REPORTAGE - KENYA
La leggenda del santo allenatore
Testo e foto di MARCO TROVATO
Si chiama padre Colm O'Connell ed è il coach
dei fuoriclasse dell'atletica keniana. Sugli altopiani
della Valle del Rift, da trentacinque anni questo
missionario irlandese "alleva" i campioni della
corsa. Lo abbiamo incontrato nel villaggio
sperduto dove plasma grandi atleti
e spettacolari imprese sportive.
La fabbrica dei campioni si mette in
moto prima dell'alba. Alle sei in
punto i discepoli di padre Colm,
una dozzina di ragazzi dall'aria assonnata,
sfilano nella penombra
con le loro tute colorate, i k-way che sfrigolano,
le scarpe da running tirate a lucido. Come
ogni mattina percorrono una strada di polvere
rossa fiancheggiata da grandi cedri ed eucalipti.
Iniziano con un'andatura tranquilla, poi
le falcate si allungano e il ritmo diventa sfrenato.
«Per cominciare bene la giornata non c'è
niente di meglio di una bella corsa nel silenzio
», assicura il vecchio tecnico dalla pelle
bianca e increspata, guance arrossate, occhi
luminosi sempre in movimento. «A quest'ora
ci si allena nella più completa tranquillità.
Nessuna distrazione, nessun frastuono. La
brezza è fresca, le strade deserte. Sembra
davvero di stare in paradiso».

Padre Colm O'Connell (foto MARCO TROVATO).
Colm O'Connell, 62 anni, prete cattolico
irlandese, è una leggenda vivente dell'atletica
mondiale. Da trentacinque anni "alleva"
corridori nel cuore dell'Africa. Dalle sue mani
sono passati migliaia di ragazzi pieni di grinta e
talento. E non pochi, seguendo i suoi insegnamenti,
sono entrati nell'olimpo della corsa.
«Dio ha regalato ai figli di questa terra corpi perfetti per galoppare più forti di tutti»,
spiega l'allenatore con una punta di orgoglio.
«Io mi occupo solo di valorizzare
questo straordinario dono del cielo». È
un uomo di fede. Ma all'abito religioso
preferisce l'abbigliamento sportivo, e invece
del crocifisso al collo appende un
vecchio cronometro. Non proprio il genere
di missionario che ci si aspetta di incontrare
a queste latitudini. «Non è un
tipo che passa il tempo a predicare con
la Bibbia in mano né a costruire pozzi o
dispensari», dicono in paese. «Sarà pure
un pastore della Chiesa, ma per noi tutti
è semplicemente "il coach": un sant'uomo
dello sport».
Le vie del Signore, insomma, sono
piste di terra battuta. E padre Colm ha
una missione speciale: far correre i giovani
del Kenya verso una vita migliore. «È
la mia vocazione», spiega lui sotto un improbabile
berretto da giocatore di baseball,
«un modo come un altro per cercare
di fare del bene».

Tre allievi di Padre Colm O'Connell mentre si allenano nel cortile
della Saint Patrick's High School di Itena (foto MARCO TROVATO).
Cresciuto in una cittadina della
contea di Cork, terra di marinai
e artisti irrequieti, Colm entrò in
seminario giovanissimo. Non voleva fare
il parroco di campagna, sognava di
partire verso terre lontane. Aderì alla
congregazione dei Fratelli di San Patrizio,
fondata nel 1808 dal vescovo irlandese
Daniel Delany, una comunità missionaria
consacrata alla scolarizzazione
dei più poveri in ogni angolo del pianeta.
Nel 1976, conclusi gli studi teologici,
fu spedito a fare gavetta in una missione
sugli altopiani del Kenya occidentale.
A quel tempo il villaggio di Iten
era solo un grumo di casupole sospeso
a 2.400 metri di altitudine su un'impervia
scarpata della Rift Valley: zero telefoni,
niente elettricità, acqua corrente a
singhiozzo.
C'erano solo pascoli, campi
di mais e frumento, qualche povera bottega.
