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Germanista
di fama internazionale, romanziere, poeta, saggista e critico, lo
scrittore piemontese interpretava la fede in Cristo con sensibilità
laica. Il decennale della morte è un’opportunità per riscoprirne la
grandezza.
Nel
secolo scorso, all’inizio degli anni Ottanta, la carriera letteraria di
Italo Alighiero Chiusano conobbe una decisiva virata, in seguito alla
quale i venti del consenso critico e del successo di pubblico vennero a
disporsi di poppa, spingendo la sua creatività sempre più "al
largo", pur senza fargli sperimentare l’ebbrezza della grande
popolarità mediatica o la soddisfazione del bestseller da 100.000
copie. Quel giro di boa è contrassegnato da un vocabolo di sapore
inconfondibilmente arcaico, barbarico, medievale: "ordalia". Ed
è infatti L’ordalia il titolo, insieme realistico e metaforico,
di un felicissimo romanzo che, pubblicato nel 1979, strappò Chiusano all’hortus
conclusus della germanistica, della narrativa per palati esigenti,
della drammaturgia per raffinati intenditori, imponendolo quasi d’improvviso
all’attenzione della società culturale e dell’editoria libraria.
In una conferenza tenuta a Napoli nel 1980, il
germanista rivelatosi anche romanziere di rango dimostrò una lucida
consapevolezza della svolta in atto, non solo nel suo laboratorio di
scrittore ma anche nel suo percorso esistenziale: «È curioso. Fino a un
anno fa ero un signore che si occupava di letteratura tedesca, pubblicava
qualche romanzo, e soprattutto molti racconti e radiodrammi. Ora invece
eccomi diventato specialista di una scienza nuova, la scienza ordàlica.
[...]. Curioso e nemmeno troppo piacevole, perché l’ordalia non è un
paradiso, ma una prova terribile, tra le più dure a cui possa venire
sottoposto un essere umano, e soprattutto ci lega ad alcune tra le più
atroci manifestazioni del Medioevo». Com’è noto, l’ordalia,
"giudizio di Dio" sancito dal diritto civile-religioso – in
particolare germanico –, consisteva in una prova fisica estrema alla
quale si esponeva un accusato e il cui esito, positivo o negativo, veniva
interpretato come verdetto divino sulla sua innocenza o colpevolezza. Nel
romanzo di Chiusano, l’irreprensibile monaco Petro de sancta vita accetta
di camminare scalzo su uno strato di carboni ardenti per comprovare la
veridicità dell’accusa di simonia lanciata contro un vescovo disonesto.
L’accusatore, a sua volta accusato di calunnia, è nel vero. Ma dall’ordalia
esce con i piedi bruciati, apparentemente condannato quasi fosse un
impostore. Da un indegno potere ecclesiastico subisce, sia pure a testa
alta, un’iniqua, cocente umiliazione.

Riscoprire un "classico"
Nonostante il lusinghiero bilancio riscosso con L’ordalia,
ben presto seguita, nel triennio 1981-83, da altre soddisfacenti imprese
narrative come La derrota, drammaturgiche come la trilogia dei Notturni
teatrali, saggistiche come la possente Vita di Goethe, anche
Chiusano avrebbe affrontato, nel corso del tempo, una serie di
"ordalie" risoltesi perlopiù con ingiuste sebbene dignitose
sconfitte. La prima, la più sopportabile, gli era già stata inferta nel
1979, al Premio Campiello, dove il suo romanzo medievale era stato
sopravanzato per due soli voti dalla Storia di Tönle di Mario
Rigoni Stern. L’esplosione, nel 1980, del geniale thriller gotico-conventuale
di Umberto Eco, Il nome della rosa, oscurò in una certa misura il
primato e l’originalità dell’Ordalia nell’inaugurare (o,
meglio, rinnovare) l’approccio narrativo all’Età di Mezzo. La
poliedrica e prolifica attività letteraria, editoriale, giornalistica
dell’ultimo decennio (1985-95) assicurò a Chiusano una stabile
"visibilità", grazie anche all’approdo su prestigiosi lidi
editoriali. Ma il reddito non eccelso, dipendente dalle sobrie tirature
dei suoi libri, gli impose un tour de force lavorativo, scandito da
fitte collaborazioni, interventi pubblici, frequenti viaggi, che alla
lunga incise sull’integrità della sua fibra. Dopo un primo cedimento
del cuore, la segregazione nello studio-eremo affacciato sul ciglio della
collina di Frascati assunse la fisionomia di un evento
"ordalico": sul piano fisico, una sconfitta; capovolta,
tuttavia, in vittoria intellettuale e spirituale alla luce delle centinaia
di pagine scritte e pubblicate fino al penultimo respiro.
