Nei loro racconti i
due scrittori statunitensi portano alla luce le tensioni che lacerano i
moderni nuclei familiari: secondo loro, un buon metodo per esaminare l’attuale
stato di crisi della società occidentale.Se
vuoi conoscere il grado di crisi o di salute di una società, studia le
famiglie che la compongono. Per molti artisti americani dell’ultima
generazione, la famiglia sembra diventata il filtro attraverso il quale
raccontare il mondo in cui viviamo. Viene spontaneo il riferimento all’acclamatissimo
American Beauty, il film di Sam Mendes vincitore di cinque Oscar,
che descrive la disgregazione di un nucleo apparentemente felice e
perfetto. Ma le citazioni potrebbero allungarsi all’infinito: ci
limitiamo, qui, a ricordare almeno Le
correzioni, il libro che l’anno scorso ha consacrato Jonathan
Franzen come uno degli autori più interessanti degli ultimi anni. Tema:
una saga famigliare che mette in gioco i valori della società
americana, naturalmente.
Due autori, forse più di tutti gli altri, hanno
concentrato la loro attenzione su questo punto: Richard Ford e Michael
Cunningham.
Più che la famiglia in senso stretto, a ossessionare
Ford è la coppia. Il donnaiolo è la storia di un adulterio
costruito nella mente del protagonista. Donne e uomini esamina da
diverse angolature i rapporti tra uomini e donne, mettendoli di fronte a
eventi inattesi nei quali ciascuno mostra la sua natura autentica. Il
più recente Infiniti peccati altro non è che la descrizione di
dieci coppie accomunate da lacerazioni prodotte dall’incapacità di
essere fedeli, affettuosi, sinceri, onesti, appassionati, realmente
vicini a chi amiamo o dovremmo amare.
Sono invece due i romanzi nei quali Cunningham
affronta più direttamente il tema: Carne e sangue è la saga
della famiglia Stassos, arrivata dalla Grecia in America negli anni
Trenta. L’aspirazione alla formazione di nuovi modelli famigliari è
invece il fulcro di Una casa alla fine del mondo.
Perché una simile attenzione al tema della famiglia
da parte dei due scrittori americani? «Non l’ho scelto io, è lui che
ha scelto me», risponde laconico Ford. «Ho la sensazione che all’interno
della famiglia si reciti il più grande dramma che sia mai stato
recitato. Lì le scelte individuali e le loro conseguenze possono essere
osservate nel modo migliore. La famiglia è un microcosmo che ci
consente di riconoscere, valutare e persino correggere i comportamenti
dei singoli». L’approccio di Cunningham è inizialmente simile, ma
poi prende una direzione diversa: «Quando comincio a scrivere un libro
non decido di affrontare un determinato tema, né tanto meno di
collegare l’ultimo romanzo ai precedenti. Guardando però a
posteriori le mie opere, io stesso mi sono accorto che c’era un
filo rosso che le univa, ed era appunto quello della famiglia. Credo che
il mio interesse nasca dal fatto che per me chiunque abbia dato vita e
fatto crescere un bimbo è un eroe. In fondo mi occupo della famiglia
perché voglio farle un tributo».
Che si tratti di sceglierla come microcosmo in cui le
dinamiche relazionali diventano più trasparenti o di rivolgerle un
sincero tributo, l’immagine che emerge dai testi dei due scrittori è
comunque critica, opaca, lacerata da tensioni. Ford si preoccupa
anzitutto di scindere il proprio punto di vista da quello dei suoi
personaggi: «Le mie storie possono sembrare pessimistiche, ma ciò non
significa che io sia pessimista. Ciò che racconto non esprime la mia
visione del mondo, perché la letteratura è frutto dell’immaginazione».
Cunningham dubita invece che si possa parlare di felicità o infelicità
di un nucleo di persone: «Potrei citare quel detto secondo cui le
famiglie felici sono felici tutte allo stesso modo, mentre quelle
infelici lo sono ciascuna a modo suo. Costituire e mantenere unita una
piccola comunità di persone è difficile, non a caso ho parlato di un
tributo alla famiglia: non si rivolge un tributo a chi fa qualcosa di
facile».
Resta da chiarire per quale ragione siano soprattutto
gli autori americani a occuparsi così insistentemente dell’argomento.
Per Ford «negli Stati Uniti la famiglia è compresa ancora in modo
molto convenzionale, legata com’è a un’immagine di idilliaca
armonia. Per motivi soprattutto religiosi è considerata come la
struttura portante (building block) della società e della
cultura. Il mio sforzo è stato quello di occuparmi delle famiglie in
situazioni di crisi, dove emergono, al di là delle convenzioni, la
qualità degli affetti e delle intenzioni. In ogni caso gli scrittori
contemporanei non fanno che proseguire "lo studio" iniziato da
William Faulkner, Henry James e John Steinbeck». Per Cunningham la
spiegazione va invece ricercata nelle tendenze più recenti della
narrativa americana: «Nella nostra letteratura, dopo un periodo di
sperimentazione astratta, che aveva lasciato perplesso il pubblico, sì
è tornati a rivolgere l’attenzione alle questioni concrete, e nessuna
lo è più della famiglia».
Ciò che unisce in perfetta sintonia Ford e Cunningham
è la certezza che i loro romanzi non hanno alcuna saggezza da
comunicare o lezione da impartire, così come la constatazione che è
restrittivo parlare di un unico modello di famiglia. Ford ha infatti
voluto andare a vedere che cosa c’è al di là dell’immagine
stereotipa della famiglia sempre e comunque felice, trovando un campo di
osservazione ideale per le piccolezze e le miserie umane. Cunningham ha
addirittura fatto della pluralità di modelli il tema di Una casa
alla fine del mondo. A un certo punto si forma un inedito nucleo,
composto da una donna con due ragazzi più giovani di lei e un bimbo
frutto dell’unione tra lei e uno dei due, che è comunque attratto
dall’amico. Alla fine la donna abbandona "la casa alla fine del
mondo" per dare al bambino una famiglia più tradizionale, convinta
che ciò sia garanzia di maggiore serenità. Ma Cunningham non parteggia
per nessuna soluzione, non decreta né la fine della famiglia
tradizionale né condanna i tentativi di creare nuovi modelli. Si limita
a farsi specchio di ciò che vede attorno a sé.
Paolo Perazzolo