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Il
progetto approvato dal Governo sta alimentando le
speranze di migliaia di persone, che affollano i
competenti uffici comunali per chiedere di aprire nuovi
esercizi. Ma labolizione delle licenze non
significa automaticamente che chiunque lo voglia possa
alzare la saracinesca, perché, avvertono gli esperti,
non ci si può improvvisare negozianti da un giorno
allaltro. Inoltre rimangono irrisolti i vecchi
problemi legati al proliferare di supermercati e
ipermercati. «Ho uno spazio libero, vorrei aprire un
negozio». «Va bene, signora, ma di che tipo?». «Mah,
mi piacerebbe fare la pasta fresca, cucino piuttosto
bene...». «Allora deve inviare la domanda
allufficio protocollo e attendere
lautorizzazione». «Ma non cè la
liberalizzazione?». «No, signora, la riforma deve
essere approvata dal Parlamento». «E intanto cosa
faccio?». «Per altri esercizi commerciali la
liberalizzazione è già in atto». «Beh, allora, forse,
potrei provare con una profumeria...».
Siamo al terzo piano degli uffici
del Comune di Milano. Davanti allo sportello
"autorizzazioni commerciali", stanza 321,
cè la solita fila di commercianti, aspiranti
commercianti, ragionieri e amministratori che attendono
il loro turno mentre danno unultima occhiata ai
tanti documenti richiesti da una burocrazia implacabile.
«Ho perso il conto delle file che ho dovuto fare», dice
Simone Calini, 33 anni, titolare di una cartoleria, «ho
atteso mesi prima di ottenere il nulla osta al
trasferimento del mio negozio in unaltra zona, ora
sono qui perché non si trova più la mia licenza:
lhanno persa».
Il cartolaio alle prese con le
rigide norme che disciplinano il commercio con la vecchia
legge 426 del 1971 e la signora della "pasta
fresca" sono i due volti di un settore che negli
ultimi anni ha cambiato pelle. Un settore che è alla
faticosa ricerca di una nuova identità e che presto,
grazie alla riforma sulla liberalizzazione del commercio,
potrebbe essere oggetto di una rivoluzione radicale.
«Nei giorni scorsi un gran numero
di improvvisati commercianti si è rivolto al nostro
sportello, molti hanno telefonato», racconta Ottavio
Isola, direttore della Ripartizione commercio del Comune
di Milano. «Ma il commercio non è unattività che
tutti possono svolgere senza esperienza o adeguata
preparazione. Molti apprendisti stregoni con questa
riforma si butteranno nella mischia e dopo tre mesi al
massimo chiuderanno. Già cè una forte selezione
tra i negozi più marginali. Nelle zone periferiche le
quotazioni delle licenze sono crollate. Sa quanto costa
una salumeria? Ormai possono bastare dieci milioni».
Ma anche se negli ultimi anni hanno
chiuso non meno di 250 mila negozi in tutta Italia, 1.300
solo a Milano nel corso del 1997, molti, nonostante i
limiti ancora esistenti, per sfuggire alla disoccupazione
tentano limpervia strada del commercio. Sempre a
Milano sono state presentate nel 97 oltre 2.500
domande per ottenere le più svariate autorizzazioni. Al
Punto nuova impresa, uno sportello di consulenza per gli
aspiranti imprenditori della Camera di commercio, il 38
per cento delle persone che richiede informazioni vuole
avviare una nuova attività commerciale. Di questi, il
17,5 per cento desidera aprire un negozio. Mentre il 41,7
per cento vorrebbe avviare unattività nel
terziario, un settore molto affine a quello del
commercio. Solo il 6 per cento chiede informazioni per
diventare artigiano e addirittura esigua risulta essere
la percentuale degli aspiranti agricoltori (2,3 per
cento). Il Punto nuova impresa di Milano, che è stato
utilizzato da 44 mila persone dal settembre 1994 a oggi,
è un piccolo spaccato dei desideri della folta schiera
di coloro che vogliono mettersi in proprio puntando sul
commercio. Ma tra il sogno e la realtà il divario è
incolmabile. Eppure, assicurano al Punto nuova impresa,
la percentuale di quelli che realizzano il sogno tocca il
40 per cento.
La riforma del commercio, appena
approvata dal Consiglio dei ministri, promette dunque di
incoraggiare ulteriormente la voglia daffari degli
italiani grazie allabolizione delle autorizzazioni
e alla riduzione delle tabelle merceologiche da 14 a due:
alimentari e non. Ma già dal 1996 è in atto una
semiliberalizzazione che ha portato a un drastico
abbattimento delle tabelle merceologiche, da 90 a 14. In
pratica, sono a "numero chiuso" e sottoposti a
vincolo solo gli esercizi di generi alimentari e quelli
di abbigliamento. Per il resto lautorizzazione alla
vendita è automatica. Accade così che possano convivere
luna accanto allaltra due o tre cartolerie.
