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Storia
di un uomo che ha segnato un’epoca, soprattutto quella dell’Italia del
dopoguerra. A partire da "Il grido", misconosciuto poi osannato,
cui sono seguiti "L’avventura", "La notte", "L’eclisse",
"Deserto rosso"...
Parlare
del novantenne Michelangelo Antonioni oggi non vuol dire soltanto
riconoscere la maestria e l’importanza di un regista cinematografico
che, nonostante le lunghe assenze forzate, dal dopoguerra al Duemila, ha
positivamente influenzato oltre cinquant’anni di vita culturale italiana
e internazionale. Significa anche riflettere su un’idea di regia, di
cinema, di cultura che va scomparendo da uno spettacolo audiovisivo ormai
globalizzato e perciò tendente spesso a qualcosa di superficiale,
ridondante, illogico, effimero, minimalista. Al contrario, Antonioni, con
i suoi film, ha sempre rifuggito le mode, le omologazioni, le facili
allegrie, rischiando, per contro, scelte coraggiose che potevano apparire
impopolari, ambigue, spregiudicate.
Il regista risulta innovativo sotto molteplici
angolazioni: non solo per gli argomenti o per l’uso della tecnica, ma
soprattutto per la recitazione degli attori impiegati, in un delicato
equilibro di volti noti e giovani esordienti. Tra bellezze nostrane e divi
internazionali, dal sodalizio con Monica Vitti (da lui scoperta) alle
femminilità controverse di Lucia Bosé, Lea Massari, Jeanne Moreau, Maria
Schneider o all’uomo problematico incarnato di volta in volta da
Gabriele Ferzetti, Alain Delon, Richard Harris, David Hemmings, Jack
Nicholson, gli interpreti hanno sempre rifuggito gli stereotipi della
passionalità, del vigore, per far posto a un distacco critico e
rivelatore.
In questo percorso Antonioni è sempre andato alla
ricerca di una verità che, per lui, doveva innanzitutto partire dagli
strumenti offerti dal mezzo filmico e, contemporaneamente, dirigersi sull’oggetto
delle proprie riflessioni: un oggetto che s’identifica con il soggetto,
in quanto viaggio compiuto dal regista nei meandri dell’essere umano.
Non si tratta però di un limite. Ciò che pare un’operazione a
sottrarre o a nascondere, in realtà svela l’autorevole comportamento
sia del moderno studioso, tra psicanalisi e antropologia, sia dell’individuo
contemporaneo non lontano dalla storia o dalla politica, ma soprattutto
calato nell’attualità di un ambiente spersonalizzante, che tende ad
annullare le differenze. Quello di Antonioni è stato definito, attorno
agli anni Sessanta, cinema dell’incomunicabilità o dell’alienazione.
Con queste due espressioni oggi si definisce il tentativo del regista di
descrivere gli aspetti reconditi dell’animo umano, fino a portare in
superficie un nucleo di verità, quasi ad esorcizzare i mali inscenati. In
tal senso il lavoro di Antonioni non è per nulla incomunicabile o
alienato ma, all’opposto, comunica e aliena al tempo stesso gli emblemi
perniciosi della civiltà novecentesca.

Michelangelo Antonioni. In
settembre compie 90 anni.
La lezione morale
In quest’opera di sottile denuncia dei guasti prodotti
da un certo sviluppo della società contemporanea emerge alla distanza una
lezione morale che di rado è stata sottolineata. Ma già nel lontano
1968, con un’indagine sulle possibili declinazioni di un cinema
cristiano, padre Luigi Bini, allora responsabile del settore film di Letture,
individuava, a proposito di Antonioni, la categoria di "Vuoto
come Presenza", indicando con ciò come il suo cinema esplorasse la
verità dell’uomo, risolvendo nell’abisso o nella vertigine il
cospetto del divino, attraverso il resoconto dei frantumi della coscienza
abbandonata dallo spirito. Si tratta verosimilmente di una
"fede" ignorata, in quanto l’autore è rivolto soprattutto all’analisi
del dissolvimento dell’uomo. Ma l’opera di Antonioni parla alla
coscienza da se stessa, come Bini spiega evocando le immagini della
sequenza cinematografica forse più misteriosa ed emblematica di ogni
tempo: il finale con il match tra il protagonista e i giovani in Blow
up.
