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N. 2 febbraio 2009
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Con
Maria nel nuovo millennio![]() di STEFANO DE FIORES, smm Ed è beneficiaria di tre
beatitudini «...perché grandi cose ha fatto in me il
Potente» (Lc 1,49). Non si possono comprendere queste «grandi cose»
se non nel contesto della salvazione sperimentata dalla Vergine di
Nazaret. Non sono mancati esegeti e teologi che hanno applicato alla Madre di Gesù le otto beatitudini del Vangelo di Matteo (5, 3-10), riconoscendo «come ciascuna "beatitudine" trovi verità in Maria, "donna delle beatitudini"». Già nel 1954 Edward Schillebeeckx aveva indicato nelle beatitudini evangeliche, riassunte nel comportamento di fondo della povertà (anawah), il segreto della spiritualità della Vergine: «Nel Discorso della montagna, proclamando la salvezza delle "beatitudini" – lode ripetuta dell’anawah –il Signore non aveva presente un ideale cristiano astratto, ma un ideale concretamente realizzato a Nazaret nella casa di Maria e di Giuseppe. Le beatitudini, frutto dello Spirito Santo, non sono un’ideologia cristiana chimerica, ma sono la canonizzazione, fatta dal Cristo, di Maria e di tutti quelli che la imitano». Da parte nostra, piuttosto che applicare a Maria le singole beatitudini riportate da Matteo, preferiamo soffermarci sul Vangelo di Luca che presenta esplicitamente Maria come beneficiaria di tre beatitudini. La prima è proclamata da Elisabetta e riguarda la fede: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45). La seconda fiorisce sulle labbra stesse di Maria: «D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,48). La terza è proferita da un’anonima popolana, che di fronte alla sapienza di Gesù, alzò la voce di mezzo alla folla e disse: «Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte». A lei Gesù risponde con una beatitudine di tipo coinvolgente e insieme correttivo: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e la osservano» (Lc 11,27-28).
La fede Nessuno si sognerà di mettere il silenziatore su una beatitudine che sorge da una madre come Elisabetta, che al saluto della giovane madre Maria si sente rallegrata dalla presenza dello Spirito ed è spinta ad esclamare «ad alta voce» le parole di congratulazione: «Benedetta!» (Lc 1,42) e «Beata!» (Lc 1,45). Come nota Heinz Schürmann, quella di Elisabetta «non è soltanto una risposta di saluto, ma anche una confessione di lode e l’interpretazione di un evento (...). Essa porta ad una omologesi [confessione pubblica e gioiosa] e invita ciascuno a parteciparvi». Egli precisa come il riconoscimento della fede di Maria modifica profondamente la maternità di lei, liberandola da una visione unicamente biologica e rendendola una realtà accolta personalmente: «La beatitudine conclusiva (...) – in contrasto con l’incredulità di Zaccaria descritta in 1,18ss – sottolinea in maniera unica la fede di Maria. Con Maria – la "Madre della fede" – ha avuto inizio la fede sulla terra. Poiché ella è "Madre della fede", divenne anche corporalmente madre del Messia. Qui la maternità di Maria è intesa già in termini molto profondi; non fu solo una maternità fisica (v. 43), ma eminentemente una maternità spirituale, come si deve interpretare tenendo presente il v. 38: la maternità di Maria aveva profonde premesse nella sua vita personale, era inserita nella sua disponibilità e nella sua fede». Come ha osservato Jacques Dupont, «Elisabetta si rivolge a Maria; le parla naturalmente in seconda persona, ma termina dicendo: Beata colei che ha creduto», con il significato: Tu sei beata per aver creduto; questa costruzione non è strana, poiché «se si passa alla terza persona è senza dubbio per conformità alla costruzione abituale del macarismo [beatitudine]». Quanto alla motivazione, essa è soggetta a duplice interpretazione del testo makaría e pistéusasa (Lc 1,45):
Giovanni Paolo II coglie perspicuamente la rilevanza della beatitudine della fede di Maria quando nella Redemptoris Mater afferma che «nell’espressione "Beata colei che ha creduto" possiamo trovare quasi una chiave che ci schiude l’intima realtà di Maria» (RM 19). Ed aggiunge: «Queste parole si possono affiancare all’appellativo "Piena di grazia" del saluto dell’Angelo. In entrambi i testi si rivela un essenziale contenuto mariologico, cioè la verità su Maria, che è diventata realmente presente nel mistero di Cristo proprio perché "ha creduto"» (RM 12).
