Parliamo di un mancato collega, lo sa?». Gian
Carlo Caselli, 68 anni, procuratore generale della Repubblica di Torino,
comincia da lì, dal fatto che il papà di san Francesco di Sales voleva per
il proprio figlio una carriera da avvocato o, meglio, da magistrato; una
carriera che non c’è stata perché il giovane scelse altrimenti.
Caselli ragiona di questo apprezzato dottore della Chiesa dopo essersi
preparato con lo stesso puntiglio che usa per mettere in ordine idee, fatti
e argomenti prima di varcare la soglia dei tribunali. Sette pagine di
bloc-notes piene d’appunti riassumono ricerche, letture, nonché «due
chiacchiere con certi amici, preti e non», come lui stesso confida.
E aggiunge: «Ho frequentato le ultime classi delle scuole elementari, le
medie e il liceo classico dai Salesiani. Com’è noto, don Giovanni Bosco
fu debitore nei confronti di san Francesco di Sales, a partire dal nome per
la sua congregazione che volle chiamare, appunto, "salesiana"».
Eccolo, allora, san Francesco di Sales secondo una delle toghe più
famose d’Italia. «È un tipo tosto, che segue con determinazione la
propria vocazione anche contro i desideri paterni. Nato in Savoia, nel 1567,
da una famiglia aristocratica, studia diritto civile ed ecclesiastico a
Padova. Al ritorno, trova ad accoglierlo proprietà e un posto al tribunale
di Chambéry, ma lui agisce diversamente. Viene ordinato prete nel 1593».
«Sintetizza, armonizzandoli, elementi opposti», continua Caselli. «San
Francesco di Sales è serio, ma non cupo, anzi: lo raccontano solare,
allegro. Coltiva un forte senso della disciplina, ma sa anche distinguersi
per mitezza e mansuetudine. È molto colto, ma parla e scrive con
semplicità, desideroso di farsi capire da tutti. Tra le peculiarità delle
sue opere, mi riferisco sia all’Introduzione alla vita devota che
al Trattato dell’amore di Dio, oltreché alle sue numerosissime
lettere, spicca il dichiarato intento di forzare il ristretto perimetro
degli addetti ai lavori. Non a caso papa Pio XI lo proclama patrono dei
giornalisti. San Francesco di Sales si misura con la riforma protestante,
declinata nella sua forma più intransigente, quella che fa capo a Calvino
(nel 1602 è nominato vescovo di Ginevra, roccaforte calvinista, ndr.)»,
sottolinea ancora Caselli.
Rilancia il concilio di Trento
«Accetta la sfida. E rilancia, interpretando al meglio il concilio di
Trento. Conduce una vita sobria, testimonia la possibilità di essere fedeli
al Vangelo, indica la via della perfezione senza dimenticare che l’irruzione
del peccato ha reso zoppe le migliori intenzioni. Per lui l’umanità non
è massa dannata. Rifiuta la teoria della predestinazione. Si sforza di
seguire i singoli. È un instancabile direttore spirituale. Accompagna chi
gli chiede consigli senza imporre o soffocare. Tutto questo colpì don Bosco».
E Gian Carlo Caselli? «Riflettendo su san Francesco di Sales mi sono
chiesto cosa sia per me, oggi, la fede che professo», replica il
procuratore generale. «È la risposta alla domanda di senso che ci poniamo,
è sapienza biblica che spiega l’uomo all’uomo, è una certezza che non
genera torpore ma sprona a rimboccarsi le maniche. Sono un magistrato. Come
tale devo applicare la legge, senza sconti. Ma mettendo sempre la persona al
centro. E la persona non va schiacciata con il peso della colpa, ma semmai
recuperata. Se riconosco Gesù come Signore lo devo ai Salesiani. E, dunque,
anche un po’ a san Francesco di Sales».