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Si comincia con la visione del popolo eletto che giunge nella Terra Promessa e che deve ancora sostenere dure e lunghe prove prima di realizzare il disegno che negli anni della diaspora aveva sostenuto e vivificato la fede delle tribù d’Israele. Da questo avvio emerge l’attesa del Messia, che si era manifestata e diffusa nel popolo ebreo come esigenza di una liberazione totale, e di un re che sapesse dare al suo popolo la piena coscienza di una ritrovata unità e di una rinnovata sicurezza. L’inizio del film svela subito le carte di Roberto Rossellini, non molto segrete, a partire dal 1964 (Il Messia è del 1975), da quando il regista di Roma città aperta diresse La presa del potere da parte di Luigi XIV, film per la Tv in cui uno dei padri del neorealismo decise di cambiare strada e seguirne una diversa rispetto a quella fino ad allora percorsa. Il cinema racconta con i moduli tipici del romanzo. Anche quando non si affida a motivi di pura fantasia, anche quando illustra vicende storiche, il cinema segue le vie battute dalla narrativa, tanto è vero che sullo schermo la Storia finisce quasi sempre per essere romanzata. Rossellini, dal film sul Re Sole in poi, decise, invece, di affrontare la Storia con il taglio della cronaca. Niente situazioni aggrovigliate e melodrammatiche per il solo gusto dell’intreccio, niente dialoghi letterari, niente personaggi pieghettati, secondo le convenzioni psicologiche che determinano un preciso contrasto di caratteri, ma soltanto i puri fatti, così come si svolsero, nella loro immediatezza ed essenzialità. Da questa scelta, probabilmente, dipenderà una minor efficacia spettacolare, ma senza dubbio ne guadagna l’interesse, oltre che la credibilità e la comprensibilità, per le vicende storiche. Rossellini fece questa scelta per le sue "esplorazioni" televisive nella Storia, per La presa del potere da parte di Luigi XIV, Socrate, Gli Atti degli Apostoli, Pascal, Agostino d’Ippona, L’età di Cosimo, Cartesio, ma la fece anche per il cinema, al quale tornò da buon figliuol prodigo arricchito da nuove esperienze, prima con Anno Uno (biografia di Alcide De Gasperi) nel 1974 e, l’anno successivo, con Il Messia. Rendere testimonianza alla verità Di fronte a un film del genere, le domande che sorgono subito spontanee riguardano quale dei quattro Vangeli abbia più richiamato l’attenzione del Maestro e come quest’ultimo lo abbia trascritto per lo schermo. Per quanto concerne la prima domanda, il film si ispira a tutti e quattro i Vangeli, ma pone un accento particolare su quello di Giovanni, il più vicino al cuore di Rossellini, al suo temperamento estroverso, al suo calore umano. Il Vangelo di Giovanni sposa, infatti, alla bellezza (che evidentemente ha colpito la sensibilità del Rossellini-artista) una serie di precisazioni storiche e topografiche (che hanno colpito la sensibilità del Rossellini-cronista e della sua predilezione per un cinema di tipo didattico), dimostrandosi così saldamente legato alla Storia. Precisato questo, c’è poi da vedere come Rossellini abbia letto il Vangelo di Giovanni, quello in cui si avverte la costante preoccupazione di rendere testimonianza alla verità, quello in cui si mettono in maggior rilievo gli splendori della divinità di Gesù, ma nel quale si rilevano contemporaneamente i tratti delicati della sua umanità. Anche qui Rossellini ha puntato all’essenziale, ma con la minuziosità del cronista, andando alla radice dei fatti e cercando di evidenziarne sempre i motivi. Che in questo caso sono anche storici e politici, oltre che religiosi. Oltre la limitatezza del finito Ecco, perciò, opportunamente sottolineato, come contrappunto alla predicazione di Cristo, il timore dei farisei, perché Gesù si rivolge a quel "popolo della terra" che rappresenta la parte più povera della scala sociale. Timore dettato dalla paura di perdere il loro potere, i loro privilegi, di inimicarsi i Romani e di essere coinvolti in una repressione. Seguendo questa linea, Rossellini dipana la sua matassa, dimostrando come l’attesa del Messia fosse da prima, e per la maggior parte del popolo ebraico, l’attesa di un salvatore materiale, civile e politico, e come soltanto in un secondo tempo pochi eletti, su molti chiamati, riuscirono a comprendere che il messaggio di Gesù era un messaggio che andava oltre la limitatezza del finito, era un messaggio di profondo valore spirituale e di totale liberazione dell’uomo. Questa gradualità, questa progressione di discorso, è svolta con apparente semplicità in un film che, invece, è il risultato di scelte precise, di passaggi dosati, di registri calibrati. E qui, Rossellini (che nella scenografia si rifà alla tradizione dei presepi) dà un’ulteriore spallata all’oleografia hollywoodiana, che prima del Vangelo secondo Matteo di Pasolini dettava legge nel filone cristologico. Ne Il Messia non incontriamo un Gesù a metà strada fra il tribuno della plebe e il predicatore straniato che si rivolge alla folla con distacco, ma un Gesù naturale, mischiato agli altri, uomo fra gli uomini, pur nella sua divinità.
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