Dossier: Il
grido di fede della Sicilia La
Sicilia: ribelle e devota
di Nino Barraco

Ancorata alle sue
tradizioni, alle sue "Santuzze", a una religiosità popolare
che resiste alla secolarizzazione, la Sicilia cerca nella sua storia la
forza di affrontare il futuro con più coraggio e responsabilità. Dal
Papa, che sarà a Palermo il prossimo 3 ottobre, attende di essere
rinsaldata in una fede capace di stare al passo con i tempi e che sia
richiamo ai valori di giustizia, solidarietà, bene comune. Questo di
Benedetto XVI, che concluderà il Convegno dei giovani e delle famiglie,
è il primo viaggio in Sicilia, a distanza di 15 anni dall’ultima
visita di Giovanni Paolo II.
Palermo, litania profetica di martiri, di uccisi, da De Mauro a Mario
Francese, da Boris Giuliano a Cesare Terranova, da Costa a La Torre, da
Basile a Rocco Chinnici, da Carlo Alberto Dalla Chiesa a tutti i morti. Da
Ciaculli alle molte stragi in cui cadono umili servitori dello Stato e
personaggi di spicco come il presidente della Regione, Pier Santi
Mattarella.
Memoria per il mondo, gli attentati a Falcone e Borsellino, l’assassinio
di padre Puglisi, l’altare insanguinato, il grido di Abele, lo strazio
di tutte le madri che hanno visto i propri figli sopraffatti dalla
violenza, da tutte le mafie. Litania di martiri, a fronte di un sogno, di
un giorno di legalità, di giustizia, di un domani "altro".
Viene il Papa a Palermo, in questa città capitale di una Regione a
Statuto speciale, che delle capitali ha tutto il cumulo dei problemi ma
anche tutti gli alibi della sopravvivenza: i Vespri come simbolo di
rivolta contro il malgoverno; lo stadio della Favorita per la febbre della
squadra; la "Santuzza" di Monte Pellegrino per l’evasione
devozionale; l’Università per rinviare il tempo della disoccupazione.

Il teatro Politeama, a Palermo
(foto ICP).
Una città che ha le cartoline dell’Opera dei Pupi e della Conca d’oro
per colmare le pozze scavate dalla prepotenza e dagli illeciti; che vanta
la Cappella Palatina, la Fontana Pretoria e il teatro Massimo per la
nostalgia del bello. Una città zeppa di aquile. Si trovano dappertutto,
ma di marmo. Su tutti i monumenti. Eppure – bisogna ammetterlo – una
città che, a onta di una resistenza immutabile, di un fatalismo secolare,
gestisce spinte di riconosciuta speranza.
Una Sicilia che spera e che è disperata. Che si rinnova per restare
vecchia. La Sicilia del Gattopardo, e la Sicilia pronta a
organizzare la lotta, frontiera di civiltà e retrovia di provincia. Come
dimenticare? È Il lamento del Sud di Quasimodo: «Oh, il Sud è
stanco di trascinare morti / in riva alle paludi di malaria / è stanco di
solitudine, stanco di catene / ... di tutte le razze / che hanno bevuto il
sangue del suo cuore».
No, al Papa che viene non si possono dire parole ripetute, monotone. È
tutta la città che grida e che ha il diritto di esserci. Bisogna far
parlare i poveri che, come diceva don Mazzolari, hanno il segreto della
speranza, bisogna restituire ai disoccupati, alle famiglie in crisi, ai
giovani per primi, la rivendicazione di un sogno che giudichi la violenza,
il potere, che smascheri tutti gli intrighi della criminalità. È dal
Papa che la città sa di poter attendere la novità della Parola, quel
conforto della fede che davvero sia frontiera di speranza credibile,
scelta di campo, sfida di giustizia, responsabilità di tutti per la vita
che soffre, che lotta, che canta, che sopravvive oltre la terra.
Ci troviamo, davvero, nella pienezza dei tempi, in cui non sono più
possibili ritardi. Non c’è più posto per un Vangelo delega, evasivo,
innocuo, di retrovia, di compromesso. Ha parlato con insistenza il pastore
di questa Chiesa, il vescovo Romeo, accusando le «scelte di palazzo»,
appellandosi a un’«etica della politica», denunziando i disagi, il
dramma della casa, la disoccupazione, lo sfruttamento dei minori, il
degrado, gli iniqui legami fra politica, affari e paura.
Il Papa a Palermo. Certamente, una peregrinazione di mistero, di
grazia, di comunione. Evento che può essere accoglienza profetica di un
"dopo", ma anche pretesto enfatico di una città più pronta al
devozionismo che all’adorazione. Confermare nel Signore, nelle inesauste
domande di trascendenza, esaltare la speranza, compromettere nell’amore,
è il senso ecclesiale, pastorale, di ogni viaggio del Papa. L’offerta
di un dono che convoca all’altare preti e laici, che reinventa le
ragioni del Vangelo, che restituisce alla gente il diritto di
riappropriarsi del futuro. Il futuro di una Chiesa che voglia essere
libera da compromessi col potere, nel cuore della città, nel rapporto
delle fedi – cristiani, ebrei, musulmani – nel passaggio epocale che
viviamo, in comunione con gli ultimi, aperta alle nostalgie di
accoglienza, alle povertà di questo tempo in cui si definisce la
responsabilità di tutti. Sì, una Chiesa che, come Eliseo, si lasci
toccare dal mantello di Elia, dal fuoco dello Spirito che, ogni giorno, la
converta al Vangelo.
Nino Barraco
Segue:
La
cristianità antica delle terre di Trinacria
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