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130 ANNI DEL SETTIMANALE ALBESE![]() di Maria Grazia Olivero GAZZETTA D'ALBA SEMPRE GIOVANE “Gazzetta d'Alba” ha ripercorso durante più di un anno gli eventi che l’hanno accompagnata, riflettendo su se stessa, per far conoscere ai suoi lettori lo spirito di don Giacomo Alberione e trovare linfa nuova al suo impegno. Era il 3 giugno del 1882 quando nacque. “Gazzetta di Alba” – la testata non aveva l’apostrofo, che sarà nel 1913 il segno delle sue alterne vicissitudini – si presentava come un nuovo giornale, il «periodico ebdomadario» voluto dal vescovo Lorenzo Pampirio per «trattar dei sani principii religiosi e sociali, per difendere le prerogative ed i diritt» della Chiesa e del Papa. Non si camuffò, insomma. Sarebbe stata la voce della Chiesa in una società permeata da «privata devozione e pubblico agnosticismo », come scrive Gianfranco Maggi nel volume “Alba e la sua Gazzetta”, scritto a quattro mani con Gianni Boffa, per volontà dell’allora direttore don Giusto Truglia, in occasione dei 120 anni del giornale. Eppure, come leggiamo dal “programma” pubblicato sulla storica prima pagina: «Sebbene la “Gazzetta di Alba” porti a suo carattere principale il trattar di sani principii religiosi e sociali, non intralascierà di occuparsi eziandio di quanto possa importare al commercio, all’agricoltura e agli interessi della Città e del Circondario». Così gli esordi “Gazzetta di Alba” agli esordi usciva il sabato, il giorno di mercato, per arrivare ai parroci entro la giornata nella speranza di essere distribuito la domenica nelle chiese; veniva stampato dalla tipografia Sansoldi di via Maestra su quattro pagine a quattro colonne, con titoli senza gerarchia, tutti su una colonna. In prima c’era sempre un editoriale di tema religioso-morale, poi figuravano vari articoli, mai di cronaca locale a cui si dedicava spazio (poco) più avanti, l’appendice con la cultura. Le notizie erano in primo luogo quelle dal mondo, da Roma appena assurta a capitale del Regno, dalla politica nazionale, dalla regione e dalla provincia, oltre che dalla diocesi. C’erano pure le circolari delle autorità, gli avvisi per gli agricoltori, gli orari dei trasporti, i programmi delle cerimonie, la pubblicità in quarta pagina. Anima del giornale fu, in quegli anni d’inizio, il canonico Felice Allaria, il quale, interprete della politica di Leone XIII, si circondò dell’aiuto fecondo della parte più giovane del clero diocesano. Ma “Gazzetta di Alba”, nonostante l’entusiasmo con il quale venne accolta almeno da una parte della città, dovette affrontare da subito l’agguerrita concorrenza del “Tanaro”, che aveva iniziato le pubblicazioni nel 1880 e usciva in due edizioni la settimana, e di quotidiani assai seguiti anche per il loro spirito popolare: “Gazzetta del popolo” e la “Sentinella delle Alpi”, entrambi sostenitori della sinistra liberale, a cui apparteneva anche Michele Coppino, il politico albese più in vista, più volte ministro dell’istruzione. Una vita non facile, dunque, per la nostra “Gazzetta”, che dal 1885 (e fino al 1899), per cercare di rompere l’assedio, iniziò a uscire anche il mercoledì. Se infatti il giornale fu nel pensiero del vescovo Lorenzo Pampirio uno dei mezzi per coordinare i cattolici della diocesi, accanto alla nascente organizzazione dell’Azione cattolica, va detto, seguendo la ricostruzione di Maggi, che si dovette attendere a lungo perché entrambi gli strumenti riuscissero a fare presa all’interno di una società assai "tiepida" verso questi stimoli.
Alcune prime pagine di Gazzetta d’Alba risalenti alle origini Tra Chiesa, cultura e società Poste le basi, peraltro, l’impresa di dare forza ai cattolici riuscì più tardi al vescovo Francesco Re, il quale seppe cogliere appieno l’impulso innovativo dell’enciclica Rerum novarum, emanata da Leone XIII nel 1891, il documento che per la prima volta delineò una dottrina sociale cattolica. «L’influenza della Chiesa nella vita sociale prima limitata all’ambito rituale o al controllo morale sui costumi della gente, cresce rapidamente», scrive Maggi, descrivendo il periodo. «I gruppi dei cattolici assumono sempre più peso nei paesi e cominciano a voler dire la loro nelle vicende amministrative o a proporsi alla guida de municipi». Ce n’era bisogno, del resto, in una società che non sapeva districarsi dalla miseria. Non a caso emigravano dalla provincia di Cuneo a fine secolo diecimila persone l’anno. “Gazzetta” fu attentissima, in quel frangente, a descrivere gli avvenimenti, dalla nascita delle prime casse rurali, che videro l’iniziativa diretta di numerosi sacerdoti, agli interventi sull’agricoltura, un comparto nel quale la maggior parte della popolazione era impegnata e che a fine Ottocento si trovò a combattere contro la filossera, il “male” che decimava i vigneti. Le rubriche di agricoltura – non solo enologia, ma pure allevamento, frutticoltura, bachicoltura – costituirono un elemento fisso di “Gazzetta di Alba”, una collana di insegnamenti voluta per mettere le basi per una coltura sana, che veniva diffusa anche dalla Scuola enologica, coetanea del giornale.
