Cristiano Cavina,
Alla grande,
Marcos y Marcos, 2003, pagg. 208, euro 12,50.
Il libro
di questo mese è una sorta di scommessa su un giovane autore, Cristiano
Cavina, che già si era segnalato per originalità e intensità con un
breve racconto inserito nell’antologia Il quarto re magio (Marcos
y Marcos, 2002, pagg. 304, euro 8,80). L’editore aveva coraggiosamente
deciso di affiancare il suo nome a quelli di autori classici o ben più
noti, come Maupassant, Clarke, O. Henry, Pasolini, Tondelli, Bianciardi.
Ora Cavina si cimenta con la prova più impegnativa
del romanzo, mantenendo però immutati i protagonisti e l’ambientazione
di quel fortunato racconto. L’io narrante è lo stesso Bastiano
Casaccia, un ragazzino turbolento ma simpatico. Il luogo dell’azione
è Casola Valsenio, un paese della Romagna, e in particolare l’ambiente
degradato delle case popolari. In realtà il paese è lo stesso in cui
è nato, nel 1974, Cristiano Cavina e non è difficile individuare nel
protagonista l’alter ego dell’autore. Questo spiega anche una
caratteristica peculiare del romanzo: l’estrema immediatezza e
sincerità del racconto. Sembra davvero di condividere i pensieri, le
sensazioni di un ragazzino. Le persone stesse, le vicende, gli oggetti
appaiono trasfigurati, ridisegnati dalla sfrenata fantasia di Bastiano.
Tanto che a volte è necessario un certo impegno per adeguare la
banalità della nostra comprensione del mondo all’occhio
"magico" con cui il protagonista lo vede.
Un semplice bidone è per Bastiano un sommergibile con
il quale potrà recuperare un tesoro in fondo al lago, in realtà un
sacchetto pieno di spiccioli di cui si era sbarazzato il Mago Mammola
(un tossicodipendente). Questa almeno è la voce che corre tra i
ragazzi. Bastiano subito parte con le sue fantasticherie: una volta
tornato a casa «le avrei fatte piovere sulla tavola», dice, «indicandole
con il mento, senza dire una parola, come i re. Una pioggia di monete
alle case popolari! Mai vista, roba così. Tutti si sarebbero accalcati
sull’uscio di casa, per vederle, anche la vedova Morini con i suoi
occhi pesti e Giovannona, che era azzoppata e sarebbe guarita apposta.
Ecco cosa ci voleva. Un miracolo in perfetto stile Casaccia».
Bastiano
desidera veramente un miracolo, per far tornare il sorriso sul volto
silenzioso della mamma, costretta a mille lavoretti per pagare le
bollette e condurre una vita dignitosa. Il padre infatti non c’è più
e Bastiano riesce con fatica a farsi dire che mestiere faceva, per
potersene vantare con i compagni. Alla fine trova esaltante anche il
mestiere di disoccupato, che la mamma dopo molte insistenze rivela. Il
resto della famiglia è composto dal nonno, che passa le giornate al
bar, e dalla nonna, sempre seduta nella poltrona di casa. C’è anche
lo zio Paolo, che ogni tanto fa una capatina. Per Bastiano è un
"mito", un modello, benché sia solo un piccolo truffatore.
Alla realizzazione del sommergibile manca anche il
silicone per tappare i buchi. Bastiano lo va a rubare nel magazzino
della palestra comunale. Solo che, dopo aver quasi compiuto questa
"missione da agente segreto", si imbatte in Mone e nella sua
banda di bulli. Mone prende in giro lui e i suoi amici chiamandoli
"mongoli"; soprattutto Bastiano non sopporta le parole feroci
contro una ragazzina handicappata sua amica e spara in faccia a Mone
tutto il tubo di silicone. Per Bastiano si apre così la strada del
riformatorio...
Un modo di raccontare semplice e immediato, la
capacità di far balenare davanti al lettore la visione fantastica del
mondo che ha un ragazzino. Oltre a queste doti già accennate, che
rendono il romanzo di Cavina spesso divertente e addirittura esilarante,
c’è nel fondo una forte componente morale, un senso di solidarietà e
di compartecipazione con la sorte dei poveri di oggi, con gli abitanti
dei quartieri popolari e delle periferie degradate delle città. C’è
anche una specie di triste riflessione sul destino dei ragazzi di questi
quartieri, che rischiano di diventare bulli insensibili e amorali come
Mone e i suoi amici.
Che cos’è che invece salva Bastiano? Certamente la
purezza ingenua del suo sguardo, che sa vedere sempre il bene e il
bello; la sua fantasia, la sua costante capacità inventiva, creativa,
addirittura "letteraria". Ma c’è anche qualcos’altro.
Verso la fine del libro egli sente finalmente una voce, da lungo attesa,
che gli dice che può farcela «con tanta pazienza». La voce viene «da
una specie di pozza d’olio in fondo allo stomaco». Aveva faticato a
liberarsi della robaccia che le ostruiva il passaggio: il «groviglio di
aggeggi che avevo rotto... i milioni di cocci di vetri rotti... le urla
e i gemiti dei miliardi di patacche che avevo confezionato in anni di
carriera». La voce della coscienza, forse la voce di quel Dio che
Bastiano chiama familiarmente e di continuo «il mio Signore» e che
sembrava non rispondere mai alle sue domande.
Antonio Rizzolo