Faceva freddo quel 27
ottobre 1986 ad Assisi per la Giornata mondiale di preghiera e digiuno
convocata da Giovanni Paolo II con l’appello a una tregua in tutte le
guerre. Lo stupore che andava oltre i confini della Chiesa cattolica. La
preghiera al centro. Gli uni accanto agli altri. Un’icona del Novecento,
impossibile da trovare in un altro secolo. Per tutti una prima volta. Tutti,
mentre lo vivevamo, imparavamo. Esemplare e da continuare. La Comunità di
Sant’Egidio ha sentito come diretta, personale, la responsabilità di
raccogliere l’invito del Papa a diventare "artefici di pace".
Sono nati così gli Incontri internazionali Uomini e
religioni, per i primi due anni a Roma, e poi, via via, Varsavia, Milano,
Lisbona, Barcellona, Aachen, Firenze, Malta, Genova, Bruxelles, Bucarest,
Palermo, Lione, Assisi… Venti anni sono una parte della nostra vita. È
cambiato qualcosa? C’era la guerra fredda, oggi incombe un clima diverso,
ma sempre di guerra e paura. Eppure, quello che appariva quasi un unicum irripetibile
è entrato nella nostra cultura, nel nostro immaginario, come una nuova
lingua. Non l’irenismo, ma la fatica del dialogo. Mai svendita della
propria identità, ma una via nuova per creare ponti e suscitare nuove
energie di pace. Non solo incontri di "vertice": negli anni è
stata coinvolta la vita quotidiana, il modo di guardare l’altro.
Dal Muro del pianto alla moschea
Molti ricordano come normale la meditazione del mattino a
Palermo, nel Convegno decennale della Chiesa italiana, proposta da un imam e
da un rabbino. Un clima è cambiato e ha visto in questi anni i passi
storici delle visite di Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma, al Muro del
pianto, alla moschea degli Omayyadi. Lo sceicco Kuftaro, che accolse a
Damasco il Papa, era stato ospite degli incontri della Comunità di Sant’Egidio.
Negli anni si è creato un linguaggio del dialogo, e un gruppo significativo
di "cercatori di pace" in diverse tradizioni religiose, anche in
tempi avversi. È nato un "gruppo di contatto" informale, ma che
di fatto è anche una "unità di crisi", e Dio sa quanto ce n’è
bisogno a volte.
Sono nate una simbologia e una lingua del dialogo, senza
alcuna tentazione di sincretismo. Ogni tradizione religiosa è scesa nel
profondo delle proprie radici e di lì ha imparato a guardare all’altro.
È stato delegittimato al livello più alto l’uso strumentale della
religione per fare la guerra e uccidere. In una società dell’immagine, ne
è stata diffusa una che è il contrario dello scontro di civiltà e della
predicazione dell’odio.
Era quasi impossibile, agli inizi, avere nella stessa
stanza un ebreo e un musulmano, in pubblico. Fu un successo poter parlare
allo stesso tavolo di temi comuni, ciascuno secondo la propria prospettiva,
e poi, negli anni, cercare assieme risposte su temi chiave e difficili: come
purificare ciascuna tradizione religiosa dalla violenza, come lavorare
assieme per una globalizzazione con un’anima, come ricostruire l’arte
del convivere in tempi di scontro e di guerra, come evitare che nella paura
seguìta all’11 settembre 2001 la logica dello scontro appaia l’unica
possibile. Oggi, molti, sono sinceri amici.
All’indomani dell’11 settembre
Era il 4 ottobre 2001 e il summit islamo-cristiano
convocato a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio vedeva, accanto ai
cardinali Kasper, Martini, Etchegaray, la più alta rappresentanza islamica
mai vista in Europa, mai da così tanti Paesi arabi e musulmani. Un incontro
decisivo per spezzare sul nascere la vulgata semplificata di uno scontro tra
islam e cristianesimo, e, con esso, ebraismo e Occidente.
Molte sono state le "prime volte", e poi tanti
comportamenti sono diventati normali. Era la prima volta che vescovi
tedeschi e vescovi inglesi si trovavano insieme, solennemente, nel settembre
1989, per dire: War never again ("Mai più la guerra"), a
cinquant’anni dallo scoppio della seconda guerra mondiale, e la prima
volta che esponenti musulmani pregavano accanto agli altri in un
pellegrinaggio silenzioso ad Auschwitz-Birkenau. Sembrava impossibile un
incontro come quello prima della caduta del Muro di Berlino.