E Bini racconta dello struggimento di fronte alle ultime
inquadrature di questa pellicola-cerniera nella filmografia antonioniana,
che presentano l’annullamento grottesco del valore di vivere e del
significato di essere uomini: il gruppo di hippies londinesi che
simula una partita a tennis senza pallina, in cui è coinvolto anche il fotoreporter
protagonista. Questo urto contro l’esistenza provvisoria e casuale
sembra chiedere allo spettatore di entrare nella commedia per mimare la
propria parte nella clownesca partita della vita umana. Ecco quindi che,
secondo Bini, anche l’esperienza del non essere può registrare un’impennata
dalla parte di valori trascendenti, che intervengono a dare senso ai
sussulti umani. Da questa prospettiva il nulla è ambiguità, nel senso
che può indicare sia il tracollo del non essere sia un richiamo all’assoluto.
Ed è proprio questo richiamo all’assoluto che in primis si
avverte, sia pur indirettamente, nella scelta "registica" del
documentare, letteralmente intesa da Antonioni come "scelta" del
documentario, un mezzo o un linguaggio solitamente trascurati da quel
cinema italiano in cui è prevalsa tanto la vena autoriale quanto, al
contrario, la logica di genere e di consumo. È con un documentario, Gente
del Po, che Antonioni firma la sua prima opera, ed è al documentario
che ritorna ogni qual volta le difficoltà di mercato lo tengono lontano
dai set finzionali. Egli stesso, tuttavia, non sembra avvertire
distinzioni quando afferma che «tutti i film a soggetto sono più o meno
documentari. Diciamo anche che ci pensa la macchina da presa a
documentare, quando il film è contemporaneo».
Del resto, prima di esordire nel lungometraggio,
Antonioni gira ben sette documentari di breve durata in cui esprime
apertamente questa contemporaneità che, in seguito, travasa anche in
racconti filmici di eterogenea derivazione letteraria. Non a caso l’iniziale
Gente del Po, inchiesta sulle misere condizioni di vita dei
pescatori sul delta, viene ritenuto quasi un manifesto della poetica
neorealista. Eppure, cinematograficamente, non è il tipo di realtà che
egli cerca giacché, a proposito di quest’esordio, egli stesso rammenta:
«Iniziando a capire il mondo attraverso l’immagine, capivo l’immagine».
E ciò vale anche per gli altri, corti, in apparenza neorealisti o per
contro già oltre, N.U. Nettezza urbana, L’amorosa menzogna,
Superstizione, Sette canne un vestito, La villa dei mostri, La funivia del
Faloria, differenti tra loro ma uniti da una volontà metafisica. La
stessa metafisicità, trent’anni dopo, è presente nello sguardo sul
contemporaneo che colpisce anche i documentari più recenti: ancora una
volta i vari Ritorno a Lisca Bianca, Kumbha Mela, Roma, Noto, Mandorli,
Vulcano Stromboli, Carnevale sono intesi e praticati in questa forma
di riflessione sull’immagine, così come gli esperimenti isolati tra i
nuovi linguaggi mediali dal videoclip musicale (Fotoromanza)
allo spot pubblicitario (Renault 6).

Michelangelo Antonioni con Monica
Vitti, la sua attrice ideale.
Sedici film e due episodi
A differenza dell’opera documentaristica, la fiction
di Antonioni è meglio inquadrabile sul piano dell’evoluzione
cronologica: i sedici lungometraggi (più due episodi) da lui girati
appartengono a quattro fasi distinte che spesso arrivano a coincidere con
altrettanti blocchi tematici, nonostante occorra ribadire che si tratta
sempre di una cinematografia da giudicare integralmente nella sua
unitarietà progettuale. In tal senso, è dunque possibile ripartire l’opera
nelle fasi del disagio esistenziale (anni Cinquanta), della celebre
tetralogia (1959-’64), dell’apertura cosmopolita (1965-’75), della
recente produzione frammentata (dal 1976 ad oggi).
