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Il 29enne difensore napoletano, approdato
a Milano dal Parma, è all’apice della sua carriera: è giunto a lottare per
lo scudetto con i nerazzurri proprio nel momento in cui gli viene affidata la
fascia di capitano dell’Italia.
Il
capitano della nostra Nazionale di calcio, dopo il volontario abbandono di Paolo
Maldini, è un napoletano di 29 anni dalla faccia sempre
sorridente ma dalla grinta (sul campo) implacabile: Fabio Cannavaro. «Quella
azzurra è una maglia che ti trasmette sensazioni uniche, intensissime. Spero di
scoprire quest’anno con l’Inter quant’è bello vincere lo scudetto o una
Coppa dei Campioni (magari entrambi), ma è la Nazionale che ti fa sentire un
vero giocatore».

Fabio è arrivato quest’anno nel club di Moratti dopo una
serie di colpi di scena: «Quando il Parma ha detto
che potevo andare via per esigenze di bilancio, sembrava che mi dovesse prendere
la Juventus. Poi è comparso il Milan e infine mi sono ritrovato all’Inter.
Una destinazione che mi è subito piaciuta per un motivo molto semplice. L’Inter
è dal 1989 che non vince lo scudetto, io non l’ho mai vinto: dunque abbiamo
lo stesso appetito».
- A proposito di appetito, i tuoi genitori, Pasquale e
Gelsomina, assicurano che da bambino bevevi due litri e mezzo di latte al
giorno.
«Vero. Mi piacevano tanto anche le pizzette e i cornetti: ero
un pacioccone. Papà faceva il calciatore semiprofessionista. Squadre di città
nei dintorni di Napoli, come Scafatese, Giugliano, Afragolese. Poi andò al
Pontedera e nel ritiro pre-campionato mi portò con sé. Ricordo che un suo
compagno di squadra mi prendeva sempre a morsi perché ero bello cicciotto».

Costante, invece, il rapporto con l’azzurro
della Nazionale: con 65 presenze
e il contemporaneo ritiro di Maldini, ne è diventato il capitano.
«Sul piazzale dello stadio San Paolo. Abitavamo lì vicino e
così passavo il tempo a fare accanite partitelle due contro due. Con Alfredo,
Enzo e Amedeo. A furia di giocare là, dovette vedermi qualcuno del Napoli e
così entrai nel settore giovanile della mia squadra del cuore. Era il periodo
di Maradona, io al San Paolo facevo il raccattapalle e insieme con Guido, l’amico
del cuore, sognavo di vestire un giorno la maglietta azzurra. Magari con
Maradona ancora in campo».
- Sogno realizzatosi a metà.
«Sì, quando debuttai in Serie A era il 1993 e Maradona non
giocava più da noi. Peccato, in teoria lo avrei potuto raggiungere».

- Perché tu, che non sei un gigante, giochi difensore?
«Ho sempre avuto senso dell’anticipo, velocità e grande
elevazione. Sono alto 176 cm, ma quello che perdo in altezza lo guadagno in
spinta delle gambe quando vado a saltare. E perciò non ho mai avuto il
complesso della statura».
- Avevi solo 22 anni quando ti sei trasferito al Parma: è
stata dura?
«Fu la scelta più sensata che potessi fare, visto il declino
di cui è stato poi vittima il Napoli. Dopo qualche incomprensione sul ruolo
avuta con Ancelotti allenatore, mi sono progressivamente affermato. A Parma ho
avuto la possibilità di crescere professionalmente, di misurarmi col calcio che
conta, di arrivare in Nazionale, di giocare accanto a grandi campioni. E poi ho
vissuto bene, in una città tranquilla, a misura d’uomo, che non ti stressa.
Così, quando è arrivata la chiamata dell’Inter, mi sentivo pronto per
affrontare una nuova metropoli. Il Parma ha fatto quest’anno un progetto di
ringiovanimento della squadra e io mi avvio verso i trent’anni, non ho più
molto tempo per inseguire i successi».

