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«Si
mettessero d’accordo. Nel 1975 sono stato nominato cavaliere al merito
della Repubblica. Ora vengo a sapere che da dodici lustri a Dogliani e
nell’albese mi descrivono come un ributtante farabutto, se non come un
criminale di guerra». Malgrado la rabbia in corpo per la scoperta delle
accuse che gli vengono appioppate con assoluta certezza da alcuni
"storici" nostrani, il colonnello dell’aeronautica in pensione
Danilo Guidi reagisce con ironia a chi gli chiede come si senta nei panni
di colui il quale, per decenni, è stato dipinto come la quintessenza del
male, almeno per quanto riguarda il periodo della guerra civile.
Toscano d’origine, veleggia in ottima salute verso gli
86 anni, pratica tuttora la pesca subacquea e risiede a Lecce. Adesso è
intenzionato a venire in Piemonte («A piedi, se necessario»), per
chiarire la questione e, forse, chiedere ragione degli infamanti sospetti
(anzi, delle vere e proprie sentenze definitive, emesse via scritti e
tradizione orale partigiana) che ha scoperto essergli stati appiccicati
addosso. A dirglielo, pochi giorni fa, è stata Liliana Peirano di
Mondovì, appassionata indagatrice dei fatti "oscuri" (e non
solo) della Resistenza che, con testardaggine, pur non avendo elementi
utili per rintracciarlo, alla fine l’ha scovato.

NEL LONTANO 1942. Danilo Guidi quando era di stanza a
Rodi.
La storia ha davvero dell’incredibile, soprattutto
perché il "colpevole" sostiene, anzi giura non solo di non
esserlo, ma pure di non aver mai saputo di esser considerato tale.
Ricapitoliamo. Il 31 luglio 1944 un bombardamento in
pieno giorno fece strage a Dogliani. Subito, anche attraverso
testimonianze oculari, la colpa fu attribuita a un pilota o fascista o
tedesco. Nel suo diario, il parroco don Pietro Delpodio scrisse che «anima»
del misfatto era ritenuto il tenente Guidi.
Ricerche più recenti, assolvono il militare da questa
atroce responsabilità, ma lo bollano come ignobile ricattatore che tenne
nel terrore i doglianesi per tutto il mese di agosto del ’44,
minacciando di ripetere il bombardamento, se non gli fosse stata
consegnata un’ingente cifra. Sarebbe stato, questo, il
"risarcimento" preteso da Danilo Guidi per il rapimento da parte
dei partigiani e la sparizione nel nulla della suocera quarantaduenne,
Carolina Quartara vedova De Nicolò.
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IL
PARROCO E IL COMMISSARIO PREFETTIZIO.
A sinistra: don Pietro Delpodio, che curò le anime a Dogliani dal
1930 al 1956.
A destra: il generale Filippo Martinengo. |
Di vero, racconta l’arzillo pensionato, c’è che,
dopo lo sbandamento, lui e i familiari erano sfollati a Dogliani,
prendendo in affitto un appartamento. La suocera aveva un negozio di
confezioni a Torino e vi si recava una volta alla settimana per aprirlo
(per l’Annona) e per rifornirsi di merce, che poi vendeva al mercato di
Dogliani. Ciò bastò ai partigiani garibaldini per ritenerla una spia e
per eliminarla. Guidi, peraltro, fa presente che, la sera in cui la donna
venne "prelevata", con i mobili e la merce fu rubata una scatola
della madre della donna, contenente i gioielli di famiglia. Quando avvenne
il rapimento, l’allora tenente era a Nova Milanese, avendo aderito agli
appelli radio della Repubblica sociale che invitavano i militari a entrare
nei ranghi della nuova entità statuale.
Saputo dell’accaduto, venne nel doglianese e fece di
tutto per ottenere la liberazione della suocera, incontrando gli esponenti
della Resistenza. «In quei frangenti conobbi, tra gli altri, Piero
Chiodi, che su di me scrisse un giudizio ben diverso da quello poi
attribuitomi», testimonia oggi. «Non tentai alcun ricatto e, quando mi
resi conto che non c’era più nulla da fare, rientrai alla base».