Ma neppure la morte, attesa dallo scrittore come
ineluttabile appuntamento con la croce di Cristo e sopraggiunta nel
febbraio del 1995, pose fine alla catena delle sue ordalie. Dopo aver
denotato per qualche tempo una confortante vitalità, la
"fortuna" di Chiusano presso i posteri è declinata in modo
addirittura inconcepibile e scandaloso. È un amaro dato di fatto che
quasi tutte le edizioni dei suoi numerosi libri risultano oggi fuori
commercio. Né vale a mitigare l’offesa di questo assurdo oblio la
constatazione che un’analoga damnatio memoriae ha colpito o sta
colpendo altri grandissimi letterati d’ispirazione cristiana scomparsi
in anni recenti, da Mario Pomilio a Luigi Santucci, da Stefano Jacomuzzi a
Ferruccio Ulivi. Auguriamoci piuttosto, respingendo la tentazione dello
scetticismo, che il decimo anniversario dell’addio a Chiusano diventi l’occasione
per una seria presa di coscienza da parte di tanti editori un tempo
orgogliosi di ospitarlo nei loro cataloghi. Per quantità e qualità, il
suo lascito letterario appare ormai maturo per assurgere alla dimensione
della classicità. Degno di essere riproposto con adeguata sistemazione
critica ai suoi antichi lettori e rivelato ai giovani, perché lo studino,
lo meditino e lo amino.

Il magistero del narratore
In quarant’anni di operatività, Chiusano abbracciò
con pari maestria, in virtù di una prodigiosa concentrazione di talenti,
quasi tutto lo spettro cromatico dei "generi", delle cifre
espressive. Non c’è dubbio, tuttavia, che nel registro narrativo lo
scandaglio del suo pensiero, lo slancio della sua immaginazione, la
ricchezza del suo mondo interiore abbiano raggiunto il più alto grado di
incandescenza. È nei romanzi, in particolare, che la scrittura di
Chiusano tocca livelli di eccellenza assoluta, dando vita a partiture di
affascinante complessità sinfonica. Ma in che cosa consiste, esattamente,
lo "specifico" del suo magistero di narratore? Quali elementi lo
rendono così efficace, duraturo e tuttora autorevole? Una prima, concreta
risposta può provenire di nuovo dall’Ordalia, da uno sguardo
sintetico alla trama di questo romanzo-epos che si offre ancora oggi come
un paradigma, un compendio pratico, una summa dell’ideologia e
della poetica di Chiusano. L’azione si svolge intorno al fatidico
spartiacque dell’Anno Mille. Ne è protagonista Runo, un giovane
scrivano della corte pontificia, al quale il protoscrinario rivela in
segreto la falsità del documento che attesta la presunta "donazione
di Costantino", ovvero l’attribuzione alla Santa Sede del potere
temporale sull’intero Occidente (bisognerà attendere fino alla metà
del XV secolo perché l’umanista Lorenzo Valla smascheri l’impostura
con strumenti filologici). Incapace di continuare a servire un’istituzione
spirituale inquinata da un avido secolarismo, Runo abbandona Roma e
intraprende una peregrinazione verso il Piemonte: insegue l’utopia di
una Chiesa ricondotta alla purezza e alla povertà evangeliche sotto il
governo di una saggia autorità laica. In questo viaggio iniziatico lo
guida il monaco-profeta Petro, reduce dall’ignominia dell’ordalia che
si è ritorta a suo danno. Insieme, fondano tra le montagne biellesi una
comunità improntata allo stile delle Beatitudini. Lì Runo incontra anche
la dolce Nècola, che presto diviene sua sposa. Archiviata la delusione
del fallimento politico di Arduino d’Ivrea, il sogno di un impero
autenticamente cristiano risorge incarnandosi nella figura di Ottone III,
in armonia con papa Silvestro II. Runo raggiungerà l’imperatore a
Ravenna, lo ragguaglierà sulla falsa donazione, ma verrà pugnalato dagli
sgherri pontifici, decisi a seppellire quel seme di verità eversiva.

