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Degli episodi della vita di san Paolo il più noto e diffuso nella storia dell’arte è certamente quello della caduta sulla via di Damasco, l’incontro vero e autentico col Risorto che permetterà la successiva conversione del santo. Esso, a rigor di logica, è preceduto almeno da una narrazione che riguarda la sua vita precedente, quando è testimoniata la sua accanita presenza tra i persecutori dei seguaci di Cristo: l’episodio del martirio del diacono Stefano. Nonostante tale episodio non possa correttamente essere indicato come primo tra le narrazioni della vita di Saulo (dal momento che generalmente fa parte dei cicli riguardanti Stefano), vale la pena prenderlo in considerazione anche nel percorso dell’iconografia paolina. Così, secondo la testimonianza degli Atti degli Apostoli, che ricordano come Paolo abbia tenuto i mantelli di coloro che uccisero il diacono Stefano, non è raro riconoscere la sua presenza in alcune rappresentazioni del martirio di santo Stefano. Ecco quindi nell’opera di Pietro da Cortona (1660, San Pietroburgo Hermitage) il giovane Paolo che regge i mantelli dei lapidatori è rappresentato come se l’artista volesse catturare la nostra attenzione per una lettura consapevole della successiva sua vicenda. Infatti sembra gettarsi quasi egli stesso sotto la lapidazione, coinvolto da quanto accade al diacono cristiano, posto in primo piano sulla scena. Il drammatico e stravolgente episodio della visione e la caduta sulla via di Damasco che dà origine alla conversione del persecutore, è però l’immagine certamente più incisiva dell’iconografia paolina. L’arte lo ha narrato secondo due principali versioni; in esse il grande persecutore dei cristiani viene rappresentato sia mentre viaggia a piedi, in particolare nelle più antiche rappresentazioni, sia mentre viaggia a cavallo. Si tratta di un episodio straordinario e fondamentale per l’Apostolo delle genti e, al tempo stesso, drammatico, coinvolgente ed edificatorio per un’arte che aveva in sé necessariamente funzione catechetica e fungeva da ausilio per la predicazione. Ogni epoca della storia dell’arte si è soffermata su questo tema, ogni epoca della storia dell’arte ha cercato di coinvolgere i fedeli nella visione di Saulo e nella sua caduta, nella ricerca delle soluzioni più adatte per indicarne la forza travolgente e per dare corpo all’apparizione di Cristo che si presentava a interrogare Saulo: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Tra le opere più note vi sono le due versioni caravaggesche entrambe realizzate tra il 1600 il 1601: la Caduta di san Paolo della Collezione Odescalchi di Roma e la Caduta di san Paolo della Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo, la seconda sostitutiva della prima che non era stata accettata. Ai nostri occhi oggi appare più drammatica e sconvolgete la versione rifiutata (quella ora della Collezione Odescalchi): la scelta narrativa e compositiva non lascia adito a dubbi nel comprendere che il Cristo è visibile solo a san Paolo (il soldato sembra muovere nell’aria la sua lancia senza vedere contro chi deve combattere), nell’immaginare l’improvvisa cecità, e nell’anticipo di quelle che saranno le successive vicende del santo illuminato dalla luce della Grazia. Questa è simboleggiata dalla naturalistica immagine del crepuscolo che, per ragioni simboliche, risulta volutamente contraddittoria rispetto alla fonte – Paolo stesso – che riferisce che l’episodio sia accaduto verso mezzogiorno. Tale drammaticità così presente nelle rappresentazioni del Seicento, viene affiancata nello stesso periodo, in particolare nell’attenzione dei pittori classicisti, dalla rappresentazione di un altro momento determinato e di grande forza spirituale della vita di Paolo: il rapimento al terzo Cielo, di cui l’apostolo stesso riferisce (nella II Lettera ai Corinzi). Gli esempi più noti di questo particolare momento estatico sono rappresentati dalle opere di Nicolas Poussin (Rapimento al Terzo Cielo, 1649-1650, Parigi, Louvre), e Domenichino (Rapimento al Terzo Cielo, 1606-1608, Louvre) ove entrambi gli artisti si riferiscono all’iconografia dell’Assunzione per rappresentare il dolce rapimento estatico in cui il santo è trasportato in cielo dagli angeli. Infine l’episodio del compimento: il dono completo della vita per la causa di Cristo. Il martirio, la decollazione di Paolo, conclude il ciclo degli episodi della sua vita. Presente fin dai primi cicli, ad esempio nelle tavole dedicate a Paolo nel Polittico Stefaneschi (1330 ca, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana), tale narrazione non vede sostanziali cambiamenti iconografici, ma verrà affiancata da una particolare invenzione iconografica: il momento dell’incontro con l’apostolo Pietro proprio mentre i due sono condotti al martirio, nello stesso giorno, per volontà di Nerone, fuori dalle mura di Roma. La narrazione di questo episodio, frutto della devozione popolare, è caratterizzata dall’intensità degli sguardi e dalla determinazione che spesso in essi si legge, come nell’interpretazione data da Giovanni Serodine (1625-26, ora alla Galleria nazionale di arte antica di Roma), in cui la figura di Paolo è presentata vicina a quella di Pietro e i due guardandosi con forza negli occhi si stringono la mano, come estremo sì alla volontà del Signore. Rosa Giorgi
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