La prima fase si apre con Cronaca di un amore,
dove la giovane bella moglie di un industriale progetta, con l’amante, l’assassinio
del marito; tra meccanismi noir e analisi psicologica, Antonioni
mette in scena la crisi della borghesia. Il modello dell’inchiesta viene
messo in scena con piani-sequenza dal ritmo lento per mostrare una
borghesia vuota, ipocrita, egoista: a soli cinque anni dalla fine della
guerra i futuri esponenti dell’alta società milanese sembrano aver
rimosso l’immane tragedia.
I vinti è l’unico film di
Antonioni strutturato a episodi: un trittico che, fra tante intuizioni
(meglio sviluppate nelle opere posteriori), indaga il disagio esistenziale
della gioventù europea, che, nel clima postbellico, risulta inquieta e
desiderosa di emozioni radicali. Nell’episodio italiano infatti un
ragazzo di estrazione borghese tenta di vincere la noia unendosi a un
gruppo di contrabbandieri per poi finire nelle mani della polizia. In
quello britannico (ritenuto il migliore) un pazzo elimina una vecchia
signora per desiderio di protagonismo. In quello francese, invece, alcuni
studenti in gita uccidono un loro compagno ritenuto molto ricco.
La signora senza camelie,
oltre essere l’unico esempio antonioniano di cinema sul cinema, accentua
la tendenza del regista a occuparsi dell’universo femminile: in questo
caso è la storia di una commessa che vince un concorso di bellezza,
diventa attrice, sposa un produttore, lavora in film mediocri, vede i
propri sogni artistici drasticamente ridimensionati. Anche se parzialmente
irrisolto nel tratteggio della stessa protagonista, è però una pellicola
che rappresenta smaccatamente l’avidità e l’opportunismo del
microcosmo cinematografico, senza ripetere gli ormai vetusti modelli
neorealistici (pur ispirandosi a un fatto vero).

I miti dell’amore e del denaro
Tentato suicidio, episodio di Amore
in città, primo (e unico) numero della rivista filmica Lo
spettatore, curata da Cesare Zavattini, offre una sorta di reportage
dove a confessarsi sono i protagonisti di alcuni tentati suicidi per
motivi amorosi, ed è inseribile in un più ampio e sfortunato progetto
del nuovo cinema italiano (Fellini, Lattuada, Lizzani, Maselli, Risi) di
affrontare problemi d’attualità e "variazioni sul tema" con
la macchina da presa.
Le amiche è tratto dal
racconto Tre donne sole di Cesare Pavese ed è ancora, al
femminile, una disamina dei valori della nuova borghesia italiana, fra
ironie e tristezze. I miti dell’amore, del denaro, del successo ad ogni
costo vengono interpretati attraverso la giovane protagonista, una sarta
che, giunta a Torino per aprire un negozio, s’imbatte in altre sue
coetanee (l’indossatrice, la ceramista, la ricca sfaccendata).
Il grido, più che a
conclusione della prima fase, sembra già preludere alla seconda: è la
vicenda di un operaio che, abbandonato dall’amante, si mette in viaggio
con la figlia alla ricerca di un nuovo lavoro; dopo qualche rapporto
fuggevole, spera di ricongiungersi alla donna, ma trovandosi respinto,
opterà per il suicidio. È nuovo per il cinema italiano il costrutto
narrativo, con incontri e situazioni attraverso una sorta di road movie
o "vagabondaggio padano", come è stato spesso definito. Ed
è anche nuovo il fatto di aver affrontano i temi dell’individualismo
mediante la figura di un proletario. Inoltre lo stile rifiuta
intenzionalmente picchi di drammaticità, salvo nel finale, che resta
comunque aperto (l’ultima inquadratura è sul personaggio in cima a un
ponteggio): indugi e ritardi sul piano affabulatorio sono espressi dal
ritmo insinuante dei lunghi piani sequenza, che servono a scavare in
profondità la crisi dell’uomo odierno e il male oscuro dell’angoscia
contemporanea. Gli fanno da contrappunto tanto i simboli del progresso di
un paesaggio ormai inquinato quanto gli incontri femminili, a ricordargli
le varie facce di una sconfitta.