Storia e metastoria
Emergono, da questo impianto narrativo, alcune
coordinate che, sottoposte a opportune variazioni, innervano l’intera
produzione del romanziere. Spicca, in primo luogo, la predilezione per un
panorama storico minuziosamente ricostruito in tutte le sue componenti
realistiche. Più rare le vicende situate in contesti contemporanei: in
questo senso, Preludio e piccola fuga (1985), analisi di una crisi
coniugale sanata da un recupero di responsabilità e di affetto, si pone
in controtendenza. Predominano le dislocazioni più o meno remote, le
incursioni in grandiosi scenari medievali (oltre che nell’Ordalia, anche
nel folgorante Konradin del 1990), in circoscritte aree
ottocentesche (la Stiria asburgica evocata nel romanzo d’esordio, La
prova dei sentimenti, 1966) e novecentesche (l’abbazia pirenaica
dove, sullo sfondo della guerra civile spagnola, si consuma il dramma
inscenato nella Derrota, 1982; l’Italia della ricostruzione
postbellica e la truce Germania della dittatura nazista, lungo la duplice
pista presente/passato che attraversa Inchiesta sul mio amore,
1972). E addirittura, in un romanzo atipico qual è Il vizio del
gambero (1986), controcanto ironico rispetto alla prevalente
drammaticità degli intrecci di Chiusano, la nostalgia di un mitico
passato fa retrocedere il protagonista, attraverso stadi intermedi, fino
alla preistoria: non stupisce che, di sette "reincarnazioni", la
più plastica risulti quella ambientata nel Duecento, con la repressa
attrazione di frate Hugo per la bella margravia Karola.
Rigoroso realismo, dunque, di ambientazioni storiche, di
strutture socio-antropologiche, di linguaggi (si pensi al plurilinguismo
tra erudito e barbarico, tra latineggiante e vernacolare, dell’Ordalia;
agli innesti di tedesco e francese nella Prova dei sentimenti,
di castigliano nella Derrota). Ma è un realismo tutt’altro che
immanentistico; spesso, anzi, contrappuntato – e, per così dire,
lievitato – da un surrealismo che schiude vertiginosi orizzonti
metastorici. Ha scritto un insigne specialista dei rapporti tra fede e
letteratura, padre Ferdinando Castelli: «Chiusano vuole inquietare, nel
senso agostiniano del termine; racconta i casi della vita, certamente, ma
soprattutto analizza i sentimenti per trovare i moventi dell’agire
umano. È immerso nella storia, ma sa che esiste anche una metastoria che
le conferisce significato e valore». Significato e valore che si
radicano, beninteso, nella Weltanschauung appassionatamente
cristiana dello scrittore, nella concezione secondo cui le vite dei suoi
personaggi più emblematici costituiscono – come d’altronde la sua
stessa vita – una sofferta quanto liberante sequela Christi, una
sempre difettosa eppure mai rinunciataria imitazione di Cristo (protesa
fino a uno straziante paradosso nel racconto intitolato appunto L’imitatore,
tra i più intensi della raccolta Eroi di vetro: ritratto di un
capo guerrigliero spinto dalla lettura del Vangelo a un’identificazione
totale con il Nazareno). A tal punto che uno studioso di teologia
applicata alla letteratura, Franco Verdona, ha potuto tracciare con
assoluta plausibilità le linee di una vera e propria cristologia
intrinseca all’opera di Chiusano: «Tutti i suoi personaggi chiave [...]
devono fare i conti con Cristo, che è il discrimine dell’esistenza e
può essere la fonte della salvezza o la pietra d’inciampo».
