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«Sarebbe bello rivedere al
rallentatore i cantanti. Ma prometto che questa volta non
farò scherzi».
Non ama i cantanti, ma a Sanremo ci va
volentieri, per curiosità. Faccia a faccia con Vianello.
- Raimondo, sei arrivato in
prima pagina. Hai paura?
«Ho accettato di presentare
Sanremo per curiosità, per dimostrare che so combattere
la mia immensa pigrizia, per starmene una settimana in un
ambiente diverso, che non conosco e che, ti dirò, non mi
interessa granché. Ho sempre avuto una certa avversione
per cantanti. Nei miei spettacoli televisivi ho sempre
cercato di non ospitarli, anche se qualcuno di loro era
anche mio amico. E proprio a loro riservai un trattamento
piuttosto particolare...».
«Nel senso che, un po per
scherzo e un po perché li consideravo, come i
balletti, un elemento di disturbo, li maltrattavo. Per
scherzo, ma li maltrattavo. A Peppino Di Capri, che
cantava accompagnandosi al piano, feci scivolare via il
piano al quale, senza che lui lo sapesse, era stato
attaccato un cavo per trascinarlo via al momento giusto.
A Peppino Gagliardi tirai una scarpa mentre cantava, e
per fortuna la schivò. Come padrone di casa spesso
ambientavo le loro esibizioni in luoghi strani: una
toilette, un cortile con oche e galline...».
- Questo al Festival non ti
è consentito...
«Eh, purtroppo no. Ho ricevuto
mille raccomandazioni: non una battuta su un cantante,
nemmeno unespressione facciale di quelle che mi
vengono spontanee quando sono in scena. Dicono che
basterebbe un niente per indurre le giurie a votare o a
non votare loggetto della battuta».
- Adesso che sai che
cosè il Festival di Sanremo, vuoi provare
a definirlo?
«Lho trovato molto simile al
campionato di calcio, il nostro, quello che viene
definito "il più bello del mondo". Molto
tatticismo (gli abiti, le pettinature, il look), troppi
stranieri. E tra questi alcuni, proprio come nel nostro
campionato, non sono certo dei fuoriclasse».
«No, per niente. Ho partecipato,
da spettatore, a qualche Sanremo, quando per la radio
conducevo Gran varietà. Mi sono fermato a
Modugno. La musica di oggi non mi interessa. E quando mi
capita di ascoltarla, mi domando come facciano quelli che
la ascoltano a ricordarsela sino a saperla persino
cantare o fischiettare».
- Ma a Sanremo tu ci sei
stato anche come ospite donore, insieme con
Ugo Tognazzi...
«Ci siamo stati nel senso che
siamo stati invitati a esibirci in siparietti comici tra
una canzone e laltra. Erano i tempi di Un due
tre, una trasmissione televisiva che allora vedevano
tutti, anche perché cera una sola rete televisiva
e io e Ugo eravamo proprio popolari. Così andammo a
Sanremo, salimmo sul palcoscenico del Teatro del Casinò,
dove allora si svolgevano le tre serate (tre non
bastavano?) per la prova generale. Non mi ricordo proprio
cosa dicemmo. Fatto sta che, una volta ultimata la prova,
si avvicinò un funzionario della Rai e garbatamente ci
disse che non eravamo adatti allatmosfera del
Festival. Ci pagarono e ci rimandarono a casa. Fu il
secondo cartellino rosso della mia carriera».
«Beh, quello fece scalpore: nel
1954, in una puntata di Un due tre, Ugo e io ci
divertimmo a riproporre la famosa caduta da una sedia
dellallora presidente Gronchi. Ci costò il
cartellino rosso dellespulsione e anche una
quarantena di quattro anni dai teleschermi».
- Il tuo Sanremo lo consideri
condotto con il pressing del calcio o spiato con
la moviola?
«Pressing, ma con moderazione.
Certo, la moviola sulle esibizioni dei cantanti sarebbe
stata proprio divertente. Ma avrei dovuto portarmi
Pistocchi, il tecnico moviolista della mia trasmissione.
E non me la sono sentita».
g.v.
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