Jack Mwengi ha 12 anni, vive a Korogocho e parla inglese. George Otieno
ne ha 34, viveva a Korogocho e ne è uscito a 23 anni. Vi è tornato tempo
dopo per aiutare i ragazzi di strada, e oggi è a capo del progetto di
turismo responsabile di Koinonia, la comunità del missionario Renato Kizito
Sesana. Che cosa c’entrano Jack e George col Forum sociale
mondiale? In definitiva, Nairobi 2007, con i suoi 55.000 partecipanti, 1.200 eventi, 21 assemblee finali, con la marcia per la pace e la
maratona finale attraverso gli slum, ha parlato di loro e con loro. Jack
e George ne costituiscono il senso e la sintesi.
La storia di Jack è frutto di un incontro fortuito, il 20 gennaio, la
mattina della variopinta marcia che ha aperto Nairobi 2007, partita
da Korogocho – uno dei più invivibili slum di Nairobi – e giunta al
centralissimo Uhuru Park. I bambini delle baraccopoli di solito non lo
parlano l’inglese. Da mezz’ora Jack non mi lasciava la mano. Ho provato
con una domanda: la tua famiglia? «Cinque sorelle e quattro fratelli»,
risponde. «No, mamma e papà no, sono morti».
A scuola fuori dalla finestra
Jack è il più piccolo, il maggiore, John, ha 27 anni. Vai a scuola? «No»,
replica, «ho imparato l’inglese stando fuori dalla finestra della classe.
Ogni tanto, quando mi vede, il maestro mi caccia perché gli altri bambini
pagano e io no. Ma dopo un po’ torno». Studente abusivo. Prende appunti
su qualche pezzo di carta e si nasconde come può. «Non li abbiamo 500
scellini per iscrivermi a scuola», dice. Cioè 7,46 euro, al cambio
odierno. Gli regalo un taccuino e una penna. Jack si ritira in un angolo.
Che scrivi? Me lo porge: ha messo i titoli nelle pagine: swahili,
matematica, scienze, italiano. «Da grande vorrei fare il calciatore. In
Italia», aggiunge, «siete voi i campioni del mondo. Oppure il giornalista,
come te».

Un'immagine tratta dal diario del World
Social Forum Nairobi 2007,
svoltosi dal 20 al 25 gennaio: la celebrazione inaugurale ad Uhuru Park.
Lo slogan più ripetuto è "un altro mondo è possibile". Qui
ci hanno aggiunto "anche per gli abitanti delle baraccopoli", che
a Nairobi sono due milioni e nel mondo un miliardo. Jack prova a realizzarlo
origliando dalla finestra. George, da Korogocho, ne è uscito 11 anni
fa. «Era l’unico mondo che conoscevo», dice, «fatto di violenza, di
chilometri percorsi per un po’ d’acqua o un medico, di fogne a cielo
aperto e discariche, di Aids e fame. Ho conosciuto i comboniani, Zanotelli,
Kizito, Daniele Moschetti. Sono entrato a Koinonia, dove ho imparato cosa
significa vivere in comunità, sentirsi fratelli, pregare insieme».
George ha studiato ed è tornato a Korogocho per lavorare nell’educazione
dei ragazzi di strada. Ora dirige The white gazelle, agenzia di
turismo responsabile, «per mostrare», dice, «non solo le bellezze del
Kenya, ma anche le condizioni di vita delle baraccopoli». Jack e George,
ovvero il primo Forum africano. Dopo le cinque edizioni di Porto Alegre e
quella indiana, l’Africa ha cambiato pelle e anima al megaraduno.
Povertà, ambiente, diritti umani, debito sono sempre stati i temi forti.
Ma, finora, i dibattiti si svolgevano lontano dai poveri. «Qui», dice Michael
Ochieng, direttore di Africa Peace Point, «si è creato un ponte
fra Forum e baraccati. I due mondi si sono contaminati. Il popolo degli slum
è tracimato ed è venuto al centro della città e del convegno. Con l’Africa
protagonista».
Non a caso, a Nairobi, "disobbedienti antagonisti" di ogni
latitudine sono scomparsi, e sono emerse le realtà impegnate per quel
diverso mondo possibile: gruppi per la pace, mondo cattolico, missionari,
ambientalisti, islamici e cristiani, ma anche enti locali, parlamentari,
premi Nobel. Gli italiani sono stati fra i più numerosi: oltre 200 delegati
sono giunti con la "Tavola della pace". In tutto 500 partecipanti,
fra cui la viceministra Patrizia Sentinelli, che ha firmato l’accordo
di cancellazione del debito del Kenya (44 milioni di euro) da reinvestire in
sviluppo, 4,4 milioni di euro per 10 anni. Le diverse Caritas sono state
presenti con oltre 500 delegati da tutto il mondo, di cui 40 dal nostro
Paese. Caritas italiana, al Forum, ha puntato soprattutto sull’informazione
riguardo le povertà e i conflitti dimenticati, come spiega Paolo
Beccegato, responsabile dell’area internazionale: un progetto di
alleanza strategica fra società civile, Chiese, mass media locali e
informazione.
Italia, fanalino di coda
Quanto a noi, le critiche sono pesanti: «L’Italia», dice Marta
Guglielmetti, responsabile nel nostro Paese della Campagna Onu per gli
Obiettivi del millennio, «è fanalino di coda tra i Paesi ricchi: per lo
sviluppo destina lo 0,19 per cento del Pil. Si era impegnata ad arrivare
allo 0,33 nel 2007. Ci sono realtà povere come Mozambico e Bangladesh che
stanno rispettando gli impegni. Questo significa che è questione di
priorità e di volontà politica, prima che di risorse». Inoltre, per la
seconda volta, il Governo non ha versato i finanziamenti al Fondo globale
per la lotta ad Aids, malaria e Tbc (260 milioni di dollari), e insieme ad
altri Paesi europei sta avallando, come denuncia l’europarlamentare Vittorio
Agnoletto, «la linea dura sugli accordi Epa (Accordo europeo di
partner-ship) con 76 Paesi poveri, che devono essere siglati quest’anno. L’Ue
esige la cancellazione dei dazi doganali, ma non vuole ridurre i propri
sussidi agricoli. Senza un accordo equo, per i Paesi poveri sarà un
tracollo. L’Agenzia per lo sviluppo dell’Onu ha calcolato che il solo
Kenya perderà 300 milioni di dollari l’anno».