Ecco, quindi, nella storia dell’innamoramento scoccato
tra l’aitante ufficiale ungherese Janos e l’incantevole nobildonna
francese Denise, fulcro della Prova dei sentimenti, spalancarsi il
mistero – con echi da Bernanos e Mauriac – di una metastoria
spirituale: l’offerta di se stessa e della propria felicità,
inesorabile autocrocifissione simbolica cui la fanciulla si consacra in
cambio della salvezza ultraterrena del padre miscredente; un abisso di
devozione filiale e di abbandono al Signore che inghiotte anche l’innamorato,
al culmine di una turbata conversione. Un salto finale nella metafisica,
insomma: un balzo che nell’epilogo di Konradin si colora di
misticismo, di sublime epopea dello spirito. Immagina infatti Chiusano che
il giovanissimo erede della dinastia sveva, prigioniero a Napoli di Carlo
d’Angiò dopo la sconfitta di Tagliacozzo, abbia la possibilità di
sottrarsi al patibolo grazie a un piano di fuga ordito dal
"fantasma" del nonno, Federico II. Ma la fedeltà ai compagni di
sventura e soprattutto al modello del Cristo gli preclude ogni tentativo
di modificare per viltà un destino già scritto. Analogamente, nella Derrota,
anche il capitano delle milizie repubblicane Juan Thork, convertito a una
visione cristiana dall’esempio dei monaci, decide di consegnarsi al
probabile carnefice, accettando il fallimento della sua missione.
Sacrificio, martirio, ricerca della santità, coraggioso
incontro con la violenza e la morte per testimoniare la propria adesione
senza compromessi alla verità del messaggio evangelico: questo il sigillo
che Chiusano ha impresso di preferenza alle sue costruzioni romanzesche.
Di qui l’accusa, che con superficialità gli è stata mossa, di
pessimismo radicale. Mentre si tratta di un senso tragico della storia che
sfocia, sul piano della vita terrena, nel Venerdì Santo, ma dietro il
Golgota fa intravedere la luce aurorale della Resurrezione: un barlume
riflesso nella «felicità da impazzire» di Janos delirante, nell’«immenso
sospiro di sollievo» di Juan presago della condanna a morte, nella
serenità di Corradino pronto, dinanzi al boia, a «benedire la fortuna di
essere nato».

Germanista senza cattedra
Quando il discernimento e la stima di Santucci lo
accompagnarono al debutto narrativo, Chiusano aveva quarant’anni. Come
germanista era già apprezzato, ma una discreta reputazione si stava
guadagnando anche come autore di pièces teatrali e radiodrammi.
Germanistica e teatro furono, in effetti, i suoi primi – e mai traditi
– amori. Ben presto li accoppiò, dando alle stampe, nel 1964, due tomi
dedicati al Teatro tedesco: dal naturalismo all’espressionismo e da
Brecht a oggi, successivamente confluiti in un’unitaria Storia
del teatro tedesco moderno (1976). Certo, fu un germanista abbastanza
anomalo, Chiusano: senza cattedra e senza discepoli istituzionali (ma a
non pochi neofiti meritevoli prodigò con generosità il suo avviamento e
supporto). Passione e competenza le aveva ereditate dal padre, già
insegnante di tedesco nei licei e console italiano a Breslavia quando vi
nacque Italo, nel 1926. Intense letture prima e dopo la laurea romana in
Giurisprudenza, integrate da soggiorni in Germania, specie nella
prediletta Renania, incrementarono il suo bagaglio linguistico e
letterario, affinato anche mediante numerose e pregevoli traduzioni: da
Goethe, Schiller, Kleist, Musil, Schnitzler, Mann, Hesse, Dürrenmatt e,
segnatamente, Heinrich Böll, cui si legò d’amicizia fino a dedicargli
nel 1974 un fervido profilo.
