Sergio Tramma
Pedagogia sociale
Ed. Guerini Studio, Milano 1999, pp. 173, L.
22.000
La pedagogia sociale si propone di produrre orientamenti
teorici e operativi per l’insieme delle pratiche educative che si
svolgono al di fuori delle mura scolastiche e che concorrono alla
formazione dei soggetti attraverso tutto l’arco della loro esistenza.
Una sua definizione precisa non è semplice, si tratta di un’area di
riflessione pedagogica incerta, i cui contenuti e confini sono
costantemente interessati da rielaborazioni e da revisioni.
Questo testo, molto interessante soprattutto per chi si
occupa di lavoro sociale, offre un approfondimento teorico e una
stimolante sistematizzazione degli aspetti operativi. L’autore presenta
una possibile ricostruzione storico-concettuale di questo ambito
pedagogico, organizzandola come
elemento fondante di riflessione per ipotizzare e
sviluppare prospettive future. Un aspetto particolarmente elaborato
risulta la dimensione territoriale, intesa sia come "sistema di
vita" dei soggetti che come ambito di riferimento teorico e
operativo.
La conoscenza del territorio, cioè dello spazio in cui
si collocano le esperienze educative, intenzionali e non, diventa un
prerequisito essenziale. Si sottolinea di conseguenza l’importanza di un
impegno di mappatura e viene offerta una serie di mappe, che favoriscono l’acquisizione
e l’analisi di tutti gli elementi informativi funzionali alla
progettazione e alla realizzazione degli interventi.
Il volume indica la progettazione partecipata come
impianto metodologico, che trova nell’approccio biografico la
possibilità di valorizzare, fin dai primi momenti, la partecipazione dei
destinatari al progetto trasformativo di cui sono o dovrebbero essere
protagonisti, e nell’educazione di strada la modalità per far
incontrare la molteplicità esistenziale e le reali condizioni di vita dei
soggetti con le intenzioni educative.
Il terreno della progettazione, dove pensare ad azioni
destinate a modificare una situazione esistente in una situazione voluta,
esplicitare un’intenzionalità cosciente e organizzata verso cambiamenti
auspicati, è uno degli ambiti in cui maggiormente si evidenzia la
possibilità e il valore educativo del coinvolgimento dei destinatari.
Importante allora acquisire elementi di metodologia della progettazione,
elementi procedurali in grado di orientare l’intervento in tal senso.
Il discorso biografico diviene una possibilità
interessante di conoscenza del territorio e dei suoi soggetti. Le storie
di vita ci consegnano la complessità del territorio sia in termini di
elementi costitutivi che di relazione tra questi. Il luogo si racconta
attraverso le persone, accompagnando gli attori in un percorso non solo di
descrizione ma anche di analisi.
L’educazione di strada viene proposta come una delle
possibilità per favorire questo processo, uscendo da una logica di attesa
dell’altro, in una prospettiva di incontro, di stimolo per l’emersione
di bisogni, in un cammino di attivazione e cambiamento.
Sonia Bella
Fabio Veglia (a cura di)
Handicap e sessualità: il silenzio, la voce, la carezza
Ed. Franco Angeli, Milano 2000, pp. 158, L.
30.000
Questo volume raccoglie diciotto contributi (gli atti di
un convegno) di ottimo livello che danno conto delle esperienze italiane
testimoniando di un tema non più all’anno zero, come abbiamo
avuto modo di dire in altre recensioni su questa rivista.
Vi si racconta un’esperienza che ha confrontato l’enunciazione
di un diritto o l’espressione di un desiderio con i limiti, ma anche le
inaspettate possibilità, di uno spazio e di un tempo abitati da culture,
persone, tecnici, servizi, ipotesi di ricerca, correnti di pensiero.
L’articolazione
stessa del volume lo testimonia nei tre capitoli dedicati ai passaggi dal
dibattito al progetto, dal progetto al servizio e, all’interno di
questo, all’elaborazione di una teoria e una metodologia operativa. Un
impegno che il Centro Clinico Crocetta e i servizi territoriali per
l’handicap dell’area torinese portano avanti ormai da oltre quindici
anni.
Il testo evidenzia, inoltre, il fatto che i percorsi non
sono rose e fiori, non delineano necessariamente un meglio di prima,
ma portano anche all’esigenza di rivedere le proprie impostazioni o al
progettare iniziative non scevre da possibili ambivalenze come un
"centro studi" o un "sito Internet" dedicati
espressamente ed esclusivamente al tema delineando quindi una specificità
della sessualità dell’handicappato. Ma può un tema "ambiguo"
come quello evocato dal binomio handicap-sessualità dispiegarsi senza
fare proprio della ambiguità il suo principale alleato? Probabilmente no
e starà alla capacità degli amici torinesi un paziente lavoro di spola
tra l’handicap della sessualità e la sessualità dell’handicap come
unica strada per proporre percorsi, ma anche per stare accanto là dove l’isolamento
e la mancanza di prospettive ci paiono non risolvibili.
