INCHIESTA - LO
SCANDALO PEDOFILIA Il
portavoce vaticano:
rigore e
rinnovamento
di Iacopo Scaramuzzi
Da
mesi è in prima linea. Padre Federico Lombardi aveva iniziato il suo
incarico di direttore della Sala stampa della Santa Sede, nel 2006,
precisando subito di non essere il «portavoce del Papa», come era
stato Joaquin Navarro Valls con Giovanni Paolo II. Il gesuita intendeva
avere un profilo più defilato, un ruolo più da amministratore dell’informazione
vaticana che da protagonista della scena mediatica mondiale. La crisi
della pedofilia ha stravolto i suoi piani. Volente o nolente, Lombardi
si è ritrovato catapultato in una delle maggiori tempeste che abbia mai
investito la Chiesa cattolica mondiale. Da protagonista. Ha risposto
alle domande dei network internazionali; ha ribattuto alle contestazioni
del ruolo presente e passato svolto da papa Ratzinger; ha spiegato,
precisato, chiarito. Sempre in prima persona, spesso da solo,
arrabbiandosi raramente. E diventando, sempre di più, il volto e la
voce del Pontificato. In contatto sempre più stretto con Benedetto XVI
e con la squadra della Curia che gestisce giorno per giorno l’emergenza
– se non è un’unità di crisi, poco ci manca –, padre Lombardi è
divenuto il divulgatore unico e autorizzato della linea di «tolleranza
zero» che il Pontefice ha voluto esporre nei confronti dei preti
pedofili. In questa intervista, il gesuita non anticipa le modifiche
normative che la Santa Sede va elaborando da mesi sulle sanzioni agli
abusi sessuali sui minori da parte dei preti, ma fa il punto della
situazione sulla crisi che ha più ferito la credibilità della Chiesa
e, paradossalmente, ha forse dato forma, più di ogni altro episodio del
passato, al pontificato di Joseph Ratzinger.

Uno scorcio di piazza San Pietro
(foto D. Giagnori/Eidon).
- La Chiesa è sotto attacco? In tutto il periodo nel quale è
scoppiato lo scandalo pedofilia, i mass media hanno alimentato il
pregiudizio o aiutato la purificazione?
«La comunicazione nel mondo di oggi è varia, ha aspetti positivi e
negativi, presenta grandi rischi e grandi potenzialità. Bisogna saper
discernere in un panorama che è molto vario e che esprime punti di
vista, posizioni, interessi molto differenziati tra di loro. Certamente
il fatto che i media siano globalizzati ha portato a un’eco molto
grande del tema della pedofilia che, in realtà, presenta differenze da
Paese a Paese, responsabilità differenti e differenti tempi in cui si
è manifestata. Il rischio è stato che si creasse un clima in cui
diventava più difficile affrontare con precisione le diverse
situazioni. Ciò non toglie che la Chiesa ha vissuto questa pressione
– espressa, a volte, con valutazioni non obiettive o superficiali –
come stimolo alla conversione. La Chiesa, come ha detto anche il Papa
soprattutto nelle ultime settimane, ha vissuto una forte esperienza di
sofferenza e un forte stimolo a rendersi conto dell’urgenza della
purificazione e dell’impegno a evitare in tutti i modi che questi
errori si ripetano».
- Lei ha detto: «Si tratta di riscoprire e riaffermare senso e
importanza della sessualità, della castità e delle relazioni
affettive nel mondo di oggi». La "rivoluzione sessuale"
non deve essere oggetto di demonizzazione, ma di discernimento?
«Ritengo che si debba inserire la problematica della Chiesa in
quella più ampia della società. Ci si è concentrati molto sugli abusi
sessuali sui minori da parte dei preti. Allarghiamo lo sguardo. Non
guardiamo solo ai preti, ma alla gravità degli abusi sui minori in
generale. Inoltre, non ci sono solo gli abusi sui minori. Un abuso su
una ragazza che ha 17 anni è gravissimo e quando ne ha diciotto non è
più grave? Può diventare un alibi per la Chiesa dire che la pedofilia
non è solo nella Chiesa, ma può diventare un alibi per gli altri
prendersela solo con i preti. Bisogna rendersi conto che, nella società
attuale, i rapporti sessuali sono sfidati dal modo in cui le
comunicazioni sociali presentano la sessualità, da una visione di
libertà e di soggettivismo che non riconosce l’importanza di regole e
di norme in questo campo. Poniamoci la domanda di come il sesto
comandamento e la morale sessuale si confrontano con questa situazione.
Quello della pedofilia nella Chiesa è un punto specifico, forse più
grave, ma riguarda l’ordine e il disordine dei rapporti sessuali. Non
si tratta solo di dire ai preti "non dovete abusare dei minori di
diciotto anni", ma di aiutarli a vivere la propria sessualità in
modo maturo, sereno e moralmente responsabile in tante dimensioni, dall’uso
degli strumenti della comunicazione al modo in cui entrano in rapporto
con gli altri, anche maggiorenni, uomini e donne».