Un pudore intellettuale forse eccessivo, saldato a una
gelosa tutela della propria autonomia di ricerca e d’iniziativa, vietò
sempre a Chiusano di assumere un ruolo accademico, in Italia o all’estero,
pur potendo egli schierare in campo, oltre alle traduzioni, alle
conferenze, alla biografia bölliana, alle pagine sul teatro moderno e a
una poderosa Letteratura tedesca: storia e antologia (1969), i
seguenti titoli: l’assidua collaborazione con il quotidiano La
Repubblica su temi, libri e personaggi del mondo germanico; i saggi,
le recensioni e gli interventi raccolti in Literatur (1984) nonché
in Altre lune (1987), dove rifulge la limpida e affabile qualità
della sua prosa critica («la critica che resta» affermò in un’intervista
«è quella chiara, trasparente», non «fatta di rebus»); l’immane
lavoro preparatorio su fonti sia dirette sia indirette, in vista del
corpo-a-corpo con Goethe e il suo tempo che si sarebbe solidificato nella
monumentale eppure godibile Vita di Goethe (1981), seguita nel 1983
da un album di segmenti biografici (Goethiana) spazianti dal
registro pseudodiaristico a quello dialogico. E fin dal 1979 troneggiava,
su questo imponente scaffale, la più prestigiosa delle consacrazioni: il
Premio Inter Nationes, una sorta di Nobel per la germanistica conferito
dal Governo federale tedesco.

Con la madre e la sorella.
Una vocazione privilegiata
Come ha testimoniato Raffaele Crovi durante un incontro
commemorativo indetto nell’ottobre 2004 a Milano dalla Fondazione
Ambrosianeum, per encomiabile iniziativa di Ferruccio Parazzoli, tra i
suoi diversi tavoli creativi Chiusano privilegiava, istintivamente, quello
della scrittura per il teatro. La considerava un po’ come «la madre di
tutte le sue vocazioni». Appena quindicenne – lo confidò lui stesso
– aveva abbozzato «una bruttissima tragedia» di stampo alfieriano
intorno alla figura di Ottone III, comunque destinato a entrare con onore
nell’epilogo dell’Ordalia. E non è senza significato che l’ultimo
testo consistente su cui si affaticò alla vigilia della morte fosse una «inchiesta
scenica su Kafka», quel Consideratemi un sogno che vinse post
mortem il Premio Ugo Betti 1995: incastonato in una cornice fantastica
(il volo di Kafka dall’aldilà a Praga sul dorso del suo alter ego,
l’uomo-insetto della Metamorfosi, Gregor Samsa, rappresentato
come «un piccolo Cristo»), il puzzle biografico dello scrittore
boemo si ricompone attraverso una serie di "interviste" ai
genitori, alla fidanzata Felice Bauer, all’amico Max Brod.
Palestra dove il giovane drammaturgo plasmò i muscoli
del proprio talento fu la radio, in una feconda collaborazione parallela
con la Rai e con l’emittente della Svizzera italiana: decine di
radiodrammi tematicamente assortiti nacquero a partire dagli anni
Cinquanta e furono poi distillati nel "canone" delle sette Voci
discordi (1992). La sintassi radiofonica, fondata sull’interazione
tra parola e silenzio, insegnò a Chiusano l’essenzialità e l’evocatività
di un linguaggio indipendente dalle risorse esterne della scenografia,
delle macchine, dei costumi. Ma ogniqualvolta planò sul palcoscenico,
questo "teatro di parola" dimostrò la propria compiutezza e
maturità superando con successo la controprova (si può dire: l’ordalia?)
della rappresentazione, segnata da effetti spettacolari. Persino Kolbe,
l’"oratorio drammatico" che ripercorre, in una catena di flashback,
la vita di un santo moderno, il francescano polacco Maksymilian Kolbe,
martire ad Auschwitz, persino questa pièce eminentemente verbale,
quasi statica, si è tradotta in uno spettacolo dinamico, visionario,
emozionante grazie alla messa in scena ideata dal regista Alfredo Traversa
per il Teatro della Fede (Fantiano Festival di Grottaglie, luglio 2002). E
a esiti scenici differenti ma non inferiori pervennero anche gli altri due
elementi del trittico Tre notturni teatrali, apice della
drammaturgia chiusaniana: Le notti della Verna ("prima"
all’Aquila nel 1980), sulle tentazioni sataniche subite da san Francesco
prima di ricevere il mistico dono delle stigmate, e Il sacrilegio (andato
in scena a San Miniato, per la regia di Gian Filippo Belardo, nel 1982),
che dibatte il tema della legittimità del ricorso a mezzi illeciti per
conseguire un fine lecito quale può essere la purificazione di un’abbazia
corrotta.

