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Attualità.
di Mariapia Bonanate


NUOVI EREMITI / 1
TADEUSZ, DALLA POLONIA ALLA VAL CASTORIANA, IN UMBRIA


INSEGUITO DA UNA "VOCE"

Silenzio. Il suono, la voce, il colore, il profumo, l’assenza di tempo del silenzio. Sono in molti oggi a sentirne l’urgenza, nel frastuono delle città, nella solitudine della natura. Si moltiplicano le persone che lo cercano nei monasteri di clausura, in cenobi, come singoli individui. Fra questi ultimi, gli eremiti, figure che parevano appartenere al passato, tanto che la Chiesa nel Codice di diritto canonico del 1917 le ignorava, mentre nel nuovo Codice del 1983 le ha "riaccolte". Quelli che noi abbiamo incontrato – e che raccontiamo a partire da questa settimana – sono legati all’antica tradizione eremitica di san Paolo di Tebe, sant’Antonio abate e san Pacomio. Vivono in Umbria, a Monteluco di Spoleto, in Val Castoriana e in Valnerina, località che hanno visto, nel V secolo, stabilirsi in Italia i primi eremiti fuggiti dalla Siria e dove sono rimasti a testimoniarli romitori e grotte scavate nella roccia. Suor Teresa Bertoncello, il polacco Tadeusz, laico consacrato, Pietro, laico credente, sono tre figure che racchiudono nelle loro storie quell’esigenza di totale immersione in Dio che il silenzio praticato come consuetudine permanente, l’essenzialità povera di una vita spogliata del superfluo, e nutrita in ogni istante dalla ricerca della presenza di Cristo in noi e fuori di noi permettono di raggiungere.

Eremita per amore, per quell’amore che trasforma il mondo, annienta il male, inventa il bene e la speranza. Per questo amore Tadeusz è venuto dalla Polonia ed è salito sul monte a vivere in solitudine fra cinghiali, volpi, faine e aquile. La località in Val Castoriana, diramazione della Valnerina, non è neppure segnata sulle carte geografiche, comenon lo sono i paesini Valle, Acquaro di Nera, Collescille che le fanno da bastione. È stata la culla della prima vita eremitica in Italia, lo testimoniano le grotte scavate nella roccia e abitate da san Fiorenzo e sant’Eutizio, migrati nel V secolo dalla Siria in seguito alle persecuzioni dell’imperatore ariano Anastasio Dikoro e del vescovo eretico Severio di Antiochia. Frequentò questi luoghi dell’Umbria che trasudano santità e pace anche il giovane san Benedetto, che ne trasse ispirazione per fondare a Subiaco i suoi monasteri.

Si arriva all’eremo di San Fiorenzo, che risale al X secolo ed è abbarbicato su un pendio scosceso (nei pressi c’è l’antica grotta dalle pareti crollate, dove ha dimorato il santo), dopo aver camminato per mezz’ora lungo un sentiero stretto e impervio che respira l’aria degli abeti e dei larici di una montagna che raggiunge i 1.100 metri. 

Quando Tadeusz lo scoprì, dieci anni fa, era un rudere, le volte crollate, il tetto sfondato, la chiesa pericolante. Lo ha ricostruito pietra su pietra, portando a mano il materiale dalla valle, sostenuto dalla persuasione di essere giunto nel luogo destinatogli da quel Dio che, per la prima volta, lo ha chiamato alla vita eremitica quando aveva 15 anni. «Ma io allora non gli ho risposto, volevo una vita normale. Dopo il liceo ho fatto il militare, 684 giorni come in carcere, perché il comunismo da noi è caduto nel 1989, ma nell’esercito le cose sono cambiate lentamente. Poi ho lavorato per due anni, ma la "Voce" ha continuato a inseguirmi. Niente da fare, era così forte che lasciai genitori, amici, progetti, entrai nell’Opera della Provvidenza di Don Orione a Varsavia e feci un primo anno di noviziato». 

