UNA
CITTA', UNA DIOCESI
- CALTANISSETTA Intervista
a Mario Russotto
Se la Parola torna
per le strade
di Annachiara Valle - foto di Alessia Giuliani/CPP
Nella
conversazione "ufficiale" per l’intervista o nelle
chiacchiere amichevoli del dopo pasto, qualunque sia il punto di
partenza del discorso, la conclusione è sempre la stessa: «Bisogna
pensare insieme, solo così si possono cambiare le cose». La sua idea
è quella di una Chiesa-comunità, che vive tra gli uomini, che è
esperienza di condivisione. Più facile a dirsi che a farsi in una
terra, come quella della sua diocesi, abituata da secoli a un estremo
individualismo. La scommessa di monsignor Mario Russotto, 52 anni,
vescovo di Caltanissetta dal 2003, è stata quella di aprire il
vescovado, di farsi prossimo alla gente, di aiutare la città e la
diocesi a ragionare in comune attorno ai nodi più problematici per
tentare la via dello sviluppo in una provincia così avara spesso anche
di speranza.

Monsignor Russotto.
Già docente di ebraico, greco ed Esegesi dell’Antico Testamento
presso l’Istituto teologico di Ragusa, professore di Metodologia ed
Ermeneutica biblica alla Facoltà teologica di Palermo, promotore di
corsi biblico-teologici in Italia e all’estero, monsignor Russotto non
ha nulla di "accademico" nel suo modo di fare. Anzi, quando lo
si vede camminare per le strade della città, la gente gli si avvicina
con confidenza. «La Chiesa», dice, «deve stare sulla strada e la
Curia vescovile non deve essere vista come un "palazzo"
lontano».
- Ma come si fa a creare comunità?
«Partendo dalle cose semplici. Come, per esempio, accorpare i
vicariati, che da sette sono diventati quattro. Oppure aprendo le case
del clero, dove i sacerdoti sperimentano, in piccoli gruppi, la vita in
comune. O, ancora, con l’iniziativa Igf, cioè Insieme giovani e
famiglie. È un’iniziativa che va avanti da sei anni. Si tratta di
una giornata di studio, di riflessione, di preghiera, di festa dei
giovani e delle famiglie insieme. Ci sono anche laboratori che fanno
incontrare, per esempio, i giovani di un Comune con gli sposi di un
altro. Inoltre, nel periodo di Avvento per i giovani e in quello di
Quaresima per le famiglie, c’è la lectio divina per tutta la
diocesi. Accade dunque che da ogni Comune ci si sposta nella sede
designata. Sembra una piccola cosa, ma invece ha creato un movimento,
una sinergia e anche una presa di coscienza perché in tanti non erano
mai stati in quel singolo paese. Questo ha messo in rete le diverse
comunità locali e ha spezzato l’isolamento, malattia tipica di questi
luoghi».

Uno dei vicoli della città con la
classica automobile parcheggiata
in modo da impedire il passaggio.
- Lei insiste molto sulla lectio...
«La consuetudine con la Parola di Dio è fondamentale per fare
comunità. Da tre anni la formazione dei nostri 1.500 catechisti è
fondata sulla Scuola della Parola. Sono divisi in vicariati, anche qui
per alimentare lo stare insieme e fare in modo che i catechisti di una
parrocchia si incontrino con quelli delle parrocchie vicine. Inoltre in
tutta la diocesi il giovedì non si dice Messa, ma si fa Lectio.
La comunità non può che alimentarsi dalla lettura e dalla meditazione
costante della Bibbia».
- Non a caso il suo motto episcopale è «In verbis tuis
meditabor»...
«Certo, la Parola di Dio, ma non solo. Lo stemma è tripartito per
indicare la Trinità. In uno spazio è proprio il rotolo che rappresenta
la Parola, ma poi c’è anche la stella di David che indica la Vergine,
alla quale sono particolarmente devoto. Nell’altra parte il leone
rampante che regge la lancia, simbolo del patrono della città, san
Michele. Il leone è giallo su sfondo rosso, cioè i colori della
città, a indicare che il mio impegno non è solo verso lo spirituale,
ma si incarna in questa terra particolare».

Il mercato del pesce a Caltanissetta.
- Caltanissetta è al centro della Sicilia, in una posizione
strategica. Perché è invece così abbandonata?
«È vero, siamo al centro della Sicilia e stiamo diventando un punto
di convergenza per tante iniziative. La stessa sessione invernale della
Conferenza episcopale siciliana si è svolta qui. Non bisogna
dimenticare però che Caltanissetta è, in assoluto, una delle diocesi
più povere d’Italia. Abbiamo grandi menti, molte intelligenze e anche
tanti imprenditori. Il punto è che tutti loro, fondamentalmente, vanno
a spendere le loro energie al Nord. Qui lo sviluppo è difficile, non c’è
una politica industriale, agricola, imprenditoriale adeguata ai tempi.
Inoltre la burocrazia istituzionale a tutti i livelli – dai Comuni
alla Provincia, alla Regione – è così farraginosa che rende
difficile aprire nuove aziende. Viviamo in uno stato di subalternità,
in una situazione assistenziale che, secondo me fa comodo o ha fatto
comodo. Pur proclamando il desiderio di superare questa dimensione, c’è
chi ha interesse a che questa parte di Sicilia – e parlo in
particolare del mio territorio – resti sempre in una situazione di
sottosviluppo».
«Innanzitutto ha il coraggio di parlare. Certo, a volte disturba, ma
si deve disturbare se si vuole essere nella verità. E poi abbiamo una
grande responsabilità, perché spesso siamo l’unico punto di
riferimento per la gente. Anche per questo ho chiesto ai sacerdoti, ma
anche ai laici impegnati, di uscire dalle sacrestie e dai gruppi chiusi
e di spendersi in mezzo agli altri. In città ci sono moltissime
iniziative e, quasi sempre, non si aspetta che le persone vengano a noi,
ma li si va a cercare nei posti dove vivono, sul lavoro, a scuola, per
le piazze».

Il Cristo conservato nel museo diocesano.
- Per questo impegno ci vogliono energie e uomini. Le vocazioni
resistono?
«Fortunatamente sì. Abbiamo 17 seminaristi su una popolazione di
160 mila persone. Una percentuale nettamente più alta di molte diocesi
d’Italia. Inoltre il clero è relativamente giovane. Questa diocesi ha
saputo mantenersi molto compatta, si è quasi trincerata e, negli anni
del post Concilio, quando le diocesi attorno hanno avuto una discreta
perdita di sacerdoti, qui questo fenomeno non si è verificato. Già
quando sono arrivato ho trovato un clero molto motivato e con una
particolarità importante: pur avendo questo gene dell’individualismo,
è un clero che, dinnanzi alle difficoltà, sa essere uno».
Annachiara Valle
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