Nella storia delle
religioni, l’incontro di Assisi del 27 ottobre 1986 è un punto di
riferimento indiscutibile. È stato un avvenimento unico nella sua
originalità e semplicità. È stata una provocazione profetica (un’"icona"
secondo l’espressione di uno dei suoi esegeti Claudio Bonizzi) cui oggi fa
riferimento chiunque voglia approfondire il senso della sua religione.
Assisi aveva un obiettivo ben preciso, quello della pace,
a partire da una preghiera non comune ma espressa da ciascuna religione in
un luogo comune. Questa convivialità, al riparo da tutto il sincretismo, ha
dato a tutti gli uomini di fede sia il piacere di conoscere l’altro sia l’impegno
(la preoccupazione, la cura) di conoscersi meglio, anche al di là della
stessa ricerca della riconciliazione fra i popoli.
Il dialogo interreligioso è una novità. Certamente
esisteva prima di Assisi, incoraggiato da Paolo VI e il Concilio Vaticano II,
ma molto sporadico e intermittente. Dopo l’incontro di Assisi ha preso
sicurezza ed è diventato più sistematico, ma tutto sommato ancora
limitato, se non addirittura sospettato da alcuni. Esso ha permesso alla
Chiesa cattolica di mettere in chiaro la propria teologia delle religioni. C’è
stata così, il 5 settembre 2000, la dichiarazione Dominus Jesus che
richiese da parte di Giovanni Paolo II una personale spiegazione durante l’Angelus
del 1° ottobre: «La salvezza non è negata ai non-cristiani, ma è in
Cristo che risiede la sua manifestazione ultima». È proprio in Gesù che
si trova la pienezza della rivelazione di Dio all’Uomo.
La pluralità religiosa non si impone solo come un fatto
sempre più massiccio, grazie alla mobilità crescente dei popoli, ma si
presenta come un mistero in cui solo in pochi ancora vedono un particolare
disegno di Dio. L’apprendimento, il tirocinio che si rivela molto duro
consiste nell’aprirsi alla verità degli altri, senza relativizzare per
questo la propria verità. E questa per noi cristiani è una delle più
grandi sfide di oggi, più esigente di quella dell’ateismo; è il ferro
della spada che viene a rafforzare la nostra fede e la nostra testimonianza
evangelica.
Noi dobbiamo entrare in una nuova dimensione geo-religiosa
e non in un brulicare di religiosità senza regole che minaccia la nostra
epoca e rischierebbe di ridurre la religione a un menu à la carte,
secondo i propri gusti o interessi. L’uomo, nota un teologo, è
"facilmente" religioso, ma è più lento a "credere".
Ringraziamo il Signore che, chiamandoci al vero dialogo tra le religioni, ci
porta lontano da ogni soggettività, al cuore delle diverse fedi, senza le
quali nessuna Assisi sarebbe possibile.
Per questo, grande è la responsabilità dei leader delle
comunità religiose, persone rappresentative e non solo dei semplici
figuranti. Il dialogo con le altre grandi religioni monoteiste, il giudaismo
e l’islam, è ormai ben annodato, ma quello con le religioni orientali ci
trova più impreparati e addirittura più reticenti nei confronti delle
cosiddette religioni tradizionali dell’Africa o dell’Oceania, che non
saremmo inclini neanche a prendere sul serio.
Dallo "scontro" all’incontro
Molto lungo, ma appassionante, è il cammino che si è
aperto con Assisi. Più che di quello interreligioso, si tratta soprattutto
di raccomandare il dialogo "intrareligioso", che ci spinge dentro
noi stessi carichi degli interrogativi sgorgati dall’incontro di Assisi,
addirittura dallo "scontro" con le altre religioni.
Dunque, nessuno si consideri proprietario della sua
religione, ma come un membro della famiglia dell’umanità di cui scopre
meglio l’unità professando l’unità fondamentale del mistero della
salvezza in Gesù Cristo.