Andrea Pancaldi
Mariateresa Zattoni, Gilberto Gillini
I sentieri della vita. Crescere i propri figli
Ediz. San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2000,
pp. 108, L. 14.000
Gli autori, assai noti per le loro pubblicazioni, hanno
come punto di riferimento i ragazzi d’oggi e il loro disagio, ed educare
alla vita è la loro esplicita intenzione. Alla fine di ogni
"percorso educativo" vengono presentate delle favole, inventate
dagli autori, che il genitore o l’educatore potrebbero usare per
leggerle insieme ai bambini, come una mappa che orienta e indirizza verso
il grande compito di onorare la vita. I capitoli sono "sentieri"
che il lettore dovrebbe percorrere alla ricerca di principi di vita
importanti, attraverso "permessi" che ognuno dovrebbe
concedersi: il permesso di esistere, il permesso di essere genitore, il
permesso di avere limiti, il permesso di arrestarvi, il permesso di
attendere, di superare gli ostacoli, di soffrire.
Queste favole, caratterizzate da parole incisive e
vivacità, scritte con stile diverso di quello usato nella prima parte di
ogni capitolo, raccontano i tentativi della fata Alina di ottenere, con la
magia, ciò che gli esseri umani ottengono naturalmente. Ovviamente la
fata non ci riesce mai, però con i suoi tentativi maldestri mette in
evidenza il valore e l’importanza dei legami umani, dei poteri naturali
dell’essere umano adulto, che non può aspettare passivamente i miracoli
ma che deve lavorare con gli strumenti normali della vita, per lo sviluppo
e la crescita dei figli.
Gli autori riescono a proporre un equilibrio tra due
concetti molto discussi in educazione, che continuano a provocare
dibattiti tra gli addetti ai lavori: la conciliazione tra libertà e
disciplina. Con stile semplice, con esempi concreti e, soprattutto, con le
favole che seguono ogni "sentiero", raggiungono, inoltre, un
altro scopo (spesso difficile da raggiungere): il lettore trova piacere
nella lettura.
Manuel Tejera de Meer
Renata Mancuso, Angela Maria Di Vita (a cura di)
Oltre Proserpina. Identità, rappresentazioni sociali e disagio nel
ciclo di vita femminile
Ed. Franco Angeli, Milano 2000, pp. 217, L.
32.000
L’identità femminile, tra norme, rappresentazioni e
disagio, ha costituito il tema di una giornata di studi della Facoltà di
Scienze della formazione all’Università di Palermo e qui sono raccolti
i vari contributi. Un libro che viene dal Sud e che apre
nuovi
percorsi di conoscenza e di indagine della variegata realtà femminile che
si espande ben oltre gli stretti spazi degli stereotipi culturali, delle
figure mitologiche e dei ruoli tradizionali. Proserpina, dea degli inferi,
rappresenta uno dei volti che la tradizione greca attribuiva alla donna
(insieme a Elena, la seduttrice, e Penelope, la moglie fedele),
ingabbiandola in ristretti ambiti, vincolata agli attributi di
accoglienza, di accudimento, di conservazione della vita. Per andare
oltre, bisogna cogliere la dimensione dinamica della persona femminile
entro la storia, nella relazione con l’uomo e il tessuto sociale,
scoprendo l’universo simbolico che caratterizza la donna entro la
famiglia, nei suoi rapporti con la madre, con il figlio e con la società.
«Dare la vita, non solo biologicamente, ma anche
simbolicamente, è una competenza precipua che si proietta sul sociale
forse ancora in modo inconsapevole, ma carica di conseguenze anche sul
piano delle rappresentazioni sociali», affermano le due curatrici del
volume. Si tratta di una lettura dinamica e attuale dell’identità
femminile tracciata lungo l’arco della vita, nelle esperienze di impegno
sociale, culturale e lavorativo. È la ricerca del pensare delle donne e
del loro riconoscersi diverse di genere e insieme compagne di viaggio
degli uomini, è l’indagine del disagio, della malattia, dell’instabilità
e della partecipazione all’universo mafioso.
Rosangela Vegetti
Nicholas Emler, Stephen Reicher
Adolescenti e devianza
Ed. Il Mulino, Bologna 2000, pp. 378, L.