Foto di padre Maciel in una sede dei
Legionari di Cristo
(foto M. Rueda/AP/La Presse).
scrive che può essere illusoriamente
attratto dal mondo del seminario chi ha una sessualità immatura e
malata. C’è chi, ad esempio alcuni vescovi del mondo germanofono,
è arrivato a mettere in dubbio l’obbligo del celibato. Come
affrontare il problema della formazione dei preti?
«Devo dire che quando mi guardo attorno non vedo, tra gli uomini che
incontro fuori dal seminario, tutte persone sessualmente mature! Non
nego che ci siano problemi specifici in un mondo principalmente maschile
di giovani che vivono insieme. E volerli approfondire e affrontare
adeguatamente è giustissimo. Ma non è che tutti i problemi siano solo
nel seminario. I problemi, a ogni modo, possono essere affrontati
adeguatamente senza togliere il celibato».
- Perché in passato non c’era la giusta sensibilità sul problema
della pedofilia? Perché papa Wojtyla e il suo entourage non
furono in grado di affrontarlo, come dimostrano, ad esempio, i casi
di padre Maciel e del cardinale Groër?
«Io ritengo che non si debba guardare solo alla Chiesa o alla Santa
Sede. Nella società in generale quello della pedofilia non era un
argomento di cui si parlasse in modo tanto esplicito, frequente e
chiaro. Non è questione di Wojtyla o della Curia. Giovanni Paolo II era
inserito in un mondo nel quale non se ne parlava, non se ne era così
consapevoli, non venivano presentate le denunce così frequentemente.
Alcuni dei casi riportati in queste ultime settimane negli Stati Uniti
erano stati denunciati alla polizia che non aveva fatto nulla... Non è
stata solo la Chiesa ad aver affrontato la questione in modo inadeguato.
La cultura della riservatezza su questi temi nella Chiesa può avere dei
suoi aspetti specifici, ma il problema è stato di cultura generale».
- Perché allora, secondo lei, oggi c’è la tendenza concentrarsi
così tanto sulla Chiesa?
«La Chiesa ha un suo aspetto specifico
perché, presentandosi come un’autorità morale con un insegnamento
sulla sessualità particolarmente rigoroso nella società attuale, la
contraddizione delle mancanze o dei crimini in questo campo risalta
maggiormente. Mi sembra innegabile. Per questo la Chiesa non tende a
ributtare le questioni sugli altri. I problemi che
in lei diventano più gravi e più moralmente criticabili, però, non sono
solo suoi. In questo senso, spero che l’esperienza di particolare
sofferenza e impegno che la Chiesa deve mettere per affrontare ed emendare
i suoi errori possa essere anche utile ad altri».

Il portavoce vaticano padre
Federico Lombardi (foto F. Frustaci/Eidon).
- Considera superate le critiche rivolte a Ratzinger come arcivescovo
di Monaco e cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina
della fede? Il caso Hullerman, il caso Murphy, una normativa, quella
del 2002, che non impedisce la denuncia alle pubbliche autorità, ma
neppure la prescrive...
«A me sembra che una valutazione obiettiva e una conoscenza effettiva
del suo ruolo faccia emergere che il Papa ha indicato una linea di rigore
morale e di rinnovamento. Mi sembra assolutamente chiaro che egli è un
testimone del cammino giusto dell’istituzione della Chiesa per
affrontare il problema. Egli ha fatto, anche come prefetto, un suo cammino
di consapevolezza e di crescente comprensione del problema, nonché dell’urgenza
e dei modi necessari per affrontarlo. Non voglio dire che in passato ci
sia stato il comportamento o la soluzione più perfetta in tutti i singoli
casi. Siamo su questa terra. Ma mi pare che nessuno degli argomenti
portati contro di lui si sia manifestato minimamente tale da mettere in
questione la valutazione della sua funzione positiva nella Chiesa».
- Paradossalmente, e con tutto il dolore che ha comportato, si può
affermare che nessun episodio come la crisi della pedofilia abbia dato
forma al governo Ratzinger? Che, tra le dimissioni di vescovi, gli
incontri con le vittime e i continui interventi in materia che formano
quasi un magistero a parte, sia venuto fuori con maggiore chiarezza
che in passato il profilo del suo pontificato?
«Io invito ad avere uno sguardo un po’ più ampio nel tempo. Sono
due o tre mesi che i giornali hanno difficoltà a vedere altro che la
questione della pedofilia. Ma credo che questo pontificato abbia degli
aspetti di continuità e di coerenza di magistero su diversi aspetti.
Certo, la problematica della pedofilia, soprattutto in rapporto all’opinione
pubblica e alla capacità della Chiesa di riferirsi alla mentalità della
società circostante, è una fase importante del pontificato e la
personale impostazione del Papa ha dato, con continuità e coerenza, un
contributo determinante. Sicuramente questa vicenda costituisce una linea
del suo pontificato identificabile come un punto critico importante».
- Sono previsti altri incontri del Papa con le vittime? Come valuta le
iniziative su questo punto a livello delle Chiese locali?
«Come è noto, iniziative di questo genere non si sono mai annunciate
o anticipate. A ogni modo, non mi consta nessun particolare progetto che
riguardi il Papa. Benedetto XVI ha dato il suo esempio e credo che questo
sia significativo anche per i vescovi ai quali si ponga il problema».
- Dopo la crisi pedofilia, come vede la Chiesa e il Vaticano di
domani?
«La crisi non è superata. Penso a tutte le persone che si stanno
rivolgendo ai centri di ascolto che si sono aperti o che hanno
intensificato la loro attività. Sono vicende da affrontare con processi
molto lunghi di risanamento e di dialogo. Mi auguro che, come frutto
positivo di questa crisi, diventi una realtà l’invito del Papa alla
conversione, alla penitenza, al rinnovamento e all’impegno affinché
queste cose non avvengano più. E mi auguro che, al di là dello specifico
degli abusi sui minori, sia anche un’occasione e uno stimolo ad
approfondire le questioni che riguardano la protezione dei bambini e dei
giovani nella società, nonché la maturità e la coerenza dei
comportamenti sessuali da parte dei preti e di tutte le persone».
Iacopo Scaramuzzi
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Golser: esame di
coscienza per la Chiesa italiana
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