E una sperduta scuola maschile
fondata dai missionari: la Saint Patrick's
High School. Colm vi avrebbe dovuto
insegnare geografia. Ma il Signore aveva
in serbo per lui altri progetti. «Quando
arrivai, l'istituto si stava preparando per
partecipare a una competizione nazionale
di corsa campestre», ricorda. «Gli
allievi erano allenati da un paio di volontari
stranieri. Mi trovai per caso ad aiutarli.
Pochi mesi dopo, i due volontari lasciarono
l'Africa per tornare in patria:
toccò a me portare avanti il programma
di allenamento».
All'epoca il giovane O'Connell, appena
ventisettenne, non sapeva nulla di
atletica. «Fino a quel momento mi ero interessato
solo di calcio, la corsa per me
era un mondo sconosciuto», confessa.
«Per iniziare mi feci spedire dall'Europa
tutto il materiale possibile sulla preparazione
atletica e sulla programmazione
agonistica. Divorai manuali tecnici, saggi
di teoria della corsa, volumi di medicina
dello sport. A un certo punto misi da parte
i libri e passai a studiare la materia direttamente
sul campo, osservando da vicino
i movimenti dei miei corridori. Fornivo
loro consigli pratici, semplici incitamenti.
Poi cominciai a preparare le prime tabelle
di allenamento». I risultati non tardarono
ad arrivare: nel 1985 gli allievi della
scuola dominarono il più importante
meeting giovanile di atletica del Kenya;
un anno dopo, sette ragazzi gareggiavano
già ai Campionati mondiali Juniores.
Un atleta esegue gli esercizi di stretching sotto lo sguardo vigile
di padre Colm (foto:MARCO TROVATO).
La scossa di brother Colm innescò
una valanga irrefrenabile di trionfi
clamorosi. Trofei internazionali,
vittorie di maratone prestigiose, podi
olimpici, record mondiali: una lunga storia
di successi che oggi può essere ripercorsa
visitando il Wall of fame della scuola
di Iten, una grande parete tappezzata
di foto, attestati, ritagli di giornale. «Il nostro
motto è Excellence in all endeavours:
dare il meglio di sé per eccellere
in ogni campo», ci tiene a precisare il
preside Alex Oyuga. «I nostri diplomati
sono tra i migliori studenti del Paese. Teniamo
molto alla qualità dell'insegnamento
e all'educazione ai principi cristiani.
Ma indubbiamente la scuola è famosa
in tutto il mondo per l'atletica leggera,
che qui è considerata molto più di
una materia di studio».
Scorci di vita quotidiana nei villaggi
di frontiera tra Uganda e Kenya, da cui provengono molti maratoneti (foto MARCO TROVATO).
All'ingresso del college un cartello
avverte gli automobilisti di fare attenzione
ai ragazzini che «corrono» e non che
«attraversano». Frotte di alunni sgambettano
sul prato fino al tramonto. «Arrivano
da ogni parte del Paese», commenta
soddisfatto mister Oyuga. «Abbiamo la
fama di essere una fucina di fenomeni
sportivi». Il cortile della ricreazione è costellato
di alberi intitolati agli allievi che
hanno primeggiato sulle piste più importanti. Nel giardino compaiono generazioni
di grandi corridori come Peter Rono
(oro olimpico a Seul sugli 800 metri),
Matthew Birir (campione olimpico dei
3.000 siepi a Barcellona), Ibrahim Hussein
(trionfatore per tre volte alla maratona
di Boston), Wilson Boit Kipketer (primatista
mondiale nei 3.000 siepi), Wilson
Kipketer (vincitore di tre titoli mondiali
sugli 800 metri), fino all'ultimo pupillo,
David Rudisha, il giovane masai che la
scorsa estate ha frantumato per due volte
il primato assoluto degli 800 metri.