Don Timoteo Giaccardo, ora Beato, nel suo ufficio con i primi collaboratori nella redazione del settimanale, scritto, stampato e spedito dai primi Paolini. Ma “Gazzetta”, già praticando l’idea di essere accanto ai lettori che ancora l’anima, non esitò a occuparsi pure di trasporti, poiché Alba e il circondario erano – come sono tuttora – tagliati fuori dalle grandi vie di comunicazione, così come dell’esigenza di un nuovo ospedale ipotizzato in quell’allora a San Cassiano e addirittura presentato dal comune all’esposizione universale di Torino del 1898 come un’idea innovativa (peraltro mai realizzata). Infine “Gazzetta” discettava di cultura, con le biografie di uomini, politici, artisti, religiosi, eruditi che fecero grande la città o delle sue radici storiche e artistiche. In appendice proponeva racconti, romanzi, trattati di teologia o morale. Il giornale parlava assai poco, nei primi anni della sua esistenza, di politica, fosse nazionale o locale, in una società nella quale il “non expedit” tuonato a Roma era il verbo, anche se venne più tardi il tempo d’inaugurare una rubrica dal titolo inequivocabile: “Alla conquista dei municipi”. Agli inizi del secolo “Gazzetta di Alba”, ridiventato settimanale, si schierò sul fronte democratico cristiano, in fervente attesa di un autonomo partito cattolico. La strada fu lunga e non indolore, lastricata di difficoltà, a iniziare dalla lotta per la sopravvivenza con il nascente “Alba nuova”, il giornale diretto da don Gioacchino Scalenghe, voluto dai dibuona stampa per dar corpo a un battagliero partito clericale. “Gazzetta di Alba” arrivò al tracollo economico, perse la sua verve e l’appoggio degli ambienti clericali. Lo scontro con “Alba nuova” la vide soccombente, finché il vescovo Francesco Re, il 14 marzo 1913, decise di unificare le testate: così nacque la nuova “Gazzetta d’Alba” (senza la “i”, con l’attuale testata), praticamente copia di “Alba nuova”, che perse solo il nome. Il giornale fu affidato infatti a don Scalenghe e realizzato dalla sua redazione. Il formato divenne più grande, la grafica agile, con vignette e fotografie. Ma l’Associazione della buona stampa, che aveva veicolato l’operazione, non sembrò fidare troppo in don Gioacchino, mentre i debiti per le cause di diffamazione si accumulavano e si accrescevano per il fallimento dell’agente pubblicitario. Una svolta decisiva Fu in questo clima che a settembre di quello stesso 1913 il teologo don Giacomo Alberione, direttore spirituale del Seminario, uomo moderato, membro autorevole dell’Associazione della buona stampa, entrò in scena a “Gazzetta d’Alba”, assumendone la direzione dalla mani di monsignor Re, mentre don Scalenghe ne usciva alla chetichella. L’anno successivo, il 18 febbraio 1914, don Alberione acquistava di fronte al notaio la proprietà del giornale, accettandone le passività e impegnandosi a seguire i consigli dell’Associazione della buona stampa. Don Alberione, come ben sappiamo, vedeva molto lontano. Il 20 agosto già fondava la Scuola tipografica piccolo operaio, il primo nucleo della sua futura impresa apostolica di portata mondiale. Il ruolo di don Alberione La storia dell’ebdomadario di Alba non fu dunque che la scintilla per la Società San Paolo, nata per fare apostolato attraverso i più moderni mezzi di comunicazione, un’idea lungimirante agli albori del secolo scorso, quello delle trasformazioni epocali. Nacque ad Alba, dalla forza di un uomo che sarebbe diventato beato dopo quasi cent’anni, anche piazza San Paolo – rialzata a forza di braccia da legioni di cooperatori paolini –, a servizio del grande complesso edilizio che si andava realizzando in autarchia e con molte difficoltà economiche, imperniato sul Tempio. Qui si svilupparono le prime iniziative editoriali, che arrivarono in tutta Italia e poi nel mondo, attraverso l’opera di moltissimi giovani che vi studiavano e lavoravano, affascinati dal progetto apostolico di un piemontese nato a San Lorenzo di Fossano e divenuto anche nel piglio imprenditoriale un albese. E ad Alba, mentre l’opera del Signore dava frutti in tutti i Continenti, è rimasta “Gazzetta”, oggi diretta da don Antonio Rizzolo, con identico spirito, uguale fervore del Fondatore: fare la carità della verità, di tutto parlare cristianamente, cercare di offrire un contributo alla crescita della comunità, essere accanto agli uomini e alle donne del terzo millennio con gli strumenti di comunicazione più adeguati ai tempi, a cominciare da Internet. Maria Grazia Olivero |
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