Dossier - Cattolici e Resistenza I
"ribelli per amore"
nelle pagine di don Luisito
di Angelo Bertani
Ai partigiani morti nella Resistenza deve la sua scelta di farsi
prete: «Da loro», dice, «ho appreso il senso della gratuità».
Ecco perché, secondo l’autore de
La Messa dell’uomo disarmato,
il loro martirio non può essere dimenticato.
«I partigiani avevano un sogno: quello di un mondo senza violenza e
senza ingiustizia. La democrazia italiana nasce su questi ideali.
Poi si è affermato lo slogan "meno Stato, più mercato". E
anche tanti cattolici hanno applaudito».
Don
Luisito Bianchi aveva 16 anni nel 1943; e la Resistenza ha deciso la
sua vita. Ha visto persone poco più grandi di lui – amici,
familiari, compagni di seminario – prendere la via delle montagne.
Da loro capì il senso della vita: sacrificio e gratuità. Lo ripete
anche oggi, con mitezza e voce pacata, ma con parole forti: «Guardando
il loro esempio, capii anch’io che tutti potevamo, dovevamo
diventare ribelli, dovevamo resistere a un potere violento e
illegittimo, che conculcava le aspirazioni di libertà. La Resistenza
per me è stata la scoperta che si poteva scegliere il proprio
destino...».
Dai "ribelli per amore" apprese la testimonianza della
libertà e del dono, anche il dono della vita. Così, superando
incertezze e ostacoli, decise di farsi prete. È stato un prete un po’
speciale, don Luisito, perché ha sempre voluto farlo gratuitamente,
senza compenso in danaro. Per vivere ha lavorato in fabbrica, in
ospedale, ha scritto libri... Ma per predicare il Vangelo e celebrare
il sacrificio del Signore non ha mai accettato nessun compenso
materiale.

Milano, aprile 1945, sfilata delle
formazioni partigiane in piazza Duomo.
La sua storia sta scritta in vari libri bellissimi. Ad esempio Come
un atomo sulla bilancia, il suo diario di prete operaio, oppure Dialogo
sulla gratuità, Simon Mago, e varie raccolte di poesie. Ma
soprattutto in un romanzo straordinario: La Messa dell’uomo
disarmato, all’inizio pubblicato quasi clandestino e che solo
adesso, cinquant’anni dopo, conosce il meritato successo (edito da
Sironi). Romanzo storico e psicologico, religioso e civile.
Protagonisti e letterati, uomini spirituali e persino uomini di azione
hanno detto che le pagine di quel libro sono forse le più belle e le
più profonde tra le molte che sono state dedicate alla Resistenza in
questi decenni. Per i credenti sono uno straordinario esperimento di
lettura della Parola attraverso gli avvenimenti. Lettura del Vangelo
attraverso la Resistenza.
Per questo siamo tornati a Viboldone, in questi giorni: per
riascoltare don Luisito che, ora quasi ottantenne, svolge qui il
servizio di cappellano per la comunità delle monache benedettine che
vivono in questo luogo umilissimo e magnifico nella campagna di San
Giuliano Milanese.

Don Luisito Bianchi
(foto Periodici San Paolo/M.
Gattoni).
- Don Luisito, adesso qualcuno dice che la Resistenza non fu una
lotta per la libertà ma una guerra civile...
«Certamente no. Non fu guerra civile, ma resistenza a un potere
che conculcava le aspirazioni di un popolo. Io vidi questi uomini
partire per difendere dei valori, la loro libertà, disposti a dare il
sangue gratuitamente. Ha scritto Teresio Olivelli: "La rivolta
dello spirito contro le perfidie e gli interessi dei
dominanti...". Loro non avevano un interesse per andare in
montagna. Dall’altra parte sì, avevano guadagni e potere da
difendere. Davanti agli uomini e a Dio, e soprattutto alla mia
coscienza, posso dire che devo a loro, a questi uomini della libertà,
se poi sono diventato prete. Avevo davanti a me un’idea: che un
mondo nuovo è possibile se nasce dal sacrificio degli uomini, dal
loro sangue sparso "per dono", per amore non per odio,
sangue che si unisce a quello del Signore. Anche per questo sono
diventato sacerdote; e durante la Messa, nella memoria e nella
attualizzazione del mistero di Cristo, io ricordo e sento presente
anche l’esperienza, il sacrificio di tutti questi uomini che hanno
fatto memoria della Parola negli avvenimenti della loro vita. Nella
fede che mi parla di morte e resurrezione, il sangue di Cristo si
unisce a quello di tutti i martiri e, per la misericordia di Dio, a
quello di tutti gli uomini. Ma la testimonianza di quelli che per
amore furono ribelli non è la medesima di chi dava loro la caccia o
faceva rastrellamenti e stragi. Nella Preghiera del Ribelle,
Teresio Olivelli scrive proprio: "Se cadremo, fa che il nostro
sangue si unisca al Tuo innocente e a quello dei nostri morti a
crescere al mondo giustizia e carità"».

