 |
Si
sta riaprendo la stagione congressuale: i partiti si
riuniscono, discutono, presentano programmi, confermano o
cambiano la loro classe dirigente. Una volta tutto si
scaricava sul Governo. Ora non più, o assai meno, anche
per mancanza di alternative. A metà febbraio avremo lassemblea con
cui il Pds tenterà di lanciare la sua "Cosa
due", ultimamente definita, dopo molte incertezze e
aspri contrasti interni, «una forza politica federativa
tra soggetti che non si sciolgono». Alla fine dello
stesso mese Alleanza nazionale presenterà a Verona il
suo "programma di governo" centrato su due
temi: "Una politica economica per lo sviluppo"
e "Popoli, conoscenza, identità fra innovazione e
tradizione".
Il 18 aprile (a cinquantanni
dalla grande vittoria elettorale della Dc sul Fronte
popolare) dovrebbero realizzarsi due altri appuntamenti
nel centrodestra: il primo congresso nazionale di Forza
Italia, e il varo della Federazione di centro fra gli ex
dc e i laici centristi, di cui Cossiga è oggi il profeta
e forse domani il leader.
Senza volerlo, eccoci ripiombati
nel tono consueto degli editoriali politici di Prima
repubblica: i partiti si riuniscono, discutono,
presentano programmi, confermano o cambiano classe
dirigente. Una volta le stagioni congressuali finivano,
in genere, con una crisi di Governo. I partiti
scaricavano i loro problemi di schieramento e di potere
interno sullEsecutivo: era il segno più evidente
della prevalenza delle segreterie benché prive di
rilevanza costituzionale rispetto ai primi
ministri, titolari di un potere costituzionale, ma privi
di potere reale.
Nonostante le apparenze, oggi una
differenza rispetto al passato esiste: è molto più
difficile non diciamo impossibile scaricare
sul Governo le tensioni nei partiti e fra i partiti. Il
fenomeno ha motivazioni diverse. La prima è strettamente
contingente: il Governo Prodi, come dice Mino
Martinazzoli, «è il meno peggio che gli italiani
potessero aspettarsi», e procede fra contraddizioni,
andirivieni, errori di comportamento, difficoltà a
districarsi fra le identità diverse della sua
maggioranza, verso il suo traguardo irrinunciabile,
lingresso nella moneta unica europea fin
dallinizio.
Una crisi di Governo oggi sarebbe
una follia, come si disse giustamente nellautunno
scorso di fronte alla minaccia di uscita di Rifondazione
comunista dalla maggioranza. E nessuno oggi sarebbe in
grado di proporla e di sostenerla fornendo soluzioni
immediate ragionevoli.
Il secondo motivo di differenza fra
Prima e Seconda repubblica è la diversa natura delle
coalizioni in campo, determinata dalla nuova legge
elettorale maggioritaria che ha imposto la nascita di due
poli concorrenti (più la Lega da una parte e
Rifondazione comunista dallaltra). Prima ogni
partito aveva pienezza di vita autonoma, e il potere di
interdizione dei "minori" sui
"maggiori" era fortissimo. Ora non più, o
assai meno.
Oggi nel Polo sia i centristi ex dc sia gli
ex missini devono a Berlusconi quasi tutto: i voti per
lelezione in Parlamento o lo storico
"sdoganamento" rispetto al passato fascista.
NellUlivo la situazione è bifronte: da un lato il
Pds, pur essendo il maggior partito italiano (con uno
scarso 21 per cento, mentre la Dc ai suoi bei tempi ne
aveva il doppio), non può fare a meno dei
"popolari", dei "rinnovatori", dei
"verdi", dei laici di sinistra, né tutti
questi possono fare a meno del Pds; ma lUlivo in
sé raccoglie nel Paese molti più consensi di quanti ne
ricevano i partiti che lo compongono, e le vittorie dei
suoi candidati sindaco confermano costantemente in questo
senso lesito delle "politiche" del 21
aprile 1996.
Nel Polo, dunque, la vera forza
dattrazione è costituita da un uomo,
nellUlivo da unidea. Ma capita questo: nel
Polo si discute sempre più apertamente e pesantemente
luomo, frenato sia dalla sua impreparazione alla
politica (è diventato un "grande" facendo con
successo tuttaltre cose), sia dal conflitto
dinteressi da cui non riesce a districarsi.
NellUlivo lidea divenuta cosa concreta
nel programma politico originario è tenuta in
vita dallazione di governo, ma a mano a mano che
questa azione raggiunge i suoi scopi cresce
parallelamente la naturale inclinazione di tutti i
partiti a ridarsi una propria identità specifica, e
questo li porta fatalmente a crisi nei rapporti fra di
loro (senza, finora, "scaricarsi" sul Governo:
ma fino a quando?).
Tutto questo non capita perché gli uomini, e
particolarmente i politici, siano malvagi, ma perché
viviamo in democrazia, un sistema basato sul confronto e
sul compromesso fra interessi diversi, rappresentati da
uomini e partiti naturalmente diversi fra loro. Se oggi
il Pds e il Ppi si scontrano dentro lUlivo sul tema
della Giustizia è perché le loro culture e le loro
tradizioni sono differenti. Appare dunque ingiusto, ad
esempio, giudicare i loro contrastanti comportamenti nel
"caso Previti" inchiodando luno e
laltro a un pregiudizio: il Ppi avrebbe finto il
ricorso alla "libertà di coscienza" dei suoi
deputati perché voleva dare una punizione al Pool di
Milano, il Pds avrebbe votato compatto per larresto
del deputato di Forza Italia perché è alla testa del
"partito dei pubblici ministeri", finora molto
clementi verso le malefatte ex o post comuniste.
È tuttavia innegabile che dentro
lUlivo cresce, da un lato, lirrequietezza di
DAlema che vede sfumare sempre più
allorizzonte il giorno in cui un uomo del suo
partito sarà chiamato a fare il capo del Governo; e
dallaltro il timore che i suoi alleati nutrono
verso un risorgente egemonismo comunista. La riforma
costituzionale potrebbe fare le spese di questa
serpeggiante contrapposizione: non molto dei risultati
della Bicamerale piace ai "popolari", mentre
DAlema li vorrebbe intoccabili.
Beppe
Del Colle
|