Schiere di fuoriclasse tirati su come
figli da padre O'Connell, ospitati
in un piccolo appartamento a pochi
passi dalla casa dove il vecchio missionario,
animo calmo e riservato, vive
seguendo abitudini ascetiche. Alternando
buone letture, momenti di preghiera,
riposo, pranzi fugaci e tante sessioni
di allenamento. Ogni giorno – sole o
pioggia, non importa – lo dedica a far
crescere una pattuglia di giovani di talento
che trottano come forsennati, sotto
il suo sguardo vigile, nel campo spelacchiato
della scuola. Ai ragazzi detta i ritmi,
l'andatura, i tempi per le accelerazioni.
Senza proferire parola. «Ci capiamo
con uno sguardo», dice. «La corsa è una
questione di feeling».
Davanti al college di Iten un cartello avverte gli automobilisti di fare attenzione agli studenti che corrono.
Questa scuola maschile fondata dai missionari cattolici è diventata una fucina di grandi campioni dell'atletica.
(foto MARCO TROVATO).
La fama planetaria non lo ha cambiato.
Il missionario dei record, una vita
costellata da imprese miracolose, l'ex
tecnico autodidatta divenuto un guru
dell'atletica, ha deciso di restare lassù,
sulle praterie della Valle del Rift, dove la
terra rossa dell'Africa si fonde con il cielo
azzurro e terso, e dove i ritmi lenti
delle giornate, immutati da secoli, creano
paradossalmente le condizioni ideali
per correre veloci. «L'Occidente è ossessionato
dal ticchettio dell'orologio»,
dice. «Ma qui, per fortuna, il tempo non
è ancora denaro». E con un cenno indica
i suoi ragazzi che si rilassano sul prato
alla fine del training.
Tre masai ingaggiati per fare pubblicità a una società telefonica (foto MARCO TROVATO).
Quando lo chiamano in Europa
per ritirare un premio o per parlare
a qualche convegno, trova
sempre una buona scusa per declinare
con garbo l'invito. «Non amo stare
sotto le luci della ribalta», si giustifica.
«E poi questo ormai è il mio mondo»,
aggiunge accarezzandosi la testa stempiata.
Per incontrarlo, insomma, bisogna
volare in Kenya e guidare per sei ore,
serpeggiando tra buche e vacche dalle
lunghe corna, fino a raggiungere Iten, il
paradiso dell'atletica, 350 chilometri a
nord di Nairobi. Quattromila abitanti aggrappati
a una sola strada che ogni giorno
si trasforma in una pista di atletica.
Qui fioriscono i prodigi della velocità e
della resistenza, corridori con muscoli di
acciaio e polmoni infaticabili, chilometri
macinati a piedi nudi nella polvere, storie
scritte col sudore che diventano
straordinarie favole sportive.
Il salone di un barbiere sugli altopiani del Kenya (foto MARCO TROVATO).
Il villaggio
è diventato meta di pellegrinaggio per
schiere di aspiranti campioni provenienti
da ogni parte del mondo.
I wazungu, i corridori bianchi, si rifugiano
in un lussuoso lodge con piscina,
sauna e palestra. Al mattino li vedi arrancare
sulle salite, sbuffi di vapore e volti
stravolti dalla fatica, i corpi appesantiti
da cronografi hi-tech, cardiofrequenzimetri
e Gps da polso. «Questo invece è
il mio computer di allenamento», scherza
Mercy, vent'anni, due gambe lunghissime
e un'infinità di treccine al vento.
Con una mano si tocca il cuore: «Non
serve altro per correre veloci», aggiunge
la ragazza mentre fa stretching al termine
della consueta sgambata mattutina.
«Devo fare in fretta, mi aspetta il lavoro.
Vendo carbone al mercato. Un lavoraccio.
Spero prima o poi di diventare
un'atleta professionista».
Padre Colm è stato il primo a credere
nella corsa delle donne keniane: nel
lontano 1989 organizzò il primo campus per giovani atlete, «una picconata contro
i pregiudizi della società maschilista». Oggi
campionesse del calibro di Tegla Loroupe,
Joyce Chepchumba e Lornah Kiplagat
sono eroine che infiammano l'orgoglio
della popolazione locale. Tre luci splendenti
in un firmamento di grandi stelle
che fanno brillare gli altopiani del Kenya.