Due partigiani, con un fascista appena
catturato,
in una via del centro di Milano (foto Farabola).
- Che cosa c’era nel cuore dei "ribelli per amore" che
li rendeva diversi da quelli che se ne stavano a casa e da coloro
che combattevano dall’altra parte?
«C’era un sogno, una grande speranza. Chi ha combattuto lo ha
fatto perché non ci fossero più guerre, non ci fosse più ragione di
uccidere. C’era il desiderio di un mondo senza violenza e senza
ingiustizia. E infatti negli anni successivi, e non solo in Italia, ci
fu un grande movimento per costruire una società più libera, giusta
e fraterna. Ma questo slancio è in gran parte perduto...».

Milano, 25 aprile 1945, un’automobile
carica di partigiani sfila in
corso Ticinese tra le acclamazioni della folla (foto Farabola)
- Infatti assieme all’oblio e alla svalutazione della Resistenza
si diffonde, si afferma, l’ignoranza e la volontà di deformare
la Costituzione. Non le sembra che anche una parte del mondo
cattolico, e della gerarchia, sottovaluti la posta in gioco?
«Certamente. Già dovremmo chiedere scusa ai morti di allora per
non aver realizzato compiutamente il loro sogno, che non era
impossibile. Però, almeno fino a qualche anno fa, si è cercato di
andare in quella direzione. Quando studiavo in Cattolica, l’idea
fondamentale, teorica e pratica, era che l’economia fosse al
servizio dell’uomo. Si era creato un sistema di economia mista, lo
Stato delineato nella nostra Costituzione ha una responsabilità per
proteggere i deboli, per dare eguali opportunità. Poi c’è stato un
attacco subdolo: si diceva meno Stato e più società. Anche i
cattolici hanno applaudito. Adesso abbiamo visto che intendevano dire:
meno Stato e più mercato, che è molto diverso da una società equa e
solidale. Al posto del bene comune, promosso dallo Stato sociale e
democratico, ecco che prevalgono gli egoismi individuali e di gruppo.
Pensano persino di cambiare la Costituzione per favorire questi
interessi di parte...».

Partigiani in Valsesia
(foto Farabola).
- A suo giudizio, c’è qualcuno che è più vicino, o meno
lontano, da quegli ideali?
«Ci sono giovani, e non solo, che continuano questa testimonianza
e tramandano questa memoria e la incarnano nella situazione di oggi:
nella gratuità dell’impegno per la pace, la nonviolenza, l’eguaglianza
tra gli esseri umani, la fraternità. Dirò così: tutti quelli che si
sforzano di non strumentalizzare gli altri, che servono i fratelli e
non li usano per i loro obiettivi, che si donano gratuitamente e non
chiedono nulla in cambio, tutti questi sono i nuovi ribelli per amore.
Se fanno i volontari qui oppure nel Terzo mondo o se protestano contro
la guerra e contro il potere degli eserciti e delle multinazionali –
e lo fanno perché vogliono un mondo più giusto e libero, e non per
avere un tornaconto – tutti questi sono i nuovi ribelli per amore.
Bisogna essere un po’ ribelli, infatti, per sapere che un mondo
diverso è possibile...».
Angelo Bertani
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