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N. 2 febbraio 2009
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La parola del Vescovo ![]() di Mons. GIUSEPPE GUERRINI, vescovo di Saluzzo Sono stato insegnante per molti anni nella scuola. Presento questa riflessione immaginandomi davanti ad un pubblico di studenti delle superiori. I sorrisini e gli ammiccamenti si sprecano. È un argomento difficile. Bisogna intendere verginità come una condizione biologica o anche come un atteggiamento di tutta la personalità? È da declinarsi al femminile od anche al maschile? Quale il valore della verginità? Siamo circondati da una cultura edonista che con la complicità dei mezzi di comunicazione riduce la sessualità a gioco e consumo. Pare addirittura che la verginità sia considerata un disvalore, con la conseguenza che il primo rapporto sessuale completo è sempre più precoce e nella grande maggioranza dei casi svincolato non solo dal matrimonio, ma anche da un legame profondo e stabile. Ritengo perciò che sia importante chiarire quali sono i valori in gioco. Anzitutto la sessualità, perché se questa è vista come bisogno istintuale insopprimibile non resta che lasciarsi trasportare cercando di ridurre al minimo i rischi. Solo una concezione alta della sessualità come linguaggio di amore e come strumento di procreazione e prolungamento della stessa creazione permette una visione positiva della continenza nel celibato. E questo non va da sé. La storia ci dice come la valorizzazione della verginità nei primi secoli del cristianesimo sia stata accompagnata talvolta da atteggiamenti diffidenti nei confronti della corporeità e soprattutto della sessualità fino a giungere a squalificare la vita matrimoniale.
L’affermazione del valore della rinuncia al matrimonio non è un dato scontato. L’Antico Testamento non contemplava il celibato; la dottrina rabbinica era chiara al riguardo: il matrimonio era un obbligo morale e il celibato era visto come trasgressione alla legge di Dio proclamata nel crescete e moltiplicatevi. Pertanto «il celibe diminuisce l’immagine di Dio». Unica eccezione è il profeta Geremia che con la sua vita di solitario ricorda l’imminenza del giorno del Signore e mostra di essere stato sedotto da Dio (Ger 20,7). Col Nuovo Testamento irrompe una prospettiva nuova che emerge netta da alcuni testi evangelici. Anzitutto l’insistenza sulla radicalità del dono di sé, nel contesto della discussione sul matrimonio indissolubile: Vi sono eunuchi... che si sono resi tali per il regno dei cieli. Chi può capire capisca (Mt 19,12). Il tema della radicalità della sequela, anche se non esplicita la rinuncia al matrimonio, lo si può leggere nella risposta di Gesù a Pietro: Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà (Lc 18,29-30). Vi è poi la frase di Gesù, nel contesto della polemica con i sadducei circa la risurrezione: Alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo (Mt 22,30) che apre alla prospettiva di guardare a nuovi cieli e una terra nuova (2Pt 3,13). Da allora una schiera innumerevole di donne e di uomini ha cercato di vivere questa scelta. Ne è testimone san Paolo: Il tempo si è fatto breve... Chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso! (1Cor 7, 29.32-33). Tra il rifiuto del celibato dell’Antico Testamento e la prospettiva aperta dal Nuovo sta Maria, la Vergine Madre, cerniera tra i due Testamenti. In Maria tutta la catena delle generazioni raggiunge il suo fine: è la Madre, ma è anche la Vergine perché in lei si compie la pienezza dei tempi. Maria è icona, modello, esempio di amore totale ed esclusivo, nessuno come lei ha anticipato i cieli nuovi e mondi nuovi. Invocare la Vergine delle vergini è invocare una "terapia spirituale" sul nostro tempo, aiutarlo ad allargare gli orizzonti, a dilatare il cuore. mons. Giuseppe Guerrini |
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