La seconda fase comprende quattro splendidi film, la
cosiddetta tetralogia antonioniana, in cui il disagio esistenziale dei
protagonisti si trasforma in alienazione o incomunicabilità. L’autore
comincia con L’avventura, intricato giallo psicologico in cui,
durante una gita su un’isola disabitata, una giovane donna scompare
improvvisamente. Il marito e l’amica di lei la cercano con sempre minor
convinzione, perché tra i due nasce fulmineamente l’idillio. Il tema
dell’incomunicabilità è qui portato alle estreme conseguenze, in
quello che per molti critici resta il film antonioniano allo stato puro.
La provvisorietà dei sentimenti è infatti analizzata dalla parte di
personaggi femminili molto intensi, mentre la durezza del paesaggio (le
splendide isole eoliane) diventa un personaggio implicito, che
contribuisce a connotare un’immagine fatta di silenzi.
La notte segna un progressivo
acuirsi del disagio esistenziale che viene raccontato attraverso il
matrimonio, senza passione, tra uno scrittore e una giovane donna: il film
si svolge prevalentemente durante una festa notturna dove entrambi
soffrono i corteggiamenti di altri invitati per tornare all’alba ad
amoreggiare tra loro disperatamente. Antonioni vuole qui definire
"alcune costanti delle usanze individuali", dove il graduale
disfacimento dei rapporti coniugali è metafora di altre crisi: si tratta
infatti di una condizione epocale, dove l’individuo viene schiacciato da
un habitat ostile entro uno spazio autodistruttivo, tra caos tecnologico
e ascesa neocapitalista. Il regista si limita ad evidenziare le vaghezze
di un disagio che è ormai alienazione furibonda e incomunicabilità
assoluta: qualcosa di inadatto a una presa di coscienza fortemente
critica, da parte del freddo protagonista e dei fiacchi comprimari.
L’eclisse è il letterale
oscuramento dei sentimenti attraverso il formarsi di una giovane coppia
borghese: lei è una ragazza ricca, malinconica, depressa, lui un agente
di borsa dal carattere opposto, tra spensieratezza e cinismo. La donna si
sente come minacciata da qualcosa di ignoto, ma all’appuntamento
chiarificatore tra i due né l’una né l’altro si presenteranno. È
appunto un’eclisse delle coscienze, dei rapporti, dei comportamenti, in
cui prevale la futilità del quotidiano: lunghi silenzi, gesti inutili,
paesaggio significante in senso negativo, con le belle immagini della
metropoli nelle algide geometrie dell’architettura moderna. Affiora
persino una critica al ruolo del denaro nella scena della Borsa, ma la
critica dell’interiorità (intesa come mancanza di interiorità) del
neocapitalismo risulta in parte stucchevole e ampollosa.
Deserto rosso in fondo
sintetizza i discorsi dei tre film precedenti e, sul piano figurativo, con
l’uso del colore, apre alle future sperimentazioni. Protagonista è
ancora una volta una giovane donna che per l’insoddisfazione della
propria vita affettiva e sociale giunge a forme depressive profonde, in
seguito a una burrascosa relazione e al mancato epilogo del sogno esotico.
Attraverso l’ennesimo personaggio femminile Antonioni compie una
riflessione ultrapessimistica sull’incapacità della borghesia a fuggire
dal proprio recinto esistenziale. A rimarcare gli stati d’animo sono i
toni cromatici, fino ad acquisire una vena metaforica superiore.

Antonioni a un convegno.
La terza fase non abiura i precedenti soggetti – tra
disagio, incomunicabilità e alienazione – anzi, li trasferisce su un
piano internazionale. Inizia con Il provino il primo dei tre
episodi de I tre volti (gli altri due sono di Bolognini e
Indovina), una sorta di introduzione al lungometraggio e al contempo un
film nel film, dove la principessa Soraya interpreta se stessa nel debutto
come attrice davanti alla macchina da presa. Ben più importante risulta Blow-up,
girato a Londra, tratto dal racconto La bava del diavolo dell’argentino
Julio Cortazar: un fotografo inglese ingrandisce per caso la foto scattata
di nascosto a due amanti nel parco, scoprendo il dettaglio di un omicidio
che a occhio nudo non si vede; tuttavia il mistero è tale che alla fine
egli non saprà più distinguere il reale dalle sue idee. Antonioni medita
sull’impotenza del cinema a dire il vero, sulla complessità degli
intrecci tra arte e realtà, sulla dialettica tra le cose osservate e
quelle intuite (come nel finale citato), riuscendo altresì a fornire un
convincente spaccato della swinging London tra hippies,
modelle, rock e foto sociale.