La riforma rischia proprio di
esasperare quello che in misura ridotta accade già per
alcuni esercizi, coinvolgendo in una feroce concorrenza
anche salumieri, panettieri, macellai.
«Tre anni fa ho
speso 200 milioni per rilevare la licenza di questa
salumeria-gastronomia», racconta Gaetano DellOrto,
«è giusto che fra qualche tempo un concorrente possa
avviare la stessa attività a due passi dal mio negozio e
senza spendere una lira?». Sullazzeramento del
valore delle licenze e sulla liberalizzazione totale del
mercato le organizzazioni di categoria hanno espresso
profonde critiche. Ma con molte differenze tra
Confcommercio, rappresentante delle medie e grandi
imprese del settore, e Confesercenti, che, pur criticando
la riforma, è sostanzialmente daccordo.
«La vecchia normativa non regge
più», dice Marco Venturi, segretario generale della
Confesercenti. «Nella riforma ci sono molti punti
positivi, ma non si può passare improvvisamente da un
sistema antiquato alla deregulation totale. Devono
essere introdotti alcuni correttivi, come il vincolo
dellautorizzazione per gli esercizi con una
superficie da 150 metri quadrati in su e non 300 come
indicato dal Governo. Chiediamo inoltre una gradualità
nellapplicazione della legge per salvaguardare il
valore delle licenze».
Segnali più bellicosi arrivano
dalla Confcommercio, che teme una proliferazione
indiscriminata dei piccoli negozi e una penalizzazione
della grande distribuzione. «Il rischio», sostiene
Sergio Billè, «è il Far West conseguente
allassenza di regole dove ad essere penalizzato è
anche il consumatore».
Ma da parte dei
consumatori, invece, arrivano pareri favorevoli alla
riforma. «Una delle benemerite novità della riforma del
commercio», sottolinea lUnione nazionale
consumatori, «è senzaltro il divieto delle aste
televisive, alle quali partecipano molti sprovveduti
senza sapere che i "compari" dellastatore
telefonano per rialzare artificiosamente il prezzo». Al
di là di questo aspetto non del tutto secondario,
lassociazione dei consumatori ritiene che la nuova
legge sia un passo inevitabile per adeguare la
legislazione italiana a quella dei Paesi europei più
avanzati.
«Ma questa riforma, se non viene
integrata e modificata, è unoccasione mancata»,
afferma Riccardo Garosci, parlamentare europeo,
presidente dellIntergruppo commercio e
distribuzione e relatore del "libro verde" sul
commercio in Europa. «Il sistema deve evolversi nel
senso della liberalizzazione, ma occorre tener conto
della specificità italiana garantendo tutte le forme di
distribuzione: sarà poi il consumatore a scegliere. Non
è poi affrontato il problema della desertificazione dei
centri storici, dove invece bisogna agire favorendo una
concertazione tra organizzazioni dei commercianti e
Comune. La riforma, inoltre, non affronta il tema della
formazione, e curiosamente lascia alle edicole il
monopolio della vendita dei giornali».
Il parziale blocco della grande
distribuzione è un altro punto controverso della
riforma. Secondo i dati di InfoCamere, tra gennaio e
settembre 1997 hanno dovuto chiudere 22.549 negozi. E
molti sostengono che la causa principale della moria è
da attribuire alleccessiva crescita dei
supermercati. «Ma non si può da una parte liberalizzare
e dallaltra regolamentare, credendo di arrestare un
fenomeno economico», dice Garosci; «piccoli negozi e
grande distribuzione offrono servizi molto diversi».
Ma le saracinesche continuano ad
abbassarsi per sempre. La regione più colpita dalla
chiusura degli esercizi di generi alimentari è la
Lombardia, dove tra gennaio e settembre hanno cessato
lattività 1.053 negozi. Milano è ormai una
metropoli assediata da una cintura di centri commerciali
e ipermercati. E tra qualche mese potrebbe chiudere una
delle ultime salumerie del centro storico. Prosciutti e
scatolette sono già stati tolti dagli antichi scaffali.
Ugo Subbacchi, 70 anni, in via Festa del Perdono dal
1951, attende malinconicamente di abbassare per
lultima volta la saracinesca. Lo sfratto è in
agguato. E gli affitti nel centro sono proibitivi.
Giuseppe Altamore
Segue: I punti principali della riforma
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