggio, quindi rivolti verso l’assemblea; per quanto riguarda la
liturgia eucaristica, i sistemi di altoparlanti rendono la partecipazione
abbastanza possibile.
In secondo luogo si dovrebbe pensare seriamente ai
problemi artistici e architettonici essendo questi elementi protetti in
molti Paesi da rigorose leggi civili» (traduzione da G. Lercaro, "L’heureux
développement" in Notitiae 2, 1966, p. 160). Si deve
ricordare in quel contesto anche una proposizione fondamentale delle norme
generali sulla riforma della sacra liturgia della Sacrosanctum
concilium: «Infine non si introducano innovazioni se non quando lo
richieda una vera e accertata utilità della Chiesa, e con l’avvertenza
che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da
quelle già esistenti» (cap. III. art. 23). In ogni caso, non ci si può
appellare al concilio Vaticano II per giustificare le radicali alterazioni
cui sono state sottoposte le chiese storiche in tempi recenti.
Per quanto riguarda l’esortazione alla prudenza del
cardinale Lercaro, Jungmann ci ammonisce a non dare per scontata l’opzione
concessa dall’istruzione rendendola una «richiesta assoluta, ed
eventualmente una moda, alla quale soccombere senza pensare» (Der neue
Altar, p. 380). L’Inter oecumenici consente quindi di
celebrare la messa di fronte al popolo, ma non lo prescrive. Quel
documento non suggerisce affatto che la messa celebrata volgendosi verso i
fedeli sia sempre la forma preferibile di celebrazione eucaristica. Le
rubriche del rinnovato Missale Romanum di papa Paolo VI
presuppongono un orientamento comune del sacerdote e del popolo per il
momento culminante della liturgia eucaristica.
L’istruzione indica che, al momento dell’Orate
fratres, della Pax Domini, dell’Ecce, Agnus Dei e del Ritus
conclusionis, il prete debba volgersi verso i fedeli: questo parrebbe
implicare che in precedenza sacerdote e popolo fossero rivolti nella
stessa direzione, ovvero verso l’altare. Alla comunione del celebrante
la rubrica dice ad altare versus, istruzione che sarebbe ridondante
se il celebrante fosse già dietro l’altare e di fronte al popolo. Tale
lettura viene confermata dalle direttive della Institutio generalis,
anche se queste, di tanto in tanto, sono diverse da quelle dell’Ordo
Missae. La terza Editio typica del rinnovato Missale Romanum,
approvata da papa Giovanni Paolo II il 10 aprile 2000, e pubblicata nella
primavera del 2002, mantiene queste rubriche.

Il libro Rivolti al Signore.
Un richiamo caduto nel vuoto
Tale interpretazione dei documenti ufficiali è
confermata dalla Congregazione per il culto divino. In un editoriale di Notitiae,
il bollettino ufficiale della Congregazione, si chiarisce che la
disposizione di un altare che permetta la celebrazione verso il popolo non
sia questione sulla quale la liturgia stia in piedi o cada. L’articolo
suggerisce inoltre che, in questo problema come in molti altri, il
richiamo alla prudenza del cardinale Lercaro è più o meno caduto nel
vuoto sull’onda dell’euforia postconciliare. L’editoriale osserva
che il cambiamento di orientamento dell’altare e l’uso della lingua
corrente sono cose molto più facili che l’entrare nella dimensione
teologica e spirituale della liturgia, studiarne la storia e tener conto
delle conseguenze pastorali della riforma ("Editoriale: Pregare ‘ad
orientem versus’" in Notitiae 29, 1993, p. 247).
Nell’edizione riveduta dell’Ordinamento generale
del Messale romano, pubblicata a scopo di studio nella primavera del
2000, si trova un paragrafo che riguarda la questione dell’altare: «Altare
exstruatur a parete seiunctum, ut facile circumiri et in eo celebratio
versus populum peragi possit, quod expedit ubicumque possibile sit [L’altare
sia costruito separato dalla parete in modo che si possa girare facilmente
intorno e celebrare di fronte al popolo – il che è desiderabile ovunque
sia possibile]» (n. 299). La sottile formulazione di questo paragrafo (possit
– possibile) indica con chiarezza come la posizione del sacerdote
celebrante di fronte al popolo non sia resa obbligatoria: l’istruzione
consente semplicemente entrambe le forme di celebrazione.
In ogni modo la frase aggiunta «che è desiderabile
ovunque (o comunque) sia possibile (quod expedit ubicumque possibile
sit)», si riferisce alla previsione di un altare a sé stante e non
al fatto che sia desiderabile una celebrazione versus populum.
Eppure diverse recensioni dell’Ordinamento generale riveduto
sembrano suggerire che la posizione del celebrante versus orientem o
versus absidem sia stata dichiarata indesiderabile o persino
proibita. Tale interpretazione è stata tuttavia respinta dalla
Congregazione per il culto divino rispondendo a una domanda del cardinale
Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna (sorprende che sia stata
pubblicata non su Notitiae, ma sulla pubblicazione ufficiale del
Pontificio consiglio per i testi legislativi, Communicationes 32,
2000, pp. 171-172). Naturalmente il paragrafo in questione dell’Ordinamento
generale va letto alla luce di questo chiarimento.
