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È una strana richiesta quella che i si
sentono rivolgere: da un lato ritirarsi dall’attività professionale per
fare spazio ai giovani, dall’altro di restare al lavoro per non gravare
sul sistema pensionistico. «Un serbatoio di esperienza trattato come un
problema», sintetizza Marco Fabio Sartori, presidente di Italia
Lavoro, che ha promosso un’indagine capillare in collaborazione con la
Liuc Università Carlo Cattaneo di Castellanza sulla situazione lavorativa
degli over 50, mettendo a confronto diverse esperienze europee.
Le previsioni demografiche, secondo i risultati della ricerca, sono
drammatiche, e mentre oggi la fascia di popolazione più numerosa è quella
dei trentenni, fra quarant’anni sarà composta dalla stessa generazione,
ormai settantenne, con tutte le conseguenze immaginabili. Paesi come
Svizzera, Olanda, Danimarca, Svezia gestiscono l’uscita dal lavoro in modo
graduale, consentendo una sorta di pensione part-time basata su una
diminuzione del tempo dedicato al lavoro e si comincia a usufruire di parte
della pensione, che pure continua a maturare. «Ci si mantiene così attivi
più a lungo», spiega Sartori, «e al tempo stesso si attenua in qualche
modo il carico previdenziale e lo "stacco", il più delle volte
pesante, tra la frenesia della vita lavorativa e l’improvviso vuoto del
pensionamento. Uno stacco che in Italia è spesso troppo brusco, oltre che
in molti casi prematuro». «Tra i 55 e i 64 anni lavora solo il 31 per cento della popolazione», aggiunge Gianfranco Rebora, già rettore della Liuc Castellanza e coordinatore della ricerca. «A tale percentuale, tuttavia, va aggiunta una rilevante quota di impiego non dichiarato. Oltre il 95 per cento di coloro che in questa fascia d’età non lavorano, non cerca occupazione. Inoltre, la durata media della vita si allunga, mentre il numero di dipendenti in questa fascia d’età si riduce per l’atteggiamento delle aziende, che non solo usano pochissimo il part-time per i lavoratori maturi, ma li espellono in gran numero dal ciclo produttivo. Costano, li si deve pagare a stipendio pieno, e con gli scatti d’anzianità; meglio assumere un giovane precario, per dare una spiegazione brutale ma chiara del meccanismo. I sindacati, da parte loro, sono spesso spinti ad accettare il prepensionamento come ammortizzatore sociale. Quando non vi sono ancora i requisiti, è un dramma: c’è chi rischia di essere considerato "vecchio" ben prima dei 50 anni. Paradossi di una società fondata sulla conoscenza, ma che non valorizza l’esperienza». Sempre più anziani Ma una via d’uscita c’è: «In Italia», sottolinea l’amministratore
delegato di Italia Lavoro, Natale Forlani, «ci sono circa 5,2
milioni di lavoratori "adulti" che potrebbero arrivare nei
prossimi anni a quasi 7 milioni, indispensabili in molti settori: industria,
costruzioni, agricoltura, servizi alla persona. Perciò è importante che
per questi lavoratori vengano attuate politiche di protezione mirate. Noi ci
stiamo provando con il programma "Pari" che, tra i suoi
destinatari, ha anche gli over 50. I risultati sono confortanti: rispetto a
6.000 disoccupati over 50 presi in carico dal programma», conclude Forlani,
«ne sono stati reinseriti al lavoro 1.900 nelle diverse Regioni, con una
percentuale di successo di circa il 20 per cento, che è altissima per
questo tipo di operazioni».
Guglielmo
Nardocci e Delia Parrinello
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