40.000
Molto si è scritto sui rapporti esistenti tra
adolescenza e devianza. Il titolo di questi testo potrebbe quindi apparire
scontato, ma tale non è affatto il suo contenuto. Uscendo dagli approcci
tradizionali (psicologico e sociologico), gli autori propongono una nuova
sintesi della doppia dimensione (adolescenza e devianza), fondata sul
concetto di "progetto reputazionale". La condotta deviante non
rappresenterebbe solo un comportamento oppositivo o legato a meccanismi di
autorisarcimento di antiche carenze, ma piuttosto la comunicazione della
propria "identità pericolosa". La reputazione rappresenta un
fenomeno a doppia valenza: sociale, perché l’identità che si assume
("antagonista" o "integrata") deve essere riconosciuta
come tale dalla
comunità, e individuale, perché la presenza o
assenza di comportamenti devianti rappresentano per l’adolescente una
vera e propria strategia di autopresentazione. La devianza (quella della
vita di tutti i giorni) non viene così ricondotta unicamente all’esito
di processi di sviluppo distorti, quanto a una scelta consapevole tra l’assunzione
di differenti immagini sociali.
Diventa così altrettanto importante capire sia perché
alcuni adolescenti adottano strategie di tipo deviante, oppositivo,
provocatorio, sia perché altri, viceversa, si ritraggono di fronte a
tutte quelle situazioni che portano a fare a botte o a compiere atti di
vandalismo o piccoli furti. La definizione di una propria collocazione
nella società e la conseguente negoziazione della propria reputazione
sociale vengono proposte come fondamentali compiti di sviluppo per l’adolescente
e gli autori appoggiano la loro teorizzazione su un robusto impianto di
ricerca con un campione di circa 1.000 adolescenti inglesi (12-16 anni).
Gianni Cambiaso
M. Malagoli Togliatti, Patrizia Angrisani, Maurizio Barone
La psicoterapia con la coppia
Ed. Franco Angeli, Milano 2000, pp. 204, L.
39.000
Il testo descrive in modo chiaro e sintetico il modello
integrato dei contratti come modalità specifica utile nella gestione
della terapia di coppia.
Gli autori partono dal concetto di primo contratto, caratterizzato
dall’illusione, come momento iniziale della relazione intima, all’interno
della quale la coppia condivide
consapevolmente
norme esplicite e accordi e, inconsapevolmente, vincoli di natura
affettivo-emotiva nell’illusione appunto di un partner ideale in grado
di appagare profondi bisogni primari insoddisfatti. Successivamente prende
corpo il secondo contratto contraddistinto dalla
"delusione" come conseguenza dell’integrazione di aspetti
"buoni" e "cattivi" relativi all’altro. In questa
fase cruciale del ciclo di vita della coppia possono svilupparsi tre
percorsi a seconda del modo, da parte dei partners, di affrontare
la crisi.
L’elusione della crisi o il circuito della delusione o
ancora il prodursi della disillusione sono le tre possibili vie nelle
quali si avventura la coppia e dove può incontrare il terapeuta. Da qui
ripartire insieme in un nuovo percorso, dove trovano spazio sia la
problematica individuale che quella relazionale alla ricerca delle radici
del disagio. In questo viaggio, il clinico si avvale di strumenti quali la
rinarrazione, le tre istanze, la dissonanza e la traccia tematica.
È importante segnalare anche l’esistenza di un intero
capitolo dedicato a casi clinici, nei quali il lettore può avventurarsi
accompagnato dalle spiegazioni passo dopo passo, degli autori,
estremamente significative e quantomeno utili per poter acquisire un nuovo
tipo di pensiero all’interno delle intricate vicende delle coppie, così
come il glossario, che contiene la spiegazione di diversi termini chiave.
Paolo Fontana
Annamaria Testa
Farsi capire. Comunicare con efficacia e creatività nel lavoro e nella
vita
Ed. Rizzoli, Milano 2000, pp. 406, L. 33.000
Nell’omonimo film tratto dal libro di Harper Lee, Il
buio oltre la siepe, il protagonista Atticus (Gregory Peck) così
illustra alla figlia Scout cosa significhi "comprendere":
letteralmente «mettersi nei panni degli altri e farci un giro».
Comprendere e capire sono processi che spesso
consideriamo come acquisiti, convinti che l’evoluzione nell’ambito
della comunicazione abbia raggiunto un livello così raffinato da evitarci
lo sforzo di "entrare" nelle parole.
Il libro si propone di guidarci nella foresta delle
parole e dei significati per districare le liane che si frappongono nella
comunicazione tra noi e gli altri. Farsi capire ci ricorda che
dietro ogni parola c’è un’altra parola, e che questa racchiude un
archetipo, un contesto, una cultura, un mondo. La consapevolezza di ciò,
in una società dotata di sempre maggiori mezzi comunicativi, risulta di
fondamentale importanza: capire e farsi capire, processi umani per
eccellenza, sono la dotazione di partenza per entrare nella foresta delle
parole. Gli strumenti per comunicare vengono soltanto dopo che abbiamo
imparato a comunicare. Annamaria Testa rivaluta totalmente la relazione
interpersonale, recupera la soggettività intrinseca in ogni comunicatore
(la stessa parola o frase, pronunciata da dieci persone diverse, assume
dieci significati diversi). La qualità della comunicazione dipende,
secondo l’autrice, dalla qualità dell’interazione che si instaura tra
due comunicanti. Einstein affermò che l’intelligenza non consiste nella
conoscenza delle cose, ma nella capacità di creare nessi tra le cose.
