Prima gli davano del ciarlatano,
oggi lo accolgono nelle Commissioni. Ma lui cosa pensa
del suo lavoro? È soddisfatto della conclusione cui è
arrivato? «Un medico non arriva mai a una conclusione»,
risponde. «Penso di aver trovato un margine sicuro ad
alcuni tumori. Altri mi resistono e mi umiliano. Ma non
metto mai da parte la curiosità: se un medico non è
curioso, non è scienziato». Adesso che lo chiamano scienziato, adesso che
Rosy Bindi se lo coccola, lui abbassa ancor di più il
capo e sventola quel batuffolo di capelli bianchi. Ha 86
anni e due occhi di pazienza infinita. Forse mai come
stamane sente tutta la fatica di essere il professor
Luigi Di Bella. Ieri a Bologna il professor Umberto
Veronesi ha detto: «Abbiamo in perfetto accordo
esaminato questa terapia che abbiamo denominato MDB,
cioè Multiterapia Di Bella...».
Lui si è svegliato come sempre
alle 6. Piove. Poi lalba colora di grigio il cielo
e la processione del dolore si infila in via Marianini
numero 45, Modena, una villetta ad un piano, un cartello
che dice di non suonare, che il professore non prende
nuovi appuntamenti. La sala daspetto ha due divani,
uno ricoperto con un telo verde, laltro un canapè
bordeaux. Sulle pareti più volte qui e là torna un
piccolo quadretto con le parole di Platone sulla nascita
della tirannia (Repubblica, libro VIII). Nello
studio ci sono due pazienti. È la prima visita della
mattina. Dura da due ore. Lui ogni tanto scosta la tenda
e vede la gente che aspetta, soffre e spera. Visita tutti
i giorni qualcuno. Il resto del tempo lo passa al primo
piano nei laboratori, zeppi di strumenti sofisticati.
Solo alla domenica sale fino a Fanano e mette due fiori
sulla tomba di Deda, la sua prima segretaria morta nel
1988, che con lui ha diviso poche soddisfazioni e tante
delusioni. Neppure al cimitero riesce a stare in pace il
vecchio professore.

Il professor Di Bella nel suo
studio.
Ora si apre la porta dello studio:
un lettino di ferro piegato da una parte, tre poltroncine
di velluto, uno scrittoio con le bordature di cuoio e
libri, libri, libri che paiono precipitare giù.
- Professore, è soddisfatto
della sua vita?
«Non me lo sono mai chiesto.
Faccio il mio dovere. Studio. Un medico non deve mai
smettere di studiare».
«Non so. Quello che conta è poter
dire di aver salvato la vita. È la ragione della mia
professione. Sono contento».
- Cosa vuol dire per un
medico lavorare con scienza e coscienza?
«Avere carattere, educazione,
moralità e onestà».
- Nixon nel 1971 firmò il
National Cancer Act promettendo la vittoria
definitiva sul male entro il secolo...
«Una stupidaggine. Da quel
documento traspare la coscienza dellimpotenza
contro il male e la stoltezza di paragonare la lotta al
cancro a uno scontro militare. Retorica e basta, che suscitò
un vespaio di critiche, di sospetti e calunnie.
Cerano in gioco costi colossali, ma era prevedibile
che si sarebbero avuti pochi risultati».
«Perché si confonde sempre la
malattia con il sintomo. La questione più importante
appare la soppressione del dolore. Nelle cartelle
cliniche che leggo, la malattia passa in secondo piano.
Invece i sintomi possono essere comuni a molte
malattie».
- Secondo lei, i medici
devono cambiare modo di fare le diagnosi?
«Non ho alcuna autorità per dare
consigli».

Il professor Di Bella durante una
visita.
- Ma lei ha insegnato
alluniversità...
«Sì, fisiologia, che è un
po la logica della medicina, lordinamento
delle funzioni dellorganismo. Oggi è una scienza
poco considerata».
