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ell’orto
della fattoria di Grangrano gli insetti se la passavano piuttosto bene.
Per un tacito accordo col fattore, cercavano di non rovinare troppo le
fresche insalatine e le zucchine di cui erano ghiotti, mangiando solo lo
stretto indispensabile. E lui, uomo buono e rispettoso della natura,
evitava di inondare l’orto con quelle sostanze puzzolenti e pestifere
che di solito i contadini spruzzano sulla frutta e sulla verdura. Così
vivevano in armonia.
Nell’orto abitavano una famiglia di coccinelle nella
zona della lattuga, due famiglie di bruchi intorno ai fagioli e tre di
maggiolini dalle parti dei peperoni croccanti e colorati. C’erano anche
un piccolo formicaio, qualche farfalla e, naturalmente, vermi e lombrichi
in gran quantità.
Ogni giorno, poi, passavano, ma senza fermarsi,
scarabei, moscerini, api e cavallette, millepiedi e gatte pelose, e,
purché rispettassero le regole dell’orto, erano tutti benvenuti.
Nella famiglia delle coccinelle nacque, in una bella
mattina di sole, una nuova cucciola, Cilla. E si vide da subito che era
una coccinella speciale: invece che rosse, le sue ali erano di un bell’arancione
carico, punteggiate di nero e dimostrò presto la sua natura distratta e
sognatrice. Capitava spesso di vederla nel bel mezzo di una larga foglia
di lattuga, ferma, imbambolata a fissare qualche cosa, senza sentire che
la mamma la stava chiamando, due, tre, quattro volte.

La mamma sospirava, le andava vicino e le dava un
buffetto con le zampine, Cilla allora si riscuoteva e le diceva: «Che c’è
mamma, mi hai chiamata?».
Tutti pensavano che fantasticasse senza guardare nulla
in particolare. In realtà contemplava, struggendosi dal desiderio di
essere anche lei così bella, le farfalle. Invidiava soprattutto una
farfalla variopinta che abitava non lontano dalla sua casa, con le ali
più belle che Cilla avesse mai visto: in confronto, le sue parevano
piccole, storte e brutte, d’un arancione spento e tutte macchiate
(almeno così le vedeva lei).
Così stava a guardare la farfalla che si posava e
svolazzava di qua e di là, ne ammirava l’eleganza, la leggerezza, i
colori e sospirava: «Io non potrò mai essere così bella!».
Un giorno che, come al solito, stava contemplando la
farfalla, quella finalmente le rivolse la parola. «Stai sempre a
guardarmi, coccinella, posso fare qualcosa per te?».
«Non penso proprio, bella farfalla, perché io vorrei
essere come te, ma so che è impossibile, sei troppo bella».
La farfalla sorrise compiaciuta e disse: «Sì, è vero,
e mi dispiace per te che hai quelle alucce tristi e spente. Io sono così
fiera di avere queste mie ali maestose... belle e colorate».
Proprio in quel momento Cilla vide il cielo oscurarsi
sopra di lei, come se qualcosa avesse coperto il sole. Alzò gli occhi e
vide un’enorme figura che avanzava a piccoli passi e intanto mormorava: «Vieni
qui, bella farfallina, manchi solo tu per finire la mia collezione, ma che
bei colori hai!».
E zac!... una reticella velocissima intrappolò la
povera farfalla, che scoppiò a piangere, ma inutilmente. La figura si
mise a correre verso la fattoria gridando gioiosamente: «L’ho presa, l’ho
presa!». Guarda mamma, guarda che bellissima farfalla!».
Cilla, impietrita, stette a guardare per un po’ il
fiore sul quale sino a un momento prima si era posata la sua amica
farfalla, poi spiegò le sue ali piccole e d’un solo colore e volò via,
contenta di essere quello che era.
Simona Bonariva
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