Il ministro del Lavoro Cesare Damiano ama
paragonarsi a Tobia Tartaruga, personaggio dei cartoni animati di Walt
Disney. «Amo il lavoro quotidiano», spiega, «faticoso, un passo per
volta, verso il traguardo. Le corse di Max Leprotto le lascio ad altri».
Piemontese di Cuneo, 59 anni, Damiano guida il ministero del Lavoro dopo una
lunga carriera nel sindacato. Ha chiuso il 2007 con i funerali degli operai
morti alla ThyssenKrupp di Torino e ha aperto l’anno nuovo partecipando al
funerale dell’ultima vittima del rogo.
- Ministro Damiano, quella fabbrica chiuderà, che faranno i lavoratori?
«Non dobbiamo spegnere i riflettori. Dobbiamo pensare a quelle famiglie
e ai lavoratori che rimangono in una fabbrica destinata alla chiusura. Sono
le cose che questo mese chiederò ai vertici della ThyssenKrupp. Il loro
silenzio dei primi giorni è stato un grave errore al quale bisogna porre
rimedio».
- Questa tragedia ha riportato l’attenzione sulle fabbriche e gli
operai, un mondo che sembrava dimenticato...
«Sì, troppo sbrigativamente si è pensato che il postmoderno e il
postindustriale significassero la scomparsa delle fabbriche e degli operai.
Invece gli operai sono milioni di persone che rappresentano una parte
fondamentale dell’economia e del futuro di questo Paese. Dobbiamo
sforzarci di dare un riconoscimento sociale, retributivo e di carriera
adeguati allo sforzo che questi lavoratori compiono ogni giorno. È un
passaggio non solo politico e sociale, ma anche etico e culturale».
- Le norme per garantire la sicurezza sul lavoro bastano?
«In Italia le leggi sulla sicurezza ci sono. La 626 del 1994 è un’ottima
legge così come la 123 dell’agosto scorso voluta e realizzata da me e da
Livia Turco in tempo record».
- Allora mancano i controlli?
«Se noi sommiamo gli ispettori del ministero (e ne ho assunti 1.411),
quelli dei Carabinieri del mio nucleo, più quelli di Inps, Inail e Asl
arriviamo a poco più di 10.000 persone, mentre in Italia le imprese sono 4
milioni e mezzo. È ovvio che possiamo fare poco se le aziende non capiscono
che la sicurezza è una risorsa e un investimento, non un costo sul quale
risparmiare. Come Governo vogliamo un confronto con le parti sociali per
lanciare una grande campagna, anche culturale, sulla sicurezza in vista di
una seconda conferenza nazionale, come quella fatta a Napoli nel 2007».
- I sindacati minacciano uno sciopero generale se non si interviene sui
salari. È preoccupato?
«La dichiarazione di sciopero viene quando le vie del dialogo sono
chiuse e non danno risultati. Non siamo a questo punto. Lasciamo da parte i
proclami e continuiamo sulla strada della concertazione, che io sento nel
mio Dna. Dialoghiamo, tentiamo di risolvere i problemi con il compromesso,
una bellissima parola se intendiamo il compromesso alto, di qualità.
Perciò il Governo è impegnato a convocare le parti sociali per una nuova
concertazione».
- Ma il Governo che cosa offre? I salari aumenteranno?
«Il Governo ha compiuto un’azione sociale concreta molto visibile e
forte con l’ultima Finanziaria e il protocollo sul welfare, che migliora
la condizione dei pensionati e dei lavoratori. Investiamo circa 40 miliardi
di euro nei prossimi dieci anni a vantaggio dello Stato sociale. Ora
dobbiamo intervenire sui redditi medio-bassi da lavoro e da pensione. Come?
Con l’ultima Finanziaria, il Parlamento ha stabilito che le risorse in
più che derivano dalla lotta all’evasione fiscale dovranno essere
indirizzate a questo scopo. È un punto concreto di partenza e a marzo, con
la trimestrale di cassa, potremo verificare come vanno le cose».
- In milioni attendono il rinnovo dei contratti di lavoro. Che cosa
farete?
«Per i dipendenti pubblici il Governo farà la sua parte, per i privati
sono sempre disponibile, se mi viene chiesto dalle parti sociali, a un
intervento per aiutare la conclusione dei contratti. Ma di fronte a questa
emergenza (ormai il ritardo medio nel rinnovo dei contratti è di circa 12
mesi) credo sia necessaria una diversa cadenza del rinnovo. Oggi la durata
è di quattro anni, penso invece sia meglio rivedere normativa e salario
ogni tre anni, dando ai sindacati la possibilità di presentare le loro
piattaforme con un più ampio anticipo, oltre i tre mesi attualmente
previsti».
- Pensa sia giusto decurtare la busta paga dei lavoratori assenteisti?
«La lotta all’assenteismo va sempre fatta, ma senza generalizzare e
colpendo davvero solo chi ne approfitta. È interesse in primo luogo dei
lavoratori isolare i cattivi comportamenti. Poi, se la retribuzione, ma vale
anche per il pubblico impiego, è ancorata a logiche di merito,
partecipazione e produttività e non a logiche di distribuzione uniforme e
indistinta, è evidente che anche questo incentiva comportamenti virtuosi».
- In Italia ci sono ancora troppi lavoratori precari?
«In Italia il numero dei precari è analogo a quello degli altri Paesi
europei. Il problema è che nel nostro Paese troppo spesso la precarietà
diventa una trappola dalla quale non si esce. Tra l’altro da noi c’è l’anomalia
che il lavoro flessibile costa meno di quello stabile, ma sto cercando di
cambiare questa condizione e l’obiettivo a fine legislatura è di far
costare il lavoro flessibile un euro in più di quello stabile».
- Come accoglierebbe la nomina di Emma Marcegaglia alla presidenza della
Confindustria?
«La accoglierei bene. La Marcegaglia è una persona competente, giovane,
che sa di cosa parla. Sarebbe giusto che dopo tante parole sulla parità ci
siano dei fatti che portano le donne ai vertici delle istituzioni e delle
grandi organizzazioni».