- Che giudizio dà dello
spettacolo offerto nelle scorse settimane?
«Non è stato bello vedere i
medici azzuffarsi così sulla vita».
«Cè molta leggerezza. Si
crede troppo al fatto che si è imparato già tutto.
Forse non si poteva evitare».
- Con il cancro bisogna
convivere?
«No. Si può convivere con alcuni
tipi di cancro, cioè vivere, lavorare normalmente. Con
il mio protocollo, in presenza di metastasi, dopo incerte
chemioterapie, si può raggiungere, per esempio con il
melanoma, un modus vivendi».
- La maggior parte dei medici
non è daccordo. Perché?
«Perché la gente non approva
questa mentalità: una malattia va sconfitta, altrimenti
si crea malcontento e malessere. Con la mia cura un
tumore può rimanere inalterato a lungo».
- Lei che risultati ha
ottenuto?
«Io dico che nulla consente di
prevedere con sufficiente sicurezza come può andare a
finire. Con il mio protocollo, eventualmente integrato da
radioterapie, i migliori risultati si sono ottenuti nelle
metastasi ossee e nei mielomi».
- Il cosiddetto occhio
clinico del medico quanto deve contare?
«Molto. La tecnica dà risultati
meravigliosi. Ma solo il medico può valutare come si
reagisce e resiste alle terapie. Un ecocardiogramma con
sfoggio di dati e privo di conclusioni vale meno di un
esperto esame clinico al letto dellammalato».
- La medicina oggi è troppo
aggressiva?
«A volte sì. Ma la colpa è dei
pazienti, che non sanno aspettare, che non hanno fiducia
nella gradualità di un farmaco. Si vuole estirpare tutto
e subito. Così oggi i medici più ascoltati sono i
chirurghi».
«Sì. La chirurgia è la chiara
espressione della coscienza della mancanza di un mezzo di
guarigione. Di solito le chemio o le radioterapie
preoperatorie non migliorano apprezzabilmente la
prognosi. A volte si esagera, credendo che eliminando un
focolaio di cancro si arrivi alla guarigione».
- Si dice che se non risorge
dopo cinque anni si è guariti...
«Dicono. Io ho visto ritorni dopo
25 anni».
- Perché si muore così
tanto di tumore?
«Perché le cure sono sbagliate:
troppa chemio e chirurgia, visto che sono fornite gratis.
Migliaia di dati, senza diagnosi esatte, troppo
cortisone».
- Professore, che effetto le
fa prima essere definito ciarlatano e ora essere
accolto nelle Commissioni?
«Mi fa dispiacere. Ma io non vivo
del giudizio degli altri».
- Pensa di essere arrivato ad
una conclusione?
«Un medico non arriva mai ad una
conclusione. Penso di aver trovato un argine sicuro ad
alcuni tipi di tumore. Altri mi resistono e mi umiliano.
Ma non metto mai da parte la curiosità di sapere. Se un
medico non è curioso non è scienziato».
- Cosa sono i medici oggi:
più scienziati o più amministratori?
«Non prendiamocela con i medici.
Oggi sono sottoposti a pressioni economiche e sociali. È
colpevole chi è avido di denaro».
- Come fa un giovane medico a
studiare il suo protocollo?
«La parola magica in Italia è:
arrangiarsi. Io lho imparata bene. Sfruttare ogni
occasione e studiare».
- Quanti sono i suoi allievi?
«Pochi».
- Cè chi ha chiesto di
ammettere il suo protocollo per "uso
compassionevole". Lei cosa ha provato?
«Disprezzo. E poi compassione per
i malati considerati cose inanimate. È una mentalità
diffusa».
- Cosa pensa del ministro
Rosy Bindi?
«È stata vittima del sistema, ma
si è difesa bene. E adesso mi ha capito».
- Professore, perché visita
gratis?
«Ho già la mia pensione, mi
basta».
Alberto Bobbio
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