Proprio la creazione di nessi intellettualmente produttivi è ciò che
rende utile il volume di Testa: alla fine della lettura scopriamo di aver
imparato la lezione senza quasi accorgercene, con grazia, leggerezza,
flessibilità.
Flavia Filippi
Joseph J. Tobin, David Y.H. Wu, Dana H. Davidson
Infanzia in tre culture. Giappone, Cina e Stati Uniti
Ed. Raffaello Cortina, Milano 2000, pp. 282,
L. 38.000
Il volume è originale, appassionante, avvincente e ben
tradotto. Descrive e discute nei dettagli una giornata-tipo in tre
istituzioni per l’infanzia, rispettivamente giapponese, cinese e
statunitense. Tali giornate sono state dapprima filmate, nei momenti
salienti quali l’accoglienza al mattino, la separazione dai genitori, le
attività ludiche, i momenti di riposo, l’educazione alimentare e
igienica, la gestione dei conflitti, le sanzioni, le modalità di
comunicazione con gli adulti. I filmati sono stati, poi, utilizzati in
modo incrociato come stimolo alla discussione critica che ha coinvolto
insegnanti e dirigenti delle strutture per l’infanzia dei tre Paesi.
L’indagine è pertanto condotta entro un approccio
metodologico etnografico, caratterizzato da una pluralità di vertici di
osservazione. Ne risulta un affresco a più voci molto ricco, dove l’accezione
di interculturalità è veramente fondativa e fa trasparire la trama delle
premesse culturali e antropologiche di ogni Paese nel rispondere a domande
circa la natura dei bambini e i processi educativi, nonché le modalità
attraverso cui si persegue l’adeguamento ai valori e alle norme morali,
sociali e culturali.
Il testo sollecita potentemente la riflessione critica
non solo sulle proposte altrui, ma anche sulle proprie scelte. Seppur la
nostra realtà non sia direttamente illustrata, l’interesse del lettore
italiano è duplice: da un lato vi è lo stimolo alla riflessione circa le
premesse culturali e valoriali dell’educazione infantile e universale;
dall’altro, il libro può rispondere alla necessità odierna di affinare
strumenti concettuali e soluzioni istituzionali per una cultura
multietnica, che oggi è una realtà anche in Italia.
Gabriella Gilli
Daniel Callahan
La medicina impossibile
Ed. Baldini&Castoldi, Milano 2000, pp.
355, L. 32.000
Il libro prosegue una serrata e coerente riflessione che
Daniel Callahan, fondatore e direttore del prestigio Hastings Center di
New York, sta conducendo da molti anni sul senso e i limiti della
medicina. Lo sfondo è costituito dalla consapevolezza che nessun modello
di organizzazione sanitaria ha la risposta per contenere la spirale
crescente di costi della sanità: né i Paesi a impostazione liberale,
come gli Stati Uniti, che cercano di introdurre correttivi alle
ingiustizie mediante forme di universalismo, né i Paesi che garantiscono
coperture universalistiche (come il nostro Servizio sanitario nazionale),
che aspirano a correggere le proprie disfunzioni aprendosi al mercato.
La lucida analisi di Callahan guida a cogliere ciò che
mina la sostenibilità dei diversi sistemi: l’idea stessa di progresso
che sta alla base di ciò che ci attenderemo dalla medicina. Il progresso,
inteso come una crescita senza limiti, è diventato per Callahan «una
sorta di fede laica riluttante a considerare i danni a cui può portarci
il disconoscimento di limiti e confini». È questo l’errore
fondamentale della medicina moderna e che la rende "impossibile"
(il titolo originale parla di "false speranze" ed è più
efficace nel denunciare una impossibilità che non dipende da una
insostenibilità economica dei costi, ma da un inganno di natura
antropologica).
La medicina "sostenibile" è per Callahan solo
quella che accetta la finitezza come costitutiva dell’essere umano. Il
miglioramento della salute non proviene da maggiori investimenti nella
sanità. La salute è solo una delle componenti della felicità
individuale e sociale. La medicina, a cui è sempre stato attribuito un
ruolo speciale nella produzione della felicità, ha bisogno di
confrontarsi con tutte le altre esigenze e le altre aspirazioni degli
uomini.
Sandro Spinsanti
Elenco degli articoli pubblicati sul tema Perdono e
riconciliazione in famiglia. Le riviste sono consultabili presso il
Centro documentazione del Centro internazionale studi famiglia.