«Non volevo farmi prete», prosegue Tadeusz, «venni a Roma nel ’90 e di lì a Monte Corona dove vissi con i monaci camaldolesi otto mesi. Un’esperienza felice e forte, ma non era ancora quello che cercavo. C’è una differenza profonda tra la vita comunitaria eremitica e quella in totale solitudine. Se vivi solo in un eremo c’è una completa insicurezza, devi abbandonarti completamente alla divina Provvidenza. Fra te e Dio non c’è nessun tramite, sei in presa diretta con il Padre eterno». Così Tadeusz, laico consacrato, eremita diocesano, dopo avere ricevuto la Regola approvata dal suo vescovo, ha iniziato una vita di preghiera, di silenzio, di penitenza, di lavori manuali, aspettando ogni giorno che «il Signore facesse la sua parte».

«Qui sono al centro del mondo»

E Dio ha risposto all’appello. Sono arrivate persone che gli hanno portato cibo, offerte e materiale per il restauro dell’eremo, oggi ritornato all’antica sobria bellezza con la cappella affacciata sulla valle, la cella con il letto, un tavolo per lavorare e studiare, un angolo per cucinare, una stanza per accogliere gli ospiti. L’energia elettrica è fornita da un pannello solare, la legna del bosco serve per la stufa economica.

La domenica, Tadeusz scende a Campi, cinque chilometri a piedi, per aiutare il parroco durante la Messa, le famiglie lo invitano a pranzo, qualcuno ha bisogno del suo aiuto, poi ritorna sulla montagna ad ascoltare il Dio silenzioso e a pregare per tutte le persone del pianeta: «Io qui sono al centro del mondo, tante volte lo vedo bene, tante volte meno bene. Cerco di scorgere le cose positive. Noi cristiani dobbiamo essere testimoni di gioia. Siamo troppo tristi e così non collaboriamo con la grazia di Dio che ci manda l’energia per superare le difficoltà e le prove, purché noi sappiamo approfittarne».

A questa energia Tadeusz si appella nei momenti di sconforto e di tentazione, quando la solitudine è turbata da pensieri tempestosi. È il momento di Gesù, condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo. Ma anche quando le tentazioni tacciono, la vita dell’eremita non è mai in riposo. «La lotta per il controllo del pensiero e della mente può durare tutta l’esistenza. Bisogna allora prendere la mente e tenerla ferma sulla preghiera, immergerla nel nome di Gesù 24 ore su 24, come fanno i monaci in Oriente, che invocano: "Signore Gesù, figlio del Dio vivo, abbi pietà di noi". Questa preghiera entra nel cuore, sia che tu lavori, dormi o preghi. Sale dentro di te con un calore che brucia le impurità e ridona serenità e pace». «I monaci del deserto», continua Tadeusz, «sul davanzale della finestra mettevano una manciata di sassolini con due recipienti, uno a destra, uno a sinistra. Se veniva un pensiero buono, mettevano un sassolino a destra, se arrivava uno cattivo, un sassolino a sinistra. La sera facevano un esame di coscienza: se c’erano più sassolini a destra cenavano, altrimenti saltavano il pasto».

«Nel silenzio ritrovo me stesso»

E a chi pensa che gli eremiti "fuggano dalla cronaca" per ritagliarsi un mondo tutto loro, Tadeusz risponde: «Non si diventa eremiti per fuggire dal mondo e dai suoi travagli, ma per fare una vita di sacrificio e penitenza che dia ai fratelli della compagnia umana un aiuto in più di quello che avresti dato se fossi rimasto fra di loro. Vivi sempre nel mondo, anche se abiti fuori del mondo. Con Gesù posso arrivare in qualunque posto. Se qualcosa va male sulla Terra è anche colpa mia, perché ho pregato poco. Ma ai fratelli delle città, divenute un pollaio, dove si è obbligati freneticamente a produrre "uova" per alimentare la catena del consumismo e arricchire chi dà il mangime, dico che per ritrovare sé stessi e il significato della vita è necessario riscoprire il valore del silenzio».

Mariapia Bonanate

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