Zabriskie Point, girato in
California, racconta i giovani americani nell’era della contestazione:
uno studente accusato di omicidio fugge su un aereo rubato e approda nel
deserto del Mohave dove vive una love story con una ragazza a
Zabriskie, punto di massima depressione geologica: verrà ucciso dalla
polizia, nell’istante in cui lei immagina l’esplosione della villa
dello sfruttatore presso cui viveva e che decide di lasciare.
Chung Kuo Cina è un affresco
documentario sulla Repubblica popolare cinese: forse il massimo sforzo di
apertura cosmopolita, nonostante l’opera venga pesantemente criticata
dal governo comunista locale per il suo senso di lirismo antiretorico. Professione:
reporter torna alla struttura del giallo: un giornalista in Africa
assume una nuova identità scambiando i propri documenti con quelli di un
mercenario defunto; fugge in Spagna con una ragazza per far perdere le
tracce alla moglie, ma verrà ucciso da due africani nemici del
mercenario. La formula del noir serve ad Antonioni per approdare a
un cosmopolitismo astratto, con la sostanziale differenza che stavolta l’impenetrabilità
del reale allo sguardo è affidata a un giornalista televisivo.
La quarta fase, che segna in parte una ripresa dei temi
centrali, risulta alquanto frammentata per gli scarsi ingaggi del regista
ammalato che, alla stregua di quanto già successo con altri grandi
cineasti (Federico Fellini in primis), non riesce a trovare
produttori disponibili. È ancora la Rai ad aiutarlo, affidandogli Il
mistero di Oberwald, sua unica pellicola in costume, tratta dal dramma
teatrale L’aquila a due teste di Jean Cocteau: nella Mitteleuropa
di fine ’800 un poeta rivoluzionario (sosia del re ucciso in un
attentato) si innamora, corrisposto, della regina invisa al popolo che
egli voleva giustiziare. L’argomento è solo un pretesto che gli
consentirà di sperimentare la novità della manipolazione cromatica delle
immagini video: infatti i giochi sul colore tentano, con risultati
alterni, di esprimere l’interiorità dei personaggi. Identificazione
di una donna è la storia di un regista alla ricerca di una giovane
donna per il suo film: ne incontra due, una affascinante e misteriosa, l’altra
disinvolta e solare. Gli sarà difficile rapportarsi con entrambe, al
punto che egli dovrà cambiare soggetto al lungometraggio, e anziché i
misteri della natura umana, proverà ad indagare (e svelare) quelli del
sole. Forse si tratta dell’opera meno riuscita di tutta la sua carriera.
L’immagine della realtà
Al di là delle nuvole:
quattro episodi ispirati al libro di racconti Quel bowling sul Tevere dello
stesso Antonioni. Nel primo si assiste all’amore irrisolto tra due
giovani ferraresi; nel secondo, a Portofino, un uomo si accoppia con una
parricida; nel terzo, c’è l’incontro tra una donna e un uomo,
entrambi traditi dai rispettivi partners; nel quarto, una novizia
viene sedotta da un fannullone. Ci sono inoltre gli episodi-cornice
(girati da Wim Wenders) in cui il narratore conversa con una donna e un
pittore che vuole ridipingere la montagna Saint-Victoire, già immortalata
da Paul Cézanne. In questa produzione Antonioni rappresenta con estremo
coraggio il proprio tormento artistico con l’ossessione del ritrovamento
di una vera immagine della realtà assoluta, pur nella lucida
consapevolezza del totale fallimento delle suoi immani tentativi. E questo
spiega la scarsa fluidità narrativa, di proposito ottenuta. In fondo
Antonioni rappresenta la vicenda del proprio scacco, la rinuncia dello
sguardo, che si chiede cosa vi sia al di là delle nuvole e naturalmente
delle immagini.
Tornando al concetto di alienazione, nei film viene
filosoficamente inscenato il processo che porta l’essere umano a
estraniarsi da se stesso, fino a identificarsi con la realtà oggettuale
che egli consuma, produce o fagocita. Se quindi gli oggetti arrivano al
punto da restare (o divenire) uno strumento passivo nei confronti del
soggetto-uomo, allora tutti i film di Antonioni sono alienazione. Stessa
cosa può dirsi a proposito dell’incomunicabilità: le immagini
rappresentano psicologicamente le situazioni dove risulta impossibile (o
quasi) stabilire un semplice contatto di tipo spirituale o ideologico tra
persone che vivono fianco a fianco in rapporti sentimentali o in habitat
lavorativi o in consessi artistici. In tal senso l’opera omnia del
regista non può che essere protesa a occuparsi di incomunicabilità, a
ragionare lucidamente su quanto è accaduto a causa di una piaga epocale
nel mondo contemporaneo.
Da Cronaca di un amore ad Al di là delle
nuvole la poetica di Antonioni attraversa temi come la difficoltà
dell’incontro e della relazione, la verità dei sentimenti, l’inadeguatezza
di ogni linguaggio, il dolore e la difficoltà di vivere e di amare.
Parole e immagini, in oltre mezzo secolo di film, servono a indicare una
traiettoria possibile, secondo cui ogni ricerca di senso è già un
principio di senso. E questa ricerca di senso in Antonioni passa anche
mediante il lavoro sugli attori: inizia dall’estetica per approdare all’etica.
Antonioni pone a tema il valore dell’immagine, in quanto termine abusato
e svuotato di significato dalla cultura moderno-contemporanea: oggi l’immagine
non aiuta più a conoscere, ma solo a riconoscere, non apre la conoscenza
verso nuovi mondi e inediti orizzonti, ma costituisce il rivestimento
(forse la mistificazione) di ogni età, dalla giovinezza alla vecchiaia.
Guido Michelone
Nasce a Ferrara nel 1912,
comincia con un documentario sul Po, prende il volo con
"Cronaca di un amore"
Nasce
a Ferrara il 29 settembre.
1925 Si
iscrive al Ginnasio, ma, per incomprensioni con il preside, passa
all’Istituto tecnico.
1929 Debutta
nel mondo dello spettacolo come attore di una rivista satirica, Il
Ludovico.
1935 Si
laurea in Economia e commercio all’Ateneo di Bologna con una tesi
sui Problemi di politica economica nei Promessi sposi,
e in quello stesso anno mette in scena opere di Pirandello, Ibsen,
Cechov con una compagnia universitaria.
1936 Firma
il primo articolo per il Corriere Padano di Ferrara del 30
giugno.
1940 Si
trasferisce a Roma dove assiste, come segretario particolare,
Vittorio Cini, presidente dell’Esposizione universale.
1941 Collabora
alla rivista Cinema, entrando a far parte della
redazione.
1942 Viene
assunto come sceneggiatore dalla Scalera Film ed è aiuto regista ne
I due Foscari di Enrico Fulchignoni.
1943 Breve
soggiorno in Francia, dove lavora come aiuto di Marcel Carné in Les
visiteurs du soir.
1944 Si
rifugia in un paesino dell’Abruzzo e viene poi ospitato a casa di
Francesco Pasinetti a Roma.
1947 Porta
a compimento il documentario Gente del Po, iniziato
nel 1943.
1950 Firma,
con discreto successo di pubblico, il suo primo lungometraggio Cronaca
di un amore.
1955 Gira
a Torino Le amiche da Pavese, ben accolto dal pubblico
italiano.
1956 Il grido viene
rifiutato da critica e pubblico, anche se l’anno successivo
ottiene il premio della critica internazionale al Festival di
Locarno.
1959 Lo
studioso e regista Alexandre Astruc in Francia definisce Il
grido un capolavoro: e da qui inizia la sua fortuna critica
in ambito internazionale.
1960 L’avventura,
pur fischiato in sala, vince il premio speciale della Giuria al
Festival di Cannes. E vent’anni dopo la rivista inglese Sight
and Sound lo inserisce tra i dieci più bei film d’ogni tempo.
1964 Deserto rosso,
suo primo film a colori, che vince a Venezia il Leone d’Oro,
completa con L’avventura, La notte e L’eclisse,
la tetralogia delle sue opere migliori.
1966 Il
18 dicembre anteprima di Blowup in contemporanea a New
York e Los Angeles. Il film è il quinto incasso stagionale in
Italia, nonché Palma d’Oro a Cannes e candidato agli Oscar (alla
fine due nomination).
1970 Viaggia
a lungo negli Stati Uniti, dove gira Zabriskie Point che,
ancora una volta, divide pubblico e critica.
1972 Visita
la Repubblica Popolare Cinese, per girare il documentario in tre
puntate Chung Kuo Cina, commissionatogli dalla Rai.
1974 Professione: reporter consta
di svariate location, tra Spagna e Africa.
1980 Il mistero di Oberwald,
dall’omonimo dramma di Jean Cocteau, è la sua prima opera
videotelevisiva, dal forte sperimentalismo cromatico in elettronica.
1983 Riceve
il Leone d’Oro alla carriera alla XL edizione della Biennale di
Venezia.
1985 È
colto da un ictus, che lo rende semi-paralizzato e inattivo per
diverso tempo.
1995 Con
l’aiuto del noto regista tedesco Wim Wenders firma Al di là
delle nuvole, che a tutt’oggi è il suo ultimo
lungometraggio.
2001 È
notizia recente che si appresterebbe a girare un nuovo film,
sviluppato tutto a episodi.
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Conoscerne il percorso,
attraverso le opere su di lui e i suoi scritti
L’opera di Michelangelo
Antonioni può essere anzitutto osservata in rapporto all’evoluzione
della cinematografia nazionale ed entro il contesto di uno
specifico decennio: nel primo caso è allora utile un buon manuale
come Storia del cinema italiano 1896-1996 (Editori
Riuniti, 1997) di Gian Piero Brunetta, nel secondo invece Il
cinema italiano degli anni Sessanta (Marsilio 1976) di
Lino Miccichè, raccolta di saggi sul periodo che meglio di ogni
altro ha espresso la creatività antonioniana.
Per quanto riguarda invece le
monografie, guide utilissime a un inquadramento storico-critico
dell’intera produzione filmica si dimostrano il recente Invito
al cinema di Antonioni (Mursia, 1999) di David Gianetti,
il fotografico I film di Michelangelo Antonioni (Gremese,
1990) di Aldo Tassone, Il "castoro" Antonioni (L’Unità,
1995) di Giorgio Tinazzi, il quale va senza dubbio ritenuto il
massimo esperto italiano del regista. A Tinazzi infatti si deve la
cura del doppio volume Michelangelo Antonioni.
Identificazione di un autore (Pratiche, 1985), che
raccoglie gli atti di un convegno tenuto a Ferrara, che per
varietà di intenti e di approcci resta ancora il migliore
resoconto sul regista medesimo.
Utili alla comprensione dell’estetica
di Antonioni sono ovviamente le sceneggiature dei lungometraggi, a
suo tempo pubblicate da Einaudi (1964-75), mentre quelle
irrealizzate sono contenute nel volume I film nel cassetto (Marsilio
1995).
Fondamentali, a nostro avviso,
risultano infine gli scritti dell’autore che per così dire
esulano dall’attività registica strictu sensu: in Fare
un film è per me vivere (Marsilio, 1994) vengono raccolti
tutti gli interventi sul cinema, in realtà non molti (oltre la
metà del libro concerne interviste a lui fatte da critici,
giornalisti, studiosi), ma illuminanti per capire a fondo la sua
poetica.
In Quel bowling sul Tevere (Einaudi,
1983) vengono invece radunati i racconti, alcuni cortissimi, che
Antonioni ha scritto nel corso della sua carriera senza mascherare
l’intenzione teorica di farne poi un soggetto cinematografico o
una sceneggiatura completa: ma diversi sono rimasti pagina
scritta, rivelando comunque lo stile e l’anima di un grande
artista, persino in campo letterario.
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