Claudio Puppione
L’aereo
tedesco "colpevole" della strage
non era neppure un bombardiere...
Gli ordigni, invece, potrebbero
essere stati sganciati da un Republic P47 Thunderbolt alleato.
Le squadriglie erano basate in Corsica: quel 31 luglio 1944, vi
partì Saint-Éxupery e scomparve nel nulla.
Guai
a insinuare che il tragico bombardamento del 31 luglio 1944 su
Dogliani, che provocò ventisei morti (cui si aggiunsero quelli
uccisi il giorno dopo, durante un rastrellamento nazista) sia stato
opera di un aereo anglo-americano, anziché di un pilota tedesco
come la "storia ufficiale", ormai cristallizzata, impone.
Chi ci prova, come minimo raccoglie
una messe di improperi e minacce di ritorsioni varie, anche da parte
di pubbliche autorità. È un fatto strano a prescindere: come se i
cadaveri fossero più o meno importanti, a seconda della mano che
origina l’innaturale dipartita.
Volendo essere cattivi, si potrebbe
agitare il sospetto che sia "necessaria" una colpa
tedesca, perché altrimenti sfumerebbero le residue speranze di
ottenere qualche riconoscimento dallo Stato per ciò che la
cittadina e la sua popolazione hanno subìto nel periodo della lotta
per la liberazione. Eppure è proprio questo argomento ad alimentare
il dubbio che, invece, quelle bombe siano state di matrice
anglo-americana: come mai Dogliani non ha mai ricevuto la medaglia
più volte sollecitata, neppure quando, in tempi ancora vicini alla
tragedia, presidente della Repubblica era il suo più illustre
figlio, Luigi Einaudi?
Ma vediamo di offrire qualche altro
spunto di riflessione, più concreto, con la ferma intenzione di
riaprire un dibattito che si vuole resti chiuso per sempre, pur
senza atteggiarsi a possessori della verità rivelata, come altri
fanno.
Fra questi "altri", vi è
chi ha appurato, non si sa in base a quale accurata ricerca, che a
colpire Dogliani fu un Focke-Wulf Fw 190-D-9, ovviamente della Luftwaffe.
Però ci sono alcune cosucce che non quadrano. La prima: quel
modello fu assegnato all’aviazione tedesca solo nelle settimane
successive alla strage. La seconda: la versione precedente, in
Italia, fu utilizzata solo sul Nord-Est. La terza, abbastanza
decisiva: era un intercettore e non un bombardiere e, quindi, non
poteva trasportare le tre (o quattro) bombe che massacrarono i
doglianesi.
Assume invece rilevanza l’ipotesi
che, se il bombardamento fu eseguito dagli alleati, a sorvolare
Dogliani quel giorno maledetto sia stato un Republic P47 Thunderbolt,
affidato a un anglo-americano o a un francese, le cui squadriglie
erano attestate in Corsica. Esistono fior di documentazioni sul
fatto che, per tutta l’estate del 1944, dagli hangar corsi
si siano levati in volo i bombardieri per attaccare la Provenza (per
preparare lo sbarco alleato) e il Nord-Ovest italiano.
C’è una strana curiosità, che
merita di essere segnalata: proprio il 31 luglio ’44 è il giorno
nel quale partì, da quegli aeroporti militari, Antoine de
Saint-Éxupery, l’autore del celeberrimo Il piccolo principe,
per la missione dalla quale non fece ritorno e che alimenta tuttora
la sua leggenda con un alone di mistero.
Per tornare a Dogliani, appare
curioso che i fautori della colpevolezza tedesca trascurino la
circostanza che, in quello stesso periodo, da maggio a settembre,
sul centro abitato o negli immediati dintorni, si siano verificati
almeno cinque bombardamenti sicuramente da parte degli alleati,
alcuni dei quali provocarono anche dei morti.
Se servisse, siamo pronti a
riportarne l’elenco, con la data precisa delle incursioni.
Sembrerebbe ce ne sia abbastanza per rimettere in discussione alcune
certezze indistruttibili.
c.p. |
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