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Romano Prodi è di nuovo il leader del Centrosinistra, anzi della Gad, Grande alleanza democratica, ultimo nome partorito dalla fervida immaginazione degli uomini dell’Ulivo, che raggruppa nove partiti (Ds di Fassino, Margherita di Rutelli, Sdi di Boselli, Repubblicani di Luciana Sbarbati, Italia dei valori di Di Pietro, Verdi di Pecoraro Scanio, Pdci di Diliberto, Udeur di Mastella e Rifondazione di Bertinotti). Ma siccome il Professore ha sempre una certa allergia per le designazioni dei partiti, quella vera la chiederà agli elettori attraverso quel meccanismo americano che va sotto il nome di primarie, anche se non c’è partita, perché la preferenza degli elettori, come dimostra anche il sondaggio Simulation Intelligence, che pubblichiamo nella pagina accanto, non lascia spazio a dubbi. «Sa», dice Edmondo Berselli, politologo del Mulino, «Prodi, se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. A mia madre che mi chiedeva chi votare nel 1996, risposi: beh, abbiamo il nostro parroco; le avessi detto che c’era Massimo D’Alema, mi avrebbe picchiato». Enrico Letta, proprio sulle colonne di questo giornale, dichiarò che per placare tutti i mal di pancia del Centrosinistra sarebbe stato il caso di affidare a Prodi i pieni poteri. «Rifarei una richiesta di quel tipo», dichiara Letta, «non potevamo offrire all’infinito l’immagine di una coalizione che si scomponeva su tutto e non affrontare per tempo il problema di Rifondazione comunista. Adesso le cose sono cambiate in meglio. Su questo versante ci sono progressi di grande significato dopo l’iniziativa di Romano Prodi, l’accordo con Fausto Bertinotti sembra fatto».
Gavino Angius, uno degli uomini più influenti dei Ds di Piero Fassino, ironizza invece sui nomi e sulle primarie: «Gad, Fed, primarie… Certo, abbiamo una fantasia fertile, ma, insomma, poi contano la sostanza e il significato. Sono stati fatti molti passi in avanti; non siamo più quell’agglomerato scomposto del passato, però non mi faccio illusioni; i problemi ci sono perché rimangono le resistenze legate all’orgoglio di appartenenza delle vecchie forze politiche. Ma se questo processo unitario va avanti, alle prossime elezioni regionali avremo un grande risultato. Le regionali della prossima hanno un valore quasi decisivo ai fini delle elezioni politiche del 2006. Le motivazioni per vincere ci sono: i risultati del Governo della destra sono fallimentari, il Paese ha paura, è preoccupato del suo futuro, vede messi in discussione valori comuni, senso di appartenenza. Per non parlare di carovita, la salute, la scuola…». Anche dal mondo sindacale, che negli ultimi anni è stato attraversato da forti contrasti e divisioni, arrivano novità: «Mi pare che il percorso programmatico per la costruzione dello schieramento del Centrosinistra per le prossime elezioni si sia messo in moto nel moto giusti», afferma Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil. «Noi del sindacato possiamo partecipare offrendo il contributo di idee e proposte alla costruzione del programma. Lo stiamo facendo noi della Cgil, ma secondo me se lo facessero tutti sarebbe anche meglio». E il problema dei rapporti con la Cisl? «Questo problema in passato non esisteva perché sia nelle elezioni del 1994 sia in quelle del 1996 Cgil, Cisl e Uil scelsero di comune accordo di schierarsi accanto al Centrosinistra dopo aver constatato che le richieste dei sindacati trovavano migliore accoglimento nel programma dell’Ulivo. Nel 2001 la Cgil fece nuovamente questa scelta, ma da sola. Ultimamente comunque i rapporti fra noi e la Cisl sono migliorati. Vedremo».
Troppo distacco con la società Berselli non è invece del tutto convinto che le cose per gli oppositori di Berlusconi si siano messe al meglio. «Il Centrosinistra si è occupato per troppo tempo di questioni interne tralasciando di offrire proposte alla società italiana, elettori del Centrosinistra compresi. Nelle elezioni del 2001 gli operai votarono in maggioranza per il Centrodestra. Sarà anche importante discutere le forme che dovrà assumere la coalizione guidata da Prodi per il 2006, ma più importante ancora è recuperare i propri voti, altrimenti la Gad non andrà lontano. Il Centrosinistra, ad esempio, avrebbe l’obbligo di rivolgersi a quella parte del Paese impoverita dal lassismo politico del Centrodestra. Lo sta facendo? Va benissimo che Prodi si preoccupi del programma e delle elezioni future, ma intanto ci sono interi settori del Paese che hanno perso quote di reddito e aspettano che si dica loro come sarà recuperato il bene perso. Bisogna poi dire ai rappresentanti dell’establishment italiano, che dicono che il Centrodestra ha fallito, ma aggiungono che lo schieramento opposto è formato da una banda di squinternati, che il Centrosinistra ha uomini in grado di governare il Paese senza squilibrarlo. Bisogna esibirli questi uomini, e parlo di Letta, Bersani, Amato... E ancora: nel 1996 l’Ulivo un messaggio grande lo aveva: risaniamo il Paese, portiamo le nostre famiglie in Europa, senza però dividerlo, garantendo i più deboli. È per questo che l’associazionismo e il mondo del volontariato credettero nell’Ulivo. Adesso, a parte la ricerca del nome giusto da dare al nuovo schieramento, che dice il Centrosinistra? Qual è la mission che propone agli italiani? O dobbiamo ancora sorbirci per altri due anni il dibattito sulla forma di partito?».
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