U
Una donna con il suo bambino
(foto MARCO TROVATO).
Nessun altro luogo al mondo può
vantare una concentrazione così
alta di campioni e primatisti mondiali
del mezzofondo e della maratona
(non dimentichiamo Moses e Philip Tanui,
Paul Tergat, Joseph Chebet, Henry
Cherono). Misteri africani. Il fattore ambientale
– l'aria rarefatta degli altipiani –
non può spiegare tutto: altre regioni nel
mondo, per niente prolifiche di record e
medaglie, offrono condizioni di allenamento
simili. Gli scienziati occidentali
hanno ipotizzato una predisposizione genetica:
Spero prima o poi di diventare
un'atleta professionista».
Padre Colm è stato il primo a credere
nella corsa delle donne keniane: nel
lontano 1989 organizzò il primo campus per giovani atlete, «una picconata contro
i pregiudizi della società maschilista».
Un cartello indica il centro di
allenamento per corridori
occidentali fondato dalla campionessa mondiale Lornah
Kiplagat (foto MARCO TROVATO).
Oggi
campionesse del calibro di Tegla Loroupe,
Joyce Chepchumba e Lornah Kiplagat
sono eroine che infiammano l'orgoglio
della popolazione locale. Tre luci splendenti
in un firmamento di grandi stelle
che fanno brillare gli altopiani del Kenya.
Nessun altro luogo al mondo può
vantare una concentrazione così
alta di campioni e primatisti mondiali
del mezzofondo e della maratona
(non dimentichiamo Moses e Philip Tanui,
Paul Tergat, Joseph Chebet, Henry
Cherono). Misteri africani. Il fattore ambientale
– l'aria rarefatta degli altipiani –
non può spiegare tutto: altre regioni nel
mondo, per niente prolifiche di record e
medaglie, offrono condizioni di allenamento
simili. Gli scienziati occidentali
hanno ipotizzato una predisposizione genetica:
i corpi dei Kalenjin e dei Kikuyu, i
maggiori gruppi etnici della regione, sarebbero
perfette macchine da corsa.
«I ricercatori hanno misurato polpacci
e femori, confrontato valori del
sangue, analizzato il dna dei campioni,
ma non hanno trovato le risposte che
cercavano», racconta padre Colm. «La
verità è che non esiste alcun segreto: le
vittorie sono il risultato di anni di allenamento,
sacrifici, dedizione assoluta alla
corsa. L'atletica qui non è solo fatica e
passione. È anche, e soprattutto, un
mezzo per cercare di cambiar vita». La
regione è diventata terra di conquista
per talent scout e procuratori stranieri
che organizzano gare per reclutare le
giovani promesse della corsa. Una vittoria
prestigiosa può far guadagnare decine
di migliaia di dollari, sponsor, ingaggi:
più che un traguardo, un miraggio, in un
Paese dove la metà dei giovani non trova
lavoro e dove lo stipendio medio
mensile non supera i cinquanta euro. «Il
successo può dare alla testa», avverte il
coach irlandese. «Ai miei ragazzi ripeto
ogni giorno di rimanere sempre coi piedi
per terra. Serve umiltà, disciplina, sete
di nuovi traguardi. La corsa è una formidabile
palestra di vita».
Un paio di scarpe
consumate dalla pratica (foto MARCO TROVATO).
Moses Mkono, sedici anni, podista
masai, andatura elegante e
fiera, ha lasciato il suo villaggio
nella savana ed è salito alla Saint Patrick
per entrare nella storia. «Con l'aiuto di
padre Colm vincerò una medaglia alle
olimpiadi», giura al termine dell'allenamento
serale. Ai Giochi di Rio de Janeiro
2016 sapremo di quale metallo è fatta
la sua forza. «Quando taglierò il traguardo
i cronisti parleranno ancora una
volta di questo magico posto che sforna
campioni». E torneranno a raccontare
l'intramontabile leggenda del santo
allenatore.
di Marco Trovato
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