Puntare lo sguardo sui "giovani
migranti" può dare un senso di ansia e di preoccupazione. Già da
tempo, per i figli degli immigrati e per le cosiddette seconde generazioni
si parla di integrazione come se fosse un rebus, la cui giusta soluzione
sembra ancora lontana.
Lo stesso messaggio del Papa, che a loro è dedicato in occasione della
Giornata mondiale delle migrazioni (13 gennaio), ne sottolinea le
criticità, acuite da normative che rendono difficile il loro effettivo
inserimento e da profittatori e mercanti di carne umana. Prevalgono però le
parole di fiducia e di speranza, e su queste punta la Migrantes quando
invita a guardare ai giovani migranti come a una "risorsa" e una
"provocazione".
Che siano una risorsa ce lo dicono continuamente economisti e demografi.
Ce lo dice il contesto sociale sempre più "plurale", sempre meno
campanilistico, con frontiere sempre meno marcate, dove i giovani migranti
giocano un ruolo decisivo per dare un colore più interetnico e
interculturale alla nostra società.
Finalmente i giovani migranti costringono a considerare l’immigrazione
come un fenomeno stabile e strutturale. E sono una provocazione per almeno
due settori, oltre all’integrazione: l’intercultura e la cittadinanza.
Sull’intercultura va rilevato il numero sempre più consistente degli
alunni stranieri presenti nelle scuole di ogni ordine e grado: nell’anno
scolastico 2006/2007 gli alunni stranieri rappresentavano il 5,6 per cento
della popolazione scolastica, vale a dire 501.494 unità, mentre dieci anni
fa erano poco più di 70.000.
Difficilmente ormai le classi sono monoetniche, e questo obbliga a un’educazione
sempre più interculturale, capace di rendere equilibrato il rapporto con la
diversità altrimenti dominato dalla paura e dalla diffidenza. Si tratta di
una sfida educativa che è stata colta in diversi documenti del ministero
della Pubblica istruzione a partire dal 1989 e che ora va rilanciata.
Per quanto riguarda la questione della cittadinanza, sono i giovani
minori, e in particolare quelli nati in Italia, da genitori stranieri a
spingere verso una necessaria riforma della legge, che metterebbe l’Italia
in linea con l’Unione europea. A fronte di un’immigrazione stanziale e
di una crescente sensibilità per i diritti dei minori, quasi tutti gli
Stati europei, infatti, hanno introdotto, o rafforzato se già l’avevano,
l’elemento dello ius soli, l’acquisto della cittadinanza per
nascita sul territorio. L’Italia invece è restata indietro, mantenendo
ancora il principio dello ius sanguinis, l’acquisto della
cittadinanza per discendenza o filiazione, cosicché il figlio di stranieri
nato in Italia non è italiano e solo la residenza legale e ininterrotta
fino al raggiungimento della maggiore età gli consentiranno di farne
richiesta e di diventare cittadino. È da augurarsi che si giunga a una
riforma in tempi brevi, perché le lungaggini rischiano di rafforzare la
costituzione di enclave che possono alimentare il senso di
disaffezione nei confronti del Paese.
A un certo punto del messaggio, il Papa si rivolge direttamente ai
"cari giovani migranti". Tra le raccomandazioni: «Preparatevi a
costruire una società più giusta e fraterna accanto ai vostri giovani
coetanei». Ricordano le parole del "padre" dei migranti, il beato
Giovanni Battista Scalabrini, quando già alla fine dell’Ottocento parlava
di emigrazione come di una provvidenza, perché «perfeziona le civiltà e
allarga il concetto di patria oltre i confini materiali, facendo patria dell’uomo
il mondo».
E ricordano un incontro tra Giovanni Paolo II e una marea di giovani che
aveva per titolo Eurhope, invenzione felice per dire "Europa
della speranza" (hope). I giovani sono le persone giuste per
costruire il futuro. Occorrono però persone intelligenti che non glielo
impediscano, e guide sagge che li sappiano aiutare.