Sono maturate nello spirito della preghiera per la pace le
energie spirituali che nel 1992 hanno chiuso la guerra civile in Mozambico,
dopo 26 mesi di mediazione e la costruzione di una mappa vera di pace
proprio a Sant’Egidio. Nascono lì i contatti e la decisione per salvare
centinaia di profughi iracheni, durante la guerra Iran-Irak, la liberazione
di ostaggi nelle zone curde tra Iran e Irak, la Piattaforma di Roma che ha
indicato – pur disattesa – le vie di una riconciliazione nazionale in
Algeria senza cedere alle forze dell’islam estremista, e che ha provocato
l’abbandono delle armi da parte del braccio armato del Fronte islamico di
salvezza. Quella via poi intrapresa dal presidente Bouteflika.
Le richieste di perdono
Difficile dire quanti cambiamenti e quante riconciliazioni
siano nati o siano cresciuti in questi vent’anni anche grazie a questo
movimento spirituale. A chi li ha vissuti, appare un momento alto la
richiesta di perdono a Lisbona del patriarca Policarpo per le persecuzioni
dell’Inquisizione. Di fronte, la comunità ebraica; lì, davanti alla
chiesa di San Domenico, luogo simbolo di quella pagina di storia. Uno dei
frutti del grande incontro interreligioso del 2001. La lapide apposta
solennemente nella co-cattedrale di Lione, a guarigione delle ferite dello
scontro tra cattolici e luterani, nel 2005. Ol’abbraccio di tutte le
componenti religiose della Costa d’Avorio, musulmani e cristiani, che
hanno cercato di decomprimere lo scontro in un Paese in guerra civile. L’appello
per la liberazione delle "due Simone" degli imam sunnita e sciita
e del vescovo cattolico di Baghdad, e altri interventi musulmani, hanno
probabilmente creato clima e tempo per la liberazione.
Difficile dimenticare la "prima volta" che il
grande incontro mondiale è stato organizzato con una Chiesa ortodossa, quel
Patriarcato di Romania guidato da Teoctist I. C’era, ancora nel 1998, un
pesante contenzioso tra cristiani latini, uniati e ortodossi. Il disgelo,
segnato anche dall’invito alla riunione del Sacro Sinodo ortodosso della
Comunità di Sant’Egidio, ha reso possibile pochi mesi dopo la prima
visita di Giovanni Paolo II e l’apertura di un tavolo di riconciliazione.
È nato dentro agli Incontri Uomini e religioni anche il senso di un debito
verso l’Africa che ha contribuito a far circolare sensibilità ed energie,
a far nascere il più efficace programma di cura dell’Aids,
"Dream", in quel continente, quando sembrava impossibile mettervi
mano, e lo scorso anno l’annuncio dell’abolizione della pena capitale in
Senegal, mentre si lavora perché altrettanto accada in Malawi e in altri
Paesi subsahariani.
Nasce da questi vent’anni di dialogo la capacità di
andare oltre le semplificazioni etniche e le demonizzazioni, che ha permesso
a Sant’Egidio di guidare il negoziato per il cessate il fuoco in Burundi,
assieme al presidente tanzaniano Nyerere prima e a Nelson Mandela poi. È
nello stesso solco che sono nati i contatti per ridurre il numero delle
vittime in Liberia alla fine del regime di Taylor, grazie a un cessate il
fuoco dichiarato a Roma dai protagonisti della nuova Liberia.
La forza debole della preghiera
Senza questo cammino sarebbe stato impossibile, ancora,
quest’anno, riportare al tavolo del negoziato internazionale due parti in
causa, entrambe islamiche, del terribile conflitto in Darfur, o riuscire a
ottenere il primo cessate il fuoco in una guerriglia terribile, il Lord
resistance army, che da oltre dieci anni rende impossibile la vita nel Nord
Uganda.
Ma non si misura sull’elenco dei successi e delle
realizzazioni la forza di questo pellegrinaggio. Vent’anni hanno messo al
centro la forza debole della preghiera, debole e forte come il Vangelo.
Capace di costruire ponti anche in situazioni difficili, di creare speranza
anche in situazioni disperate. Le guerre continuano. Ma come sarebbe stato e
come sarebbe il mondo senza dialogo?