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Il
teatro. O la differenza di Paolo Bosisio* |
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La prosa è sempre ben viva e non intende assolutamente morire. La ragione del suo vivere è nella sua anomalìa. Si è molto detto, allo scadere del secolo appena concluso, di ciò che, nel bene e nel male, possiamo attenderci dal nuovo millennio: meno frequentemente si sono ascoltati elogi dell’ormai superato e dimenticato Novecento che, personalmente, giudico essere stato un secolo senza pari, quanto a generosità nei confronti di coloro che, come noi, hanno avuto la ventura di trascorrervi in parte cospicua la loro esistenza. Il cammino delle civiltà, pur straordinariamente
virtuoso, si era svolto nei secoli e nei millenni precedenti con una
lentezza esasperante, attraverso passi a volte così brevi da risultare
invisibili per tempi anche lunghissimi. Nei mille anni lungo i quali si
distese il Medioevo, per esempio, il mezzo di trasporto prevalente fu
sempre e solo il cavallo e nell’Ottocento ancora e da sempre si moriva
con grande Ciò è ben visibile nell’universo ristretto dello spettacolo e della comunicazione, in cui radio, cinema, televisione hanno rovesciato in pochi decenni ogni criterio di fruizione e di produzione. Essi propongono, infatti, un modello di spettacolo simultaneamente ripetibile all’infinito, proporzionalmente meno costoso, più agevole da realizzare, capace di raggiungere con capillarità prima impensabile la popolazione: essi si sono surrogati, pertanto, con rapidità al teatro nelle funzioni di mezzo di comunicazione, informazione e divertimento. Le esigenze di comunicazione espresse dalla società Per quanto ciò possa oggi apparire stravagante, proprio il teatro per molti secoli rispose alle differenti esigenze di comunicazione, diffusione del pensiero e delle ideologie, espresse dalla società o da una delle sue componenti, mantenendo senza eccezione carattere di grande disponibilità a rivolgersi a un pubblico di massa, necessariamente diversificato sotto il profilo socio-culturale. Basterà pensare alla funzione civile e politica svolta dalle rappresentazioni tragiche nell’antica Grecia, o alla funzione di proselitismo svolta dalla Chiesa nel Medioevo proprio attraverso lo spettacolo sacro. Oggi il teatro è certamente tutt’altro rispetto al passato. Se non è dubbio che la profonda evoluzione indotta nella civiltà dello spettacolo dall’avvento di radio, cinema e televisione lo abbia impoverito, sottraendolo al contatto continuativo con un pubblico di massa, e, in particolare, disarticolandolo dal fecondo rapporto che nei secoli mai si era smarrito con le classi meno colte e privilegiate, è interessante l’ipotesi secondo la quale proprio la radio, il cinema e la televisione avrebbero "liberato" il teatro da una serie di "servizi" meramente ricreativi, di corvées mondane che nei secoli erano venuti progressivamente a condizionarlo, sicché paradossalmente si potrebbe convenire con Jean Claude Van Itallie quando afferma: «Si l’on élimine du théâtre tout ce qui peut etre réalisé par la télévision ou le cinéma [...] on parvient à son essence». Uno spazio ideale per un concetto di divertimento Ma tale supposta "essenza", apprezzabile fin che si voglia per gli esiti raffinati a cui conduce l’espressione dell’arte teatrale, è proprio ciò che, meno interessando il grande pubblico, lo allontana dalle sale teatrali. E allora posso capire quelle persone che mi chiedono: «Il teatro morirà?». Dirò subito che ritengo improbabile una morte prossima del teatro. La nascita in successione rapida di radio, cinema, televisione ha sottratto al teatro una gran fetta del terreno su cui si fondava. Smarrite le funzioni e le valenze che ne avevano caratterizzato la genesi antica e la vicenda millenaria, il teatro si è trasformato, proprio all’inizio del Novecento, nello spazio ideale per l’esercizio di un concetto di divertimento di nicchia, nel luogo di una sperimentazione artistica fortemente originale, conservando un tenue filo di contatto con platee relativamente più numerose solo nella versione del puro intrattenimento. Il teatro ha mutato pelle per riproporsi come un prodotto d’arte e di cultura tendenzialmente "alte", dedicato a un’élite, capace di apprezzarne gli esiti nei loro non sempre agevolmente decrittabili impasti polisemici. Oggi il teatro, che – a mio avviso – è, a suo modo, ben vivo e non intende assolutamente morire, è il luogo in cui si esprime il potenziale artistico di singoli o di piccole comunità che in altre piccole comunità di persone mediamente colte e comunque specificamente interessate a tale tipo di espressione trovano i loro interlocutori. Proprio nella sua anomalia, rispetto ai caratteri che contraddistinguono la civiltà attuale dello spettacolo, sta forse la ragione del suo vivere (e non solo del suo sopravvivere) oggi. È, tuttavia, riduttivo e controproducente identificare, come di norma accade, il fenomeno dello spettacolo teatrale con le sue manifestazioni di "punta", ossia con il teatro di regìa e di sperimentazione. Penso che valga lo sforzo di conoscere più a fondo e più estesamente il teatro, prima di bollarlo con giudizi severi o, peggio, con l’indifferenza. Informandosi delle possibilità che il teatro offre, almeno nelle piazze maggiori, attraverso un ventaglio assai diversificato e ampio di proposte, chiunque potrà identificare un evento "teatrale" adatto alle proprie esigenze e alle proprie "misure" culturali e intellettuali, senza doversi sentire diminuito da scelte eventualmente divergenti rispetto alla tendenza, per così dire, più alta e raffinata (spesso poco giustificata e dispersa in un maniacale autoreferenzialismo, dannoso quanto pericoloso). Sapendo scegliere, potremo sentirci meglio. Scegliere, naturalmente, anche di non andare a teatro, e magari neppure al cinema, o di andarci molto raramente, senza per questo sentirsi esclusi dal gruppo degli iniziati, degli anticonformisti, degli anticonsumisti e via dicendo. A conclusione di queste brevissime riflessioni, rimane ancora una domanda: ma perché oggi una persona dovrebbe desiderare di assistere a uno spettacolo teatrale, faticando a sceglierlo, a procurarsi i biglietti, a raggiungere il luogo magari poco confortevole in cui l’evento ha luogo, con il rischio di non divertirsi, quando a casa, comodamente e senza spese, può scegliere a suo piacimento fra una cinquantina di programmi radiofonici o televisivi? Una possibile risposta, venata di ironia e di amarezza, sta forse nelle parole di Giuseppe Patroni Griffi, regista e drammaturgo fra i nostri oggi più accreditati: «Non si può pretendere da una scatola di acciughe salate, al momento che la apri, di ricevere la stessa emozione di quando le sardine le vedi guizzare sotto il pelo dell’acqua. Quelle vive sono il teatro, quelle salate sono la televisione o la videocassetta». Paolo Bosisio*
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