Testimone in prosa e poesia
«Cristiano a visiera alzata»: questa suggestiva
definizione, coniata da Vittorio Messori, racchiude in metafora l’essenza
dell’atteggiamento, laicamente razionale e senza complessi d’inferiorità
verso gli agnostici, alla base della riflessione sviluppata dal Chiusano
saggista in quanto "testimone di fede": apologeta più pacato,
propositivo, pascaliano nel journal intitolato Note di un
contemporaneo (1985); più pungente, ironico, spesso polemico ma privo
di acredine, brillante difensore del cristianesimo contro l’ignoranza e
l’aggressività di ogni integralismo laicista o clericale, nella rubrica
Provocato rispondo, apparsa per anni sul mensile Jesus, i
cui succhi rifluirono in parte nell’omonimo volume del 1992.
Convocato dal cardinale Martini alla "Cattedra dei
non credenti", nel 1991, Chiusano esaltò il carisma della poesia, «rivelazione
epifanica sulla strada della religiosità». E di grande poesia egli non
solo si nutrì sempre, coltivando i tragici greci, Dante, Leopardi, ma
seppe anche creare in proprio memorabili espressioni. Nei versi «scolpiti
alla maniera di Wiligelmo» (Torresani) di Bacche amare (1987) si
depositò il suo mondo "romanico" fra teologia corposa, affetti
familiari, incanti paesaggistici. Nelle Preghiere selvatiche (1994),
screziate di rimandi biblici e definite da Gianfranco Ravasi «salmi
moderni», risuonò il suo doloroso canto sapienziale, il suo rovente
lamento di «Giobbe contemporaneo».
E come inquadrare, infine, le meditazioni scritte su
invito dello stesso Giovanni Paolo II (straordinario onore/onere toccato
anche, nel 1999, a Mario Luzi) per la Via Crucis al Colosseo del 1985?
Spiritualità poetica? Prosa d’anima? Cristologia narrativa? In ogni
caso, un exploit: una sfida, una particolarissima
"ordalia" vittoriosa. In quel Venerdì Santo, con quelle
quattordici paginette, la parola di Chiusano, camminando sul «ponte d’iride»
della Parola di Dio come padre Kolbe «uscito dalla gola degli inferi»
nel coro finale dell’oratorio, si è inerpicata verso il cielo. Ma senza
abbandonare la terra.
Marco Beck

Per un approccio
critico
- F. Masini, Premessa a Tre
notturni teatrali, Logos, 1983.
- V. Messori, Lo scrittore e
la Scrittura, inInchiesta sul cristianesimo, Sei,
1987 (2a ed. Mondadori, 1993).
- S. Torresani, Introduzione a
"L’ordalia", Mondadori, 1990.
- C. Toscani, I. A. Chiusano
fra storia e invenzione, in Otto-Novecento, marzo-aprile
1991.
- S. Spinsanti, Presentazione
di "Provocato rispondo", Società San Paolo,
1992.
- G. Sommavilla, Due
imitazioni-simbolo deliranti di Cristo, in Uomo diavolo
e Dio nella letteratura contemporanea, Ed. Paoline, 1993.
- F. Castelli, I. A. Chiusano.
Gesù, indicatore di strade, in Volti di Gesù nella
letteratura moderna, vol. III, Ed. San Paolo, 1995.
- G.F. Belardo, Introduzione a
"Consideratemi un sogno", Ed. San Paolo, 1997.
- F. Verdona, La figura di
Cristo nell’opera di I.A. Chiusano, Lateran University
Press, 2003.
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Non solo
"Germania" nella sua vita
1926
- 10 giugno: Italo Alighiero Chiusano nasce
nella Germania orientale, a Breslau (oggi Wroclaw, in Polonia), dove il
padre (nella foto) regge il consolato italiano. Le sue radici sono
piemontesi: originaria di Pinerolo la famiglia paterna, di Biella quella
materna.
