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Con
la nascita dellUnione democratica per la
Repubblica, il centro si arricchisce di un nuovo soggetto
politico che frantuma ulteriormente la rappresentanza
cattolica e rende ancor più inconsistente
lopposizione alle sinistre e al Governo. Questo armeggìo sempre più sferragliante
nel moderatismo politico italiano sembra la
reincarnazione di un fenomeno tipico dellItalia di
un secolo fa: il Trasformismo (scritto con la maiuscola
acquista una dignità di analisi storica che non
dispiacerà soprattutto al colto ex presidente Francesco
Cossiga, che di quellarmeggìo è oggi la stella
polare). Trasformismo fu il termine che fece irruzione
nella politica parlamentare italiana negli anni Ottanta
del secolo scorso, in particolare sotto i Governi della
sinistra di Agostino Depretis, per definirne la
spregiudicata tattica di controllo e di conservazione del
consenso parlamentare.
Contro il suo uso a fini polemici e
dispregiativi, tuttora corrente, si levò la parola di
Benedetto Croce, che, nella sua Storia dItalia
dal 1871 al 1915, lo difese con un argomento
concettualmente forte: il passaggio di singoli
parlamentari, o di interi gruppi, dalla destra alla
sinistra, era lo scotto necessario alla vita di Governi
che pure stavano trasformando il Paese, lo
modernizzavano, lo portavano "in Europa", come
si direbbe oggi, e non avevano altro strumento che
lacquisizione e il mantenimento con qualsiasi mezzo
(corruzione e intimidazione comprese) della maggioranza
parlamentare. Del resto, ciò era necessario anche per
sottrarre la nuova Italia agli incipienti scontri sociali
che altrove stavano facendo le prove dei grandi
sconvolgimenti del secolo successivo.
Gli storici fanno anche
unaltra osservazione: quel Trasformismo, in quel
momento, era considerato dai suoi protagonisti
lunico mezzo per "cristallizzare" un
partito moderato che cogliesse e unisse il meglio
dellaustera tradizione della destra storica e delle
aspirazioni della sinistra al progresso sociale e alla
democrazia. A ben guardare, è quanto si vorrebbe anche
oggi: che nascesse, fra centrosinistra e centrodestra, un
forte movimento politico sicuramente democratico che
sapesse coniugare senza discontinuità di metodi e tempi
il "rigore" nel risanamento finanziario e la
ricerca di strumenti, capitali e progetti in grado di
rilanciare lo sviluppo.
Questo argomento è oggi al centro
di agitate discussioni allinterno dellUlivo
(fino a far scrivere di una divergenza di opinioni fra
Prodi e il suo superministro dellEconomia Ciampi,
con DAlema arbitro preoccupatissimo di un dibattito
che rischia di travolgere le speranze della sua
"Cosa 2") mentre non se ne vede traccia nel
Polo. Ma la colpa non è dellUlivo. E qui sta la
differenza fra il Trasformismo che un liberale come
Benedetto Croce poteva in certa misura giustificare, e il
trasformismo (con la minuscola) che oggi sembra agitare
le acque del Polo.
Almeno a giudicare dalle cronache di queste
ultime settimane, si direbbe che lunica ragione che
ha spinto allennesima scissione nella diaspora
democristiana i cattolici del Polo, finora distinti nel
Ccd e nel Cdu, ma fedeli alleati di Berlusconi, è il
convincimento che il centrodestra, comè
strutturato adesso, non ha più in sé nessuna
possibilità di vincere la competizione con lUlivo
e tornare al governo del Paese. Questa è almeno la tesi
di Buttiglione, segretario del Cdu, condivisa da Cossiga.
Il quale ci aggiunge, di suo, la ben nota, sarcastica
vivacità di linguaggio e il disinteresse personale: il
Potere lui lo ha già avuto e usato, fino al vertice.
Giusto o sbagliato che sia, questo
convincimento può diventare la classica profezia che si
avvera da sola. Il Polo potrebbe anche essere tuttora una
formazione vincente, ma se lo si dilania scompaginando i
gruppi parlamentari che lo formano, dislocandone alcuni,
in tutto o in parte, fuori della leadership di Berlusconi
e della sua alleanza con Fini, si accelera la sua
distruzione e comunque si accentua la sua inefficacia
come strumento di opposizione in un sistema bipolare
dellalternanza.
Ciò che sgomenta molte persone, che non
seguono con particolare interesse le quotidiane vicende
della politica, è levidente assenza, nella
gestazione, nella nascita e nel battesimo della
formazione inventata da Cossiga, lUnione dei
democratici per la Repubblica, di una qualsiasi
indicazione di merito nei programmi e nelle idee.
Si dirà che è troppo presto per
parlare di questo: il neonato va ancora allattato al seno
materno, non tollera ancora cibi più sostanziosi. Ma il
personale politico che già vi ha aderito, o mostra di
averne lintenzione, è quanto di meno omogeneo
culturalmente si potrebbe immaginare: che cosa unisca
cattolici e laici, Mastella e Scognamiglio, Buttiglione,
Segni e Cicchitto, e così via, per ora nessuno lo sa.
Che cosa poi raccolga tutte queste persone di provenienze
così diverse attorno a Cossiga, la cui carriera politica
è tutta compresa nellarco che va dalla sinistra di
Base democristiana al pensiero liberal-democratico, è un
altro mistero (gaudioso?) della vicenda.
La risposta che viene data è che
lUnione nasce dal comune rifiuto di adattarsi al
risorgente egemonismo comunista del Pds, a cui lUdr
dichiara di voler essere alternativo (non altrettanto si
dice nei confronti di Prodi). Rifiuto
"obbligato", secondo Cossiga, dalla rinuncia di
Berlusconi e Fini al proprio anticomunismo, come
dimostrerebbe lintesa con DAlema sulle
riforme. Comunque sia, resta il fatto che di cose serie
si parla dallaltra parte magari litigando, e
sotto il ricatto di Rifondazione mentre nel
centrodestra si disputa almeno in apparenza
su chi sia il più anticomunista. Ma alla gente importa?
Beppe
Del Colle
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