Le lettere e gli
interrogativi dei lettori si moltiplicano, il dossier di critiche e repliche
sul libro Inchiesta su Gesù di Augias e Pesce si
ingrossa, mentre il libro scala le zone alte delle classifiche di vendita,
la Bibbia offerta dal Corriere della Sera ha registrato un successo
inaspettato, l’attesa del libro di Benedetto XVI su Cristo ha già
mobilitato i giornali (vi sono quotidiani e televisioni che mi hanno già
prenotato interviste per allora).
Si ha un bel dire che siamo in epoca postcristiana, ma la
figura di Gesù di Nazaret sembra continuare a lanciare, anche nei nostri
tempi così distratti e superficiali, la domanda di quel giorno a Cesarea di
Filippo nel nord della Galilea: «Ma voi chi dite che io sia?».
Naturalmente il documento capitale per ricomporre il volto
storico di Gesù è costituito dai quattro Vangeli che, però, sono storia e
teologia inestricabilmente intrecciate tra loro. Da quando ha preso forma la
critica storica si è passati attraverso fasi differenti. Nell’Ottocento
dominava lo scetticismo radicale: del Gesù della storia non sappiamo nulla
perché è il Cristo della fede a dilagare in quegli scritti. A questa tesi,
sostenuta dai cosiddetti "razionalisti", aveva dato un appoggio
paradossale proprio una certa teologia, soprattutto protestante, votata a
esaltare solo la divinità di Cristo, principio della nostra fede e
salvezza, mettendo tra parentesi l’altro aspetto storico, legato all’Incarnazione
e, quindi, all’umanità di Gesù.
Dalla metà del Novecento in avanti le posizioni sono
radicalmente mutate e ci si è dedicati a isolare rigorosamente i molti dati
storici che si potevano estrarre dai Vangeli, soprattutto tenendo conto dell’orizzonte
giudaico entro cui Gesù era vissuto: erano sorti ritratti molto complessi e
documentati di quel volto, come nel caso delle migliaia di pagine dei volumi
di John P. Meier, intitolati Un ebreo marginale, tradotti in
italiano dalla Queriniana di Brescia. Naturalmente su questa strada si
avevano risultati differenti tra loro, come quelli della citata Inchiesta
su Gesù che riduce al minimo i dati storici verificabili riguardanti la
vita, l’opera e le parole di Cristo.
I Vangeli, una realtà complessa
Ma intanto si poneva un problema che toccava la stessa
ricerca storiografica: la verità storica è solo quella che si ottiene
attraverso la verifica dei fenomeni, dei dati, dei fatti nel loro
manifestarsi esterno o è anche il tener conto della molteplice complessità
della realtà? Nel caso dei Vangeli (ma non solo) la questione è rilevante.
Lo storico tradizionale di fronte alle affermazioni di Gesù sulla sua
divinità, ai miracoli, agli eventi pasquali tagliava senza esitazione
quelle testimonianze e le gettava nel cestino del mito, o, al massimo, le
spediva alle esclusive competenze del teologo. Ora, i dati storicamente
verificabili di Gesù e su Gesù sono in realtà impastati e impostati con
la dimensione religiosa: un filtro grossolano e sbrigativo come quello
adottato dalla citata Inchiesta su Gesù e da altre opere simili –
che rade al suolo una massa enorme di dati evangelici inviandoli nel limbo
del mito o della teologia quasi come cascami irrazionali e marginali –
riduce la figura storica di Gesù a una larva o a un tronco mutilo o a un
soggetto irrilevante, tant’è vero che si è condotti spesso ad attribuire
la crescita grandiosa, teorica e pratica, del fatto cristiano all’opera
della Chiesa o di Paolo.
È per questo che la recente storiografia, come è pronta
ad adottare nuovi canali interpretativi dei dati storici (si pensi all’uso
della psicologia, dell’antropologia e di altre scienze umane), così è
incline a vagliare anche categorie teologiche o mistiche, considerandole
parte dell’esperienza dell’umano.
La compiuta comprensione della figura reale di Gesù
Cristo comprende, quindi, persino l’analisi di quegli elementi che sono
oggetto della fede. Naturalmente lo storico dovrà applicare e affinare i
suoi strumenti, che non sono quelli del teologo. Tuttavia, anche se con
qualche rischio di sbavatura o di taratura poco calibrata, dovrà procedere
pure su questa via. Amputare dalla storia di Gesù quest’altra dimensione
complessa e misteriosa della realtà sua e della cristianità delle origini
non è segno di rigore scientifico, ma di semplificazione sbrigativa.
Semplificazione che, tra l’altro, impedirebbe di comprendere
autenticamente lo stesso san Paolo e la sua opera, così come il
configurarsi della comunità ecclesiale, dell’esperienza cristiana e così
via.
Questo nuovo e più completo approccio – senza
confusione di ruoli tra storico e teologo – si sta sempre più
collaudando. Un esempio è il recente Gesù, una vasta opera dello
studioso tedesco Klaus Berger, tradotta sempre dalla Queriniana.
Anzi, a quanto ci è dato sapere dalle poche pagine e dall’introduzione
finora pubblicata, tale sarà l’orientamento anche del libro di Benedetto
XVI.
Un percorso certamente delicato (non per nulla il Papa si
è dichiarato pronto a discutere le eventuali critiche), ma necessario per
una più completa e genuina ricostruzione della realtà di Gesù nelle sue
diverse dimensioni, compresa anche quella "mistica" o di fede.