«Oggi anche
questa terribile malattia si può curare», dice padre
Gianluigi Valtorta. Ma la medicina più efficace è
unaltra e non ha prezzo: è lamore. È un pomeriggio triste per il Piccolo Gregge.
Se nè appena andato Alessandro: aveva 31 anni e
tanta voglia di vivere. Stava lottando come un leone
contro lAids e alla fine si è arreso. Ma
nonostante questo padre Gianluigi ci accoglie con il
sorriso e una stretta di mano sincera.
Vive accanto ai malati 24 ore al
giorno: divide con loro il pranzo e la cena, il lavoro e
la preghiera. Ha subìto due interventi al cuore e perso
entrambi i genitori. Eppure, mai come negli ultimi anni
di servizio nella comunità, è orgoglioso e felice di
essere prete.
Gianluigi Valtorta, 37 anni,
brianzolo, appartiene a un Ordine nato alla fine del
Cinquecento per servire i malati negli ospedali e nei
lazzaretti: i Camilliani. In Italia sono circa 500, poco
più di mille nel mondo, divisi tra sacerdoti e fratelli.
Oltre ai tradizionali voti di castità, povertà e
obbedienza, ne hanno un quarto: lobbligo
dellassistenza corporale e spirituale agli infermi,
anche a costo della vita.
Ed è quello che fanno padre
Gianluigi, fra Valentino e padre Pierpaolo, con dedizione
assoluta alla comunità del Piccolo Gregge di
Castellanza, in provincia di Varese, che ospita malati di
Aids conclamato.
Il centro è nato nel 1993 per
rispondere alle esigenze del territorio, che richiedeva
strutture con personale specializzato, capaci di
accogliere e assistere malati, a volte senza casa o
abbandonati dalle famiglie.
Racconta padre Gianluigi: «Erano
gli anni in cui esplodeva la malattia: quattromila casi
nel 92, oltre cinquemila nel 94, quasi
seimila nel 95. Ma non abbiamo scelto lAids
perché era di moda. Questa è sempre stata la nostra
casa, un seminario dellOrdine. Otto anni fa, quando
siamo stati costretti a chiuderlo in parte per mancanza
di vocazioni, ci siamo chiesti che cosa farne, come
trasformarlo. Non è stato difficile: siamo Camilliani,
al centro della nostra vita ci sono i malati, e quelli
colpiti dallAids erano lemergenza più grave.
Così è nata la comunità: labbiamo chiamata
Piccolo Gregge perché il nostro fondatore, Camillo De
Lellis, definì così i suoi primi compagni di strada».
Dietro
cè una famiglia che non ce la fa più
In cinque anni a Castellanza sono stati
accolti 103 malati: in maggior parte ragazzi sui 30 anni,
maschi e femmine, con un passato spesso legato alla
tossicodipendenza. Si avvicinano alla comunità
attraverso lospedale o i servizi sociali. Di solito
dietro cè una famiglia che non ce la fa più, che
si abbandona alla disperazione. Oggi gli ospiti sono una
decina: hanno a disposizione cure efficaci, anche se
costosissime, che danno risultati concreti: nel 1996 al
Piccolo Gregge sono morti 26 ragazzi, nel 1997 undici,
meno della metà.
Spiega padre Valtorta: «Molti non
lo sanno, ma lAids è una malattia curabile. Gli
studi più recenti dimostrano che i farmaci consentono di
diminuire il rischio di malattia per i sieropositivi,
soprattutto se la terapia inizia prima che si manifestino
i sintomi. Inoltre, si può curare gran parte delle
manifestazioni dellinfezione e allungare la
sopravvivenza dei malati di Aids, migliorandone la
qualità della vita».
Lo dimostra la felicità di
Fiorella, 47 anni. È appena tornata dallospedale,
dovè stata ricoverata per una colite.
Laspetta una grande festa e labbraccio della
comunità.
Al centro di Castellanza le cure
più avanzate non mancano. Ma cè una medicina che
non ha prezzo: lamore e la dedizione di oltre 20
volontari, che una volta la settimana sono al servizio
dei malati. E poi cè Maria Rosa Moia, 48 anni, che
dopo 25 anni di lavoro come infermiera in vari ospedali
ha abbandonato la professione per dedicarsi a tempo pieno
al Piccolo Gregge.
Maria Rosa è schiva, discreta: si
nasconde al taccuino e al fotografo. Solo qualche
battuta. Racconta: «Da infermiera avevo poche occasioni
per dedicarmi a tempo pieno ai malati: difficile andare
oltre il freddo rapporto professionale. Qui è diverso:
facciamo parte gli uni degli altri, con i ragazzi si
condividono crisi, paure, tensioni, gioie, dolori. Certo,
dietro la mia scelta cè una forte motivazione di
fede. È scritto nel Vangelo: "Qualsiasi cosa avrete
fatto a uno di questi piccoli, lavrete fatto a
me". È quel "lavrete fatto a me"
che mi ha cambiato la vita».
Tra i volontari
cè anche Fredj Suter, 51 anni, primario del
reparto Malattie infettive allospedale di Busto
Arsizio. Dice Maria Rosa: «Un fior di professionista che
appena può viene a visitare e segue le terapie. Otto
anni fa ha saputo che i Camilliani avevano intenzione di
ristrutturare il seminario per farne un centro di
assistenza terapeutica e spirituale. Ha voluto conoscerci
e da allora segue la comunità come un volontario
qualsiasi, con grande umiltà e senso di solidarietà,
nonostante i congressi e gli impegni legati alla sua
brillante attività».
Qui
nessuno si tira indietro
Il Piccolo Gregge è anche un centro di
accoglienza per piccoli gruppi, che sono accolti a
Castellanza per periodi di studio e di ritiro spirituale.
Ma limpegno maggiore è certamente quello con i
malati. La giornata dei padri Camilliani inizia alle 6.30
con le Lodi. Alle 7, la messa in una chiesa della città.
Poi la colazione in comunità e uno spazio dedicato alla
preghiera.
La mattinata è dedicata alle
visite mediche e alle pulizie: nessuno si tira indietro,
neppure i malati, e chi può dà una mano. Alle 13.30 il
pranzo: ovviamente, tutti insieme. Poi il silenzio, che
è non soltanto riposo, ma raccoglimento. Alle 19.15 i
Vespri, poi la cena. La sera di solito la si passa
davanti alla Tv: è lora dei confronti, delle
confidenze, del dialogo. Spesso è il momento della
speranza, qualche volta dellangoscia.
La scomparsa improvvisa di
Alessandro ha scosso la comunità, è dipinta sui volti
segnati dal dolore. Confida padre Gianluigi: «Capita che
qualcuno muoia disperato. Allora ci sentiamo impotenti,
vuoti, privi di energia. Ma il più delle volte accade il
contrario: chi muore si riconcilia con la vita. E
paradossalmente per noi è ancora più dura, perché
qualcosa di te se ne va: è come perdere un dono, provi
un sentimento di gratitudine.
«Come nel caso di Pasqualino, 39
anni, uno dei più "tosti": difficile da
gestire, non perdeva occasione di seminare zizzania. È
stato con noi più di un anno e la malattia è sempre
peggiorata. Ma alla fine, quando ha capito che arrivava
davvero lora delladdio, è diventato un
agnellino. Lultimo giorno mi ha mandato a chiamare:
voleva avere tutti gli amici e i volontari intorno. Ha
chiesto scusa e si è acceso una sigaretta. Se ne è
andato con un sorriso: il significato del nostro impegno
per la vita in fondo è tutto qui».
Pino Pignatta
Segue: Una "task force" per i
bambini
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