La beatitudine del credere, cioè, si rivela quasi un primo principio o un orizzonte di comprensione, in quanto caratterizza essenzialmente la personalità religiosa della Vergine di Nazaret, il suo io profondo. Infatti, secondo il Papa, «nella Chiesa di allora e di sempre Maria è stata ed è soprattutto colei che è "beata perché ha creduto": ha creduto per prima» (RM 26). Allo stesso Pontefice dobbiamo un approfondimento della fede di Maria in tre direzioni: 1) fede-donazione che mette tutto il proprio essere a disposizione del Signore (Lc 1,38), cioè «abbandono» a Dio senza riserve e consacrazione totale di sé a lui (RM 13); 2) fede-introduzione nel mistero, ossia costante e progressivo «contatto con l’ineffabile mistero di Dio» (RM 17); 3) fede-peregrinazione, cioè un duro cammino che ha conosciuto una «particolare fatica del cuore» o «notte della fede» (RM 17) e perfino «la più profonda kenosi della fede nella storia dell’umanità» (RM 18), quando partecipò alla «tragica esperienza del Golgota» (RM 26). La sua fede fu come quella di Abramo «sperando contro ogni speranza» (RM 14), sicché «ai piedi della croce essa divenne eroica» (RM 18). Ora, se la fede contiene un aspetto illuminativo in quanto è «conoscenza della verità» (1Tm 2,4; 2Tm 3,7), essa differisce dalla visione definitiva e mantiene un carattere enigmatico: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia» (1Cor 13,12). Questo vale anche per Maria, che non comprese le parole del Figlio (Lc 2,50) ed ha incontrato difficoltà e contraddizioni. Si può invece supporre in lei l’esperienza chiamata «Contatto mistico», che inabissa nel mistero della presenza divina e infonde illuminazioni speciali sulla propria identità e missione.
Ciascuno di noi... La seconda beatitudine riguarda il futuro di Maria, quindi concerne ciascuno di noi (anche se non soltanto noi), perché in forma di autofelicità (come Lia [Gen 30,13], ma in senso escatologico definitivo) la Vergine Madre prevede e annuncia come tutte le genti che nasceranno lungo tutti i secoli la «chiameranno beata» (Lc 1,48). È un vero macarismo con i suoi tre elementi strutturali, compresa la motivazione che bisognerà comprendere in base all’esame del testo e del contesto. La ragione della beatitudine di Maria è espressa chiaramente nel versetto seguente: «Perché grandi cose ha fatto in me il Potente» (Lc 1,49). Non si possono comprendere queste «grandi cose» se non nel contesto della salvazione sperimentata dalla Vergine di Nazaret. Innanzitutto Maria sperimenta lo sguardo benevolo di Dio su lei povera serva. La Vergine versa in una situazione afflittiva, del tipo di quelle in cui si sono trovate altre donne (Sara, Rachele, Anna...) e soprattutto i poveri di YHWH: situazione non solo di povertà economica, ma soprattutto di mancanza di qualsiasi influsso e potere. Ciononostante, anzi proprio per questa condizione, ella attira l’occhio di Dio che si curva sui deboli e sugli oppressi (Gc 2,5). Se essere oggetto di attenzione e di stima da parte dei propri simili rafforza l’io di una persona, a più forte ragione Maria si sente esistere sotto lo sguardo di Dio che si rivolge a lei con amore! Ma l’amore di predilezione di Dio non resta inerte. Egli, secondo la teologia classica d’Israele, interviene nella storia con il «ribaltamento delle sorti», facendo passare dalla bassezza all’esaltazione, dall’umiltà alla gloria, dall’insignificanza ad una partecipazione attiva alla salvezza del popolo. Dio dunque, in base alla sua costante storico-salvifica, opera in Maria un cambiamento di situazione compiendo in lei «grandi cose» (Lc 1,49). Queste mirabilia compiute da Dio in Maria sono gli eventi accaduti all’Annunciazione: il concepimento verginale del Figlio dell’Altissimo, realtà che richiede l’azione di Dio cui nulla è impossibile (Lc 1,37), e la sua risposta di fede piena alla Parola di Dio. La Vergine interpreta la sua maternità verginale come una delle «grandi cose» operate in lei dal Potente «come aveva promesso» ai padri (Lc 1,55). Stefano De Fiores, smm |
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