- A Parma è rimasto un altro Cannavaro, tuo fratello Paolo:
com’è il rapporto tra voi?
«Eh, complicato dalla notevole differenza di età. Io sono
più grande di otto anni, quindi finché sono rimasto in casa non c’è mai
stato un rapporto stretto, di complicità. Ora che la differenza di età si
sente meno e potremmo parlarci di più, viviamo in due città diverse. È un
rapporto che mi manca. A Paolo, invece, non manca nulla per diventare
fortissimo. Gioca pure lui in difesa e rispetto a me ha parecchi centimetri in
più».
- Nella tua carriera di arcigno difensore, hai dovuto marcare
i bomber più bravi in circolazione. Come li metti in fila?
«Il più forte ce l’abbiamo noi all’Inter, Christian
Vieri: davvero completo, quand’è in giornata diventa inarrestabile. Poi stimo
tantissimo gli attaccanti della Nazionale: i vari Del Piero, Totti e Inzaghi,
vanno guardati a vista. Però il vero peperino, quello che mi ha fatto soffrire
maggiormente, è Marco Di Vaio. Uno che non sta mai fermo, che non ti regala
punti di riferimento. Un satanasso, come dice Tex Willer».

"O’ CAPITÀNO"
Fabio
Cannavaro
è nato a Napoli il 13 settembre 1973. Cresciuto nel Napoli, ha esordito in
Serie A il 7 marzo1993 a Torino contro la Juve, perdendo 4-3. Nel 1995 è
passato al Parma dove ha vinto Coppa Uefa, Supercoppa Italiana e due Coppe
Italia. Da questa stagione è all’Inter.
Dopo il ritiro di Paolo Maldini, è il giocatore con più presenze in Nazionale
e quindi porta la fascia di capitano.
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CHE STORIA, CON DANIELA!
Giugno 1990. Tutta l’Italia impazzisce per gli azzurri di Azeglio Vicini
che si giocano il Mondiale organizzato dal nostro Paese. Intanto in una casa
napoletana Renata dà una festa. L’ospite d’onore è un certo Fabio, occhi
azzurri, calciatore nelle giovanili del Napoli. Renata è molto interessata a
lui, ma non è l’unica. Una sua amica, Daniela, fa di tutto per conoscere quel
bel ragazzo. Lo aveva notato davanti alla scuola, lo aveva seguito quando Fabio
gironzolava in Vespa, una sua passione, e aveva chiesto al suo amico Alfredo di
presentarglielo.
«L’occasione si presentò
a quella festa»,
racconta Daniela. «Sapevo
che Renata era qualcosa più di un’amica per Fabio: beh, giocai d’anticipo.
Un’entrata alla Cannavaro... Alla fine della serata gli chiesi se mi dava un
passaggio a casa, visto che abitavamo vicini. Non successe niente di speciale,
però ruppi il ghiaccio. Quando ci ritrovammo dopo le vacanze, decidemmo subito
di fidanzarci».
Ricorda Fabio: «Quella sera da Renata non è che Dani mi
avesse fatto un effetto particolare: sì, graziosa, ma niente di più.
Quando la rividi abbronzata, con i capelli più lunghi scoccò la
scintilla». Sei anni di fidanzamento, il matrimonio nel 1996 e
due marmocchi ad allietarlo. «Nella nostra storia non ci sono
mai state stravaganze, è sempre stato un affetto costante, sereno, come
piace a me», dice Fabio, che imbrattava con lo spray i muri del
San Paolo. «Hai voglia, erano pieni di cuori con F. e D. Ho
fatto qualche follia, come quella volta che lasciai il ritiro azzurro di
Firenze, con regolare permesso, insieme col mio amicone Guido e mi
presentai da lei a Sapri dopo una notte di viaggio».
E Daniela, che ne pensa? «Io non sono gelosa della fama di
bello che si è guadagnato Fabio presso le tifose. Sono proprio io ad
aprire e leggere le lettere che riceve e a preparare le risposte: d’altronde,
se non fosse stato così bello, non l’avrei sposato...», se la
ride Daniela. |
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