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Come spiegare a un
adolescente il fenomeno della contestazione? La via più semplice e più redditizia è
quella di prendere carta e penna e scrivergli una lettera. Lo ha fatto il leader della
rivolta studentesca di allora. Con delle ammissioni non scontate.
Lui è ancora un entusiasta del 68. Come
padre di un figlio adolescente prende carta e penna e gli scrive una lunga lettera per
affermare tutti i valori di una stagione carica di eventi e di significati. E lo fa dopo
aver vinto quella certa resistenza di apparire un padre saccente, «rischio che i genitori
corrono spesso. E i padri, forse, più delle madri». Chi scrive è Mario Capanna, ex
studente espulso dallUniversità Cattolica, ex leader parlamentare, ora
autore di libri storico-politici.
Intervistandolo non ci prefiggiamo di ricostruire le tappe di quegli anni, nemmeno di
indagare quanto fosse consapevole o esasperato il giovane extraparlamentare. Non vogliamo
attribuirgli colpe o meriti. Lo intervistiamo semplicemente perché la contestazione
giovanile di trentanni fa lo vide protagonista su molti fronti. Oltretutto è sua
convinzione che il sessantotto sia patrimonio di molti giovani e persino di tanti
giovanissimi di oggi. Perché ricorrere a Lettera a mio figlio sul sessantotto (Rizzoli)
per affrontare largomento? Sorride fra il divertito e il seccato quando affermiamo:
Non le pare che suo figlio ne abbia sentito parlare anche troppo frequentemente di quegli
anni?
«Certo, Dario, questo il nome di mio figlio, ci ha sentito molte volte ribadire i
valori del 68. Ma sono state proprio le sue domande a sollecitarmi, quasi quasi
vorrei dire a impormi di dargli delle risposte meno parziali, inserite in un contesto più
adeguato».
- È in riferimento al rapporto padrefiglio e viceversa che lha spinta a
scrivere?
«Non solo. Si è trattato di un confronto tra chi ha vissuto molte lotte e chi,
venendo al mondo dopo, sente interesse e curiosità per conoscere meglio le ragioni che
hanno scatenato quelle lotte».
- I giovani di quegli anni turbolenti erano diversi da quelli di oggi, spesso, a ragione o
a torto, ritenuti giovani passivi. Lei che ne pensa?
«Non farei lerrore di pensare che tutti i giovani degli anni Novanta siano
disorientati, incapaci di lottare per degli ideali alti. Al contrario, ci sono ragazzi
molto consapevoli e impegnati a costruire il cambiamento. Non dico a portarlo a compimento
poiché questo non succederà mai. Il mondo, così come è combinato, richiede
dessere costantemente cambiato, quindi nel corso degli anni le generazioni passate,
presenti e future si adoperano per il cambiamento».
- Certo, attualmente non si tratta di un cambiamento radicale come quello che negli anni
della contestazione si proponevano gli studenti come lei.
«Certo che no. I tempi sono diversi. Credo però che ogni generazione abbia una
propria lotta da attuare, altrimenti il mondo si fermerebbe».
- Nel suo libro si legge che del 68 non si può parlarne al passato. Che cosa
intende esattamente?
«Che la sua forza si rivela guardandolo proiettato verso il futuro».
- Perché lei afferma che il sessantotto è stato non una pagina ma un libro nuovo?
«Per la carica innovativa che conserva, per la radicalità degli obiettivi posti, per
il coinvolgimento delle persone».
- Quando Dario le fa domande sul futuro come gliene parla? Con pessimismo o con ottimismo?
«Gliene parlo anzitutto ancorando il futuro a un passato perché senza memoria si ha
il vuoto dietro. Chi non sa da dove viene, ignora dove andare e perché. Non esiste nulla
che si affermi come nuovo senza avere qualche connessione con ciò che gli preesiste.
Questo vale per le invenzioni scientifiche, come per i processi sociali, culturali e
politici. Del resto sono convinto che il ricordo, la memoria siano al servizio del
futuro».
- Tutto qui. Non le sembra un po sterile?
«No, è un sentire con il cuore in mano. Letimologia latina del verbo recordor
ci è di aiuto. Il termine è composto da re e cor, dove cor sta
per "cuore". Il ricordare significa richiamare qualche cosa fuori dal tempo per
dargli peso».
- Non teme di caricare suo figlio di troppa responsabilità culturale e sociale?
«In che senso, scusi? Il nostro è un ottimo rapporto. Io gli dico: se sai, sei; se
non sai, sei in balìa di altre persone. E il sapere uno se lo costruisce se ricerca il
cuore delle cose. Invito mio figlio ad andare oltre, a essere curioso perché sono
convinto che la vita senza curiosità sia come un fiore senza colori né profumo. Non mi
pare dessere difficile o logorroico».
- Qual è il messaggio da dare alle nuove generazioni?
«A mio figlio e a qualsiasi altro giovane direi: Se il tuo cuore e la tua mente
saranno capaci di accendersi per ogni ingiustizia, chiunque ne sia la vittima e in
qualsiasi parte del mondo, vorrà dire che ti sentirai e sarai parte dellumanità.
Se contrasterai la prepotenza e cercherai lequilibrio fra gli esseri umani, e fra
loro e la natura, spargerai intorno a te un contagio benefico. E sarai felice, proprio
perché contribuirai a rendere tali anche gli altri. Se ti chiuderai nellegoismo,
anziché aprirti nella solidarietà, e ti seppellirai nellindividualismo, ti
ridurrai ad avere paura di tutto e di tutti e sarai uno dei tanti naufraghi alla deriva
nel mare di pochezza globale che oggi, nostro malgrado, vuole risucchiarci».
- Cè una cosa che lei ritiene naturale, quasi ovvia, nellattuale
globalizzazione del mondo?
«Se pensiamo che gli Stati sono diventati troppo grossi per le questioni piccole e
troppo piccoli per le questioni grandi, mi sembra la cosa più naturale del mondo
augurarsi di arrivare, un giorno non tanto lontano, a costruire un intelligente equilibrio
di competenze e di convivenza pacifica. Un consesso, insomma, dove il mondo reale possa
sentirsi rappresentato e rispecchiarsi, e dove tutti i popoli decidano insieme il comune
destino di sé e della terra».
Cristina Beffa |