1928-1946 -
Segue
il padre in un tourbillon di trasferimenti legati alla carriera
diplomatica: da Ajaccio a Stoccarda, da Rotterdam a San Paolo del
Brasile (con due brevi parentesi a Milano e Roma) e infine a Tetuàn,
in Marocco.
1948 -
Si
laurea in Giurisprudenza all’Università di Roma.
1949-1963 -
Anni
di apprendistato letterario (racconti e abbozzi di romanzi), di
intenso impegno giornalistico e radiofonico, di febbrile attività
germanistica, come saggista e traduttore. Traduce anche santa Teresa d’Avila,
Molière, Claudel, Shakespeare.
1964 -
Sposa
a Milano Leyla Givonetti, incontrata quattro anni prima a Biella.
Stabilisce la sua residenza a Frascati. Dal matrimonio nasceranno i
figli Mattia (1965) e Agata (1968).
1966 -
Dopo
una lunga gestazione e un drastico snellimento, esce il suo primo
romanzo, La prova dei sentimenti (Rizzoli).
1972 -
Pubblicazione
di un secondo romanzo, Inchiesta sul mio amore (Mursia).
1974 -
La
Nuova Italia pubblica il saggio monografico Heinrich Böll. Lo
scaffale germanistico verrà accresciuto, due anni dopo, dalla Storia
del teatro tedesco moderno (Einaudi).
1977 -
Poco
dopo la fondazione di La Repubblica, inizia a collaborare col
quotidiano romano per la germanistica. In seguito, il cerchio si
allarga ad altre testate laiche e cattoliche fra cui Famiglia
Cristiana, Jesus, L’Osservatore
Romano.
1979 -
Esce
presso Rusconi L’ordalia, che si classifica seconda al
Campiello (nuova ed. tascabile Oscar Mondadori, 1990). Chiusano viene
insignito del Premio Inter Nationes.
1981 -
Alla
fondamentale Vita di Goethe (Rusconi) si affianca Ravenna,
un sogno in fondo al mare (Il Girasole). L’editore Guida
pubblica il testo della conferenza La
vita come ordalia.
1982 -
È
l’anno della Derrota (Rusconi).
1983 -
Pubblicazione
di Tre notturni teatrali (Logos) e di Goethiana (Studio
Tesi).
1984 -
Contributi
critici di germanistica vengono raccolti in Literatur (Rusconi).
1985 -
Nell’anno
della Via Crucis scritta per il Papa appaiono anche, presso le
Edizioni Paoline, il romanzo Preludio e piccola fuga e le
autobiografiche Note di un contemporaneo, cui si aggiunge Dove
il libro sanguina (Il Girasole).
1986 - Esce
un altro romanzo, Il vizio del gambero (Rusconi).
1987 -
Prima
importante raccolta poetica, Bacche amare (Garzanti). Seconda
selezione di saggi e interventi a sfondo perlopiù germanistico, Altre
lune (Mondadori). Avvio su Jesus della rubrica Provocato
rispondo, avamposto di militanza culturale cristiana.
1988 -
Giardini
del silenzio (D’Auria), con foto di Pepi Merisio, è una
monografia sulla vita monastica.
1989 -
Mondadori
pubblica i 27 racconti riuniti in Eroi di vetro.
1990 -
Konradin,
edito ancora da Mondadori, chiude il filone della narrativa storica.
1991 -
Partecipazione,
a Milano, alla "Cattedra dei non credenti" promossa dal
card. Martini.
1992 -
Casagrande,
editore luganese, propone Voci discordi, una scelta di
radiodrammi.
1994 -
Ultima,
drammatica silloge di poesie "oranti", Preghiere
selvatiche (Piemme).
1995 -
15
febbraio: nella casa-studio di Frascati, Chiusano, già da mesi
sofferente, soccombe a un fatale infarto. Gli viene assegnato postumo,
per Consideratemi un sogno, il Premio Ugo Betti.
1997-1998 -
La
San Paolo pubblica nei "Pinnacoli" il dittico Consideratemi
un sogno - Kolbe e nelle "Vele" una nuova